“Ebrei d’Egitto, tradizioni da salvare”

Fino a pochi decenni fa ad Alessandria d’Egitto esisteva una comunità ebraica fiorente, composta da circa 30mila individui molto attivi a ogni livello della società egiziana. Presenti nelle istituzioni, ma anche al vertice del commercio e della cultura. Oggi a quel computo dobbiamo togliere tre zeri, per un totale di circa trenta persone che orbitano attorno alla grande sinagoga da poco riaperta al pubblico.
Dal 1948 ad oggi, passando per varie guerre, ma arrivando infine a un trattato di pace, i rapporti tra i due Paesi sono senz’altro migliorati. La dimostrazione è sotto gli occhi di tutti: oggi un cittadino israeliano può recarsi con relativa sicurezza in Egitto, visitarne le città e meraviglie. E recarsi anche nelle numerose sinagoghe rimasti in piedi. Spazi affascinanti, ma purtroppo sempre più spesso vuoti.
È un mondo piccolo ma tenace di cui poco si sa in Italia. Chi ben conosce questa storia è rav Avraham Dayan, rabbino capo di Livorno, che dal 1998 al 2004 è stato rabbino capo proprio di Alessandria. “Sono arrivato lì – racconta – che ero poco più di un ragazzo, avevo all’incirca vent’anni. Ero in Egitto per visitare il Paese da cui la mia famiglia proveniva e che aveva lasciato di propria volontà nel 1951, prima quindi dell’avvento di Nasser. Tutto è nato un po’ per caso: un ebreo di Alessandria volle chiedermi un aiuto per fare minian. Fu l’inizio di una collaborazione significativa, fino ad un incarico più ufficiale”.
Un’esperienza entusiasmante, afferma rav Dayan. “Parliamo all’epoca di un centinaio di persone, in gran parte donne. Malgrado i numeri ridotti si celebrava ogni festività e solennità. Ci si ritrovava in sinagoga anche in assenza di minian. Era tutto molto intenso”.
Per rav Dayan anche l’occasione per riscoprire alcune tradizioni di famiglia: “Gli ebrei egiziani – sottolinea – festeggiano un loro Purim che cade il 28 di Adar in ricordo di un mancato sterminio che sarebbe dovuto avvenire cinquecento anni fa, ai tempi dell’Impero ottomano. Fino agli Anni Sessanta era uso leggere anche una specifica Meghillah dedicata a questi fatti: così avevano voluto i rabbini dell’epoca”. Un altro momento di letizia a Rosh Chodesh Nissan con “canti e preghiere, sia in ebraico che in arabo, per ringraziare Dio di averci salvato dalla schiavitù d’Egitto al tempo di Mosè”.
La storia degli ebrei egiziani interessa da vicino rav Dayan, autore di un libro (in ebraico) incentrato sulle biografie di ben 114 rabbini che hanno esercitato nel Paese nell’arco di 250 anni. “L’Egitto – fa notare al riguardo – è stata una terra fertile di rabbini e Tradizione. Su tutti vale la pena fare il nome di Maimonide, che qui esercitò e morì”. Una storia che interessa da vicino anche l’Italia: basti pensare al fatto che un grande Maestro del recente passato, rav David Prato, prima di andare a Roma fu rabbino proprio ad Alessandria.
Oggi la fase più luminosa di quella storia dalle radici antichissime sembra lontana. Ma la parola fine, dice rav Dayan, non è stata ancora pronunciata. All’inizio del 2020, poco prima che l’umanità intera precipitasse nell’incubo del Covid, la comunità ebraica d’Alessandria festeggiava infatti una giornata storica: oltre duecento persone giunte da tutto il mondo celebravano, tra sorrisi e lacrime di commozione, la riapertura dell’antica sinagoga Eliyahu Hanavi.
“Parliamo di un tempio enorme, capace di migliaia di posti. Sette anni fa c’era stato un crollo importante, che ne aveva pregiudicato l’utilizzo. Per fortuna – racconta il rav – il governo è intervenuto coprendo tutte le spese necessarie e permettendoci di sistemare ogni cosa al meglio”. Durante i lavori una scoperta toccante: si è infatti appreso che il nucleo originario della sinagoga risale addirittura al 1370.
Una sinagoga maestosa e che ha resistito a ogni turbolenza anche di tipo politico. “Per fortuna – spiega il rav – neanche con i Fratelli Musulmani al potere nessuno si è mai sognato di attaccarlo o vandalizzarlo. Neanche gli uffici comunitari sono stati minacciati”.
Sul futuro restano molte incognite. Ma il rav ha anche qualche motivo di speranza, anche guardando fuori dal mondo ebraico: “I giovani egiziani, in un numero crescente, stanno riscoprendo interesse verso l’ebraismo. È un qualcosa di molto positivo, dopo tanti anni di odio e indifferenza”.

(Nelle immagini: rav Avraham Dayan insieme a rav Yosef Neffusi: suo padre fu rabbino capo di Alessandria; un’immagine del 1930 in cui si riconoscono l’allora rabbino capo del Cairo rav Chaim Nachum Effandi e quello di Alessandria rav David Prato; un contratto matrimoniale degli Anni Quaranta)

(28 novembre 2021)