Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui  23 Gennaio 2022 - 21 Shevat 5782
LA QUINTA EDIZIONE DELLA RUN FOR MEM A NOVARA

"Stiamo insieme per ricordare"

Per la Memoria e per la vita. Novara ha risposto presente all’invito a prendere parte alla quinta edizione della Run for Mem, la corsa per la Memoria consapevole organizzata dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane in collaborazione, quest’anno, con la Comunità di Vercelli.
Centinaia i corridori e camminatori che alla partenza si sono posizionati alle spalle dell’ex podista israeliano Shaul Ladany, volto simbolo della manifestazione. “Siamo qui per dire ‘mai più’. Ricordare serve ad evitare che le tragedie della storia si ripetano”, le parole di Ladany poco prima di percorrere i 10 chilometri della corsa. Lui, 85 anni, è il simbolo del messaggio di vita della manifestazione. Sopravvissuto alla Shoah e poi alla strage degli atleti israeliani a Monaco 1972, si presenta al via sorridente, prestandosi volentieri alle diverse richieste di fotografie (nell’immagine in basso, scattata da Andrea Schiavon, Ladany assieme alla nipote Shaked durante la corsa). “L’idea è che siamo tutti parte di una società. Si vive e si corre insieme. Insieme portiamo avanti la Memoria, con responsabilità, fermandoci per non dimenticare. – le parole in apertura della Presidente UCEI Noemi Di Segni – Siamo qui con Shaul Ladany per ricordare e per dire no a tutte le distorsioni della Memoria, agli abusi, ai paragoni con altri dolori veri o inventati”.


La grande partecipazione di Novara, hanno evidenziato tra gli altri il sindaco Alessandro Canelli e la presidente della Comunità di Vercelli Rossella Bottini Treves, è la miglior risposta a quel mondo no vax che cerca di fare parallelismi impossibili. A quei manifestanti che proprio nel comune piemontese a novembre strumentalizzarono in modo vergognoso i simboli della Shoah.A salutare i partecipanti, oltre alle autorità, il cantante Enrico Ruggeri. “Ricordiamo come la persecuzioni iniziò in modo subdolo e graduale. Speriamo che i giovani abbiano capito la lezione e facciano in modo che quanto è stato non accada più” le parole di Ruggeri, testimonial dell’iniziativa insieme all’ex sciatrice olimpica Lara Magoni, anche lei presente. A rappresentare l’impegno della nuove generazioni, l’Unione giovani ebrei d’Italia, presente con una sua delegazione guidata dal presidente David Fiorentini.
Tante le testimonianze di vicinanza e di sostegno espresse dalle diverse istituzioni, dalla prefettura all’Anpi fino al Coreis. “Un ringraziamento a tutti per questa ampia adesione e alle forze dell’ordine per il loro lavoro”, il saluto del vicepresidente UCEI Milo Hasbani, prima di lasciare i partecipanti correre o camminare lungo il percorso della Run for Mem divisa in sei tappe.


 

Una di queste, in piazza Santa Caterina da Siena, è stata l’occasione per porre due Pietre d’inciampo in memoria di Giacomo Diena e Amadio Jona, catturati a Novara e poi deportati e uccisi ad Auschwitz. “Poniamo queste pietre per ricordare chi non è tornato dai lager nazisti”, hanno evidenziato prima dell’apposizione delle Stolpersteine l’assessore alla Cultura UCEI Gadi Schoenheit e il presidente dell’Anpi Milano Roberto Cenati. “In Italia sono circa 1500 le pietre che sono state posizionate nelle diverse città. – ha dichiarato il presidente del Memoriale della Shoah di Milano Roberto Jarach – I nomi che portano sono un modo per restituire umanità alle vittime della deportazione, ridare loro vita”. Ad impegnarsi nella tutela di questi monumenti diffusi alla memoria dei singoli e collettiva un’iniziativa dell’Ugei, “Restaurare la Memoria”. A raccontarla, David Fiorentini: “Puliamo le pietre dove necessario e allo stesso tempo ricordiamo le storie delle persone a cui sono intitolate”. A sottolineare poi l’importanza simbolica dell’apposizione a Novara, Alberto Jona Falco, lontano parente di Amadio Jona. “Questa cerimonia così come la Run For Mem sono un modo per rendere onore al messaggio di Liliana Segre contro l’indifferenza. Allora, durante le deportazioni, molti si girarono dall’altra parte e rimasero indifferenti. Noi siamo qui per dire che non accadrà più”.

