CALCIO E IDENTITÀ - L'APPELLO DEL TOTTENHAM FA DISCUTERE

"Yid Army, immagine distorta" 

È il 4 dicembre del 1935: al White Hart Lane, lo stadio del Tottenham, si sfidano le nazionali d’Inghilterra e Germania. Come prassi gli ospiti fanno il saluto nazista, mentre una bandiera con la svastica sventola sul tetto dell’impianto. Un tifoso, infastidito da quella vista, si arrampica e riesce a rimuoverla. Molti applausi accolgono quell’iniziativa. Freme di rabbia invece Oswald Mosley, il leader dell’estrema destra inglese, che non molto tempo dopo denuncerà i rischi, a suo dire, di “una mentalità ebraica applicata allo sport”.
È uno dei tanti episodi che hanno contraddistinto la saga del Tottenham come squadra più “ebraica” d’Inghilterra e forse, in competizione in questo caso con l’Ajax, anche d’Europa. Identificazione storica, ormai radicata, all’origine anche di episodi di antisemitismo piuttosto sgradevoli esorcizzati con il varo di una formula che spesso ricorre negli striscioni e nei cori che inneggiano alla squadra oggi allenata da Antonio Conte: quella di “Yid Army”. E poco importa se la percentuale di tifosi ebrei sia per forze di cose minoritaria rispetto a chi ebreo non è, avendo il Tottenham milioni di supporter non solo a Londra e dintorni ma in tutto il mondo. Yid Army, per decenni, è stato un marchio di fabbrica, un motivo di vanto.
Con una presa di posizione inconsueta la dirigenza del club ha deciso che è il momento di darci un taglio. E così si è rivolta ai propri sostenitori per chiedere che questa locuzione non venga più usata in alcun contesto. Sia perché alimenterebbe di per sé l’antisemitismo sia perché, si sostiene, un passo del genere sarebbe la precondizione “per creare un ambiente accogliente che abbracci tutti i nostri fan”. Secondo il Tottenham allo stato attuale ciò non sarebbe possibile, “indipendentemente dal contesto e dalle intenzioni”. A supporto di questa richiesta i dati di un’indagine, condotta tra oltre 20mila fan: il 94% di loro, si riferisce, risulterebbe “consapevole” del fatto che il termine Yid possa essere usato “in modo razzista”. Senz'altro vero. Ma si tratta comunque di un cambio di rotta che fa discutere, visto che il club ha sempre difeso questa associazione e la sua valenza simbolica. Per alcuni il rischio è che questa richiesta appaia come un cedimento rispetto a chi odia. 

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L'ARTISTA ISRAELIANO OFER LELLOUCHE A PAGINE