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TRA I GRANDI FILOSOFI DI ISRAELE

Eliezer Schweid (1929-2022)

Scomparso pochi giorni fa a Gerusalemme, dove era nato, il professor Eliezer Schweid è stato riconosciuto quasi all’unanimità come il più significativo filosofo di Israele. I suoi corsi all’università ebraica hanno influenzato migliaia di studenti e la sua presenza nella società israeliana, a tutti i livelli (non solo accademici), ha lasciato un segno che durerà a lungo. Soldato nelle fila del Palmach nel 1948-49 e tra i membri fondatori del kibbutz Tzorà (non lontano da Beit Shemesh), è come studioso di pensiero ebraico e come educatore che Eliezer Schweid si distinguerà, diventando per quarant’anni uno dei pilastri del dipartimento di machshevet Israel all’università ebraica di Gerusalemme, con frequenti visiting professorship a Stanford, Yale e Oxford. Autore di numerosi libri e saggi, ma anche di articoli su quotidiani e riviste comprensibili a tutti, Schweid ha ricevuto nel 1994 il prestigioso Pras Israel per i suoi contributi in ambito filosofo e pedagogico. Pochi come lui, infatti, hanno elaborato le contraddizioni dei cosiddetti secular Jews, sia israeliani sia diasporici, e forse nessuno più di lui si è sforzato di creare ponti tra il mondo ebraico secular, ossia laico, e quello religioso, che in Israele conosce le infinite sfumature dell’ortodossia.

Massimo Giuliani 

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LA CERIMONIA AL TEATRO LA FENICE

"Shoah, la Memoria non è un rito"

Nel nome di Virginia Gattegno, sopravvissuta ventenne alla Shoah, la cerimonia cittadina per il Giorno della Memoria che si è svolta stamane a Venezia al Teatro La Fenice. Ad intervenire la presidente del Consiglio comunale Ermelinda Damiano, il presidente della Comunità ebraica Dario Calimani e il direttore generale del Teatro Andrea Erri.
“Testimoniare pubblicamente, ogni anno, la catastrofe della Shoah porta con sé, per noi, oltre al riacutizzarsi del dolore, anche una certa dose di imbarazzo. Imbarazzo, perché si può avere la sensazione di star partecipando a un rito che, con l’aumentare della distanza dagli eventi, si fatica sempre più a riempire di significato”, le parole di Calimani. Nel suo intervento vari riferimenti a un presente che sembra offrire più di un motivo di angoscia.
“Qualcuno pensa che di Shoah si parli troppo; altri lamentano che si parli di Shoah ma non di altri crimini, e che gli ebrei pretendano l’esclusiva della memoria, dopo (diciamo noi) aver goduto del privilegio dello sterminio. La Shoah è ingombrante. La coscienza della civiltà occidentale – il suo atto d’accusa – non riesce ancora a confrontarsi con le proprie responsabilità”.

 

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FU ILLUSTRATRICE DI UNA STORICA HAGGADAH

Eva Romanin Jacur (1921-2022)

Dipingeva per il piacere di dipingere, rispondendo a un suo bisogno interiore, Eva Romanin Jacur.
Nata a Padova nel 1921, aveva da poco compiuto 100 anni. In campo artistico la si ricorda soprattutto come illustratrice di due haggadot che sono nelle case di molti ebrei italiani. In particolare quella del 1948 redatta dal rabbino Alfredo Sabato Toaff per l’editore Israel. Un’edizione significativa anche perché uscita a ridosso della nascita dello Stato d’Israele.
Eva si era salvata dalle persecuzioni antisemite riuscendo a fuggire in Svizzera, a Lausanne, dove era riparato il fratello gemello Leo. Nella stessa città si trovava il suo futuro marito, il matematico Corrado Böhm. Si sarebbero sposati nel 1950 e avrebbero messo al mondo tre figli: Michele, Emanuele, Ariela.
“Una persona buona di cuore e con la quale era piacevole trascorrere del tempo. È stata una delle ragazze più belle di Padova. Faceva girare la testa un po’ a tutti, anche se non sembrava pienamente consapevole di ciò” il ricordo di Davide Romanin Jacur, suo nipote e attuale assessore al Bilancio UCEI.
Molte amicizie straordinarie nella sua vita. Come quella con Rita Levi Montalcini che fu un punto di riferimento anche per la figlia Ariela formatasi come biologa nella sua cerchia ma poi dedicatasi a una carriera in un altro ambito: quello, appunto, dell’arte. Altro legame solido fu quello con Tullia Zevi, presidentessa UCEI dal 1983 al 1998. “Fu proprio lei a introdurmi agli Zevi”, racconta il nipote.

(Nell'immagine il matrimonio tra Eva Romanin Jacur e Corrado Böhm)

 

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L'INIZIATIVA NEL SEGNO DELLE GENERAZIONI

Memorie di famiglia, i giovani protagonisti

La vicenda degli ebrei stranieri in Italia al centro dell’undicesima edizione di Memorie di Famiglia, il format ideato da Giordana Menasci e Anna Orvieto per conto del Centro Ebraico Il Pitigliani. Come consuetudine giovani protagonisti con storie e racconti di famiglia che hanno visto ricordate le figure di Dario Schapirer, Leone e Natalia Ginzburg, Ernesto Lazar e Anny Schiff Lazar, Moszek Paserman, Arminio Wachsberger, Mosè Dana, Guido Prister, Ursula Steinitz e Marco Tenenbaum, Marek Jablonko, Jacinthe Menasce e Sion Burbea.
“Un progetto maturo per crescere ulteriormente, per diventare un punto di riferimento più completo nella narrazione della memoria dei fatti storici accaduti durante la Shoah” il pensiero espresso dalle due curatrici. A sostenere questo sforzo, all’insegna del messaggio “I giovani tramandano le storie dei nonni”, Fondazione CDEC di Milano, Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara, Fondazione Museo della Shoah di Roma, Associazione Figli della Shoah, Progetto Memoria. A curare l’introduzione storica Anna Foa, che ha evidenziato la specificità antisemita dell’internamento del 1940 in quanto “esso coinvolse, per molta parte, sudditi di paesi di cui l’Italia fascista era alleata, la Germania, l’Austria sotto il Reich, internati in quanto ebrei, cioè nemici del Terzo Reich”. Oltre evidentemente al fatto “che quelli che non furono liberati dall’avanzata angloamericana furono consegnati alla deportazione e alla morte”.


(Nell’immagine: una cartolina inviata da Sion Burbea dal campo di Biberach)

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DAFDAF GENNAIO 2022

I piccoli e la sfida di gestire la rabbia

“Per la psicologia comunicare è molto importante; infatti, questa scienza usa delle medicine molto particolari, che si chiamano ‘parole’. Un metodo efficace per essere felici è quello di parlare di come ci si sente”. Con queste parole di Aharon Ferrari abbiamo presentato la nuova rubrica che DafDaf dedica alla psicologia. Di mese in mese, oltre ad approfondire il discorso più generale, presentiamo ai giovani lettori una specifica emozione, un’idea nata dalla collaborazione con Roberta Cibeu che nel suo laboratorio di Trieste crea i Mostri113, che sono comparsi sulle pagine del giornale ebraico dei bambini già qualche mese addietro. Nel numero 129, in distribuzione in questi giorni, dato il periodo particolare e sicuramente difficile che stiamo attraversando abbiamo pensato con Roberta che potrebbe essere utile incontrare un mangiarabbia.
Il mangiarabbia è quel mostro113 che vi viene incontro dicendo:
“Se ti senti quasi scoppiare e perdi il self control, affidati a me”.
Buona lettura.

a.t. social @ada3ves

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GLI INCONTRI DEL COORDINAMENTO SICUREZZA UCEI

Radicalismo e lotta al terrorismo,
a confronto con gli esperti

Due importanti iniziative hanno visto protagonista il Coordinamento Sicurezza UCEI in collaborazione con il Sacc (Security and Crisis Centre) dello European Jewish Congress. Presenti, oltre al Ceo di questo organismo Ophir Revach, tre oratori esperti di sicurezza e contrasto al terrorismo: Shlomo Shpiro, Uriya Shavit e Raymond Forado.
La prima si è svolta presso il Comando Generale della Guardia di Finanza. Dopo i saluti istituzionali del comandante generale Giuseppe Zafarana e della presidente UCEI Noemi di Segni, Shpiro ha trattato il tema del “Tracciamento dei flussi economici per contrastare il terrorismo”, mentre Shavit ha parlato di radicalismo e terrorismo islamico. Presenti in sala oltre 100 membri del corpo e collegati via videoconferenza oltre 30 dislocazioni su tutto il territorio italiano.

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IL CICLO DI INCONTRI 

Un metodo contro il pregiudizio


Per contrastare in modo intelligente pregiudizi e stereotipi, non è sempre sufficiente rispondere con logica e cortesia. È necessario un metodo. L'ossatura di questa strategia in un libro, L'ebreo inventato (ed. Giuntina), curato da Saul Meghnagi e Raffaella Di Castro e con all'interno una serie di saggi che spaziano su vari fronti: dall’accusa di usura a quella di separatismo e chiusura, dal veleno di matrice cristiana del “deicidio” all’idea di “elezione” del popolo ebraico.
Temi affrontati nel corso di una serie di conversazioni ora disponibili su Zeraim, il nuovo sito web dell’Area Cultura e Formazione dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
Le puntate sono fruibili anche sulla webtv UCEI sia sotto forma di video che di podcast. I podcast sono inoltre disponibili su speaker e su spotyfy.

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La misura dei fatti
“3 luglio 1942, venerdì sera, le otto e mezzo. Sono sempre seduta alla medesima scrivania, ma a questo punto dovrei tirare una riga e proseguire con un tono diverso. Dobbiamo trovare posto per una nuova certezza: vogliono la nostra fine e il nostro annientamento, non possiamo più farci nessuna illusione al riguardo, dobbiamo accettare la realtà per continuare a vivere”.
Così scrive Etty Hillesum nel suo Diario 1941-1943, Adelphi (è il testo che oggi verrà letto a Palazzo Ducale a Genova nell’iniziativa «Dall’alba al tramonto» promossa dal Centro Primo Levi).
Etty Hillesum indica che cosa si poteva capire in tempo reale senza essere in possesso di documenti che provino le intenzioni. Quelle intenzioni stavano nei fatti e per comprenderle si trattava di prendere la misura dei fatti. Anche questo è un dato importante da prendere in considerazione. In tempi bui.
 
                                                                          David Bidussa
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Ricordarsi da ricordare
A oltre vent’anni dall’istituzione del Giorno della Memoria, incorporato nella lettera della legge 211 del 2000, è senz’altro possibile fare un bilancio sufficientemente articolato della sua ricaduta sulla società italiana. Alle molti voci fin da subito a esso favorevoli si sono infatti sommate quelle che, con il trascorrere del tempo, hanno invece identificato limiti e strozzature di una prassi che somma in sé commemorazione e riflessione, comunicazione di superficie e analisi in profondità, emozioni di circostanza e ricerche di lungo periodo. Un orizzonte in chiaroscuro, quindi, connotato non solo dalla natura stessa del dispositivo legislativo – inevitabilmente connotato dal suo essere il prodotto di una mediazione politica e parlamentare tradottasi poi in un norma di diritto – ma anche da una molteplicità di fattori ed elementi, imprevedibili nella loro traiettoria di lungo periodo così come soprattutto mutevoli. 
                                                                          Claudio Vercelli
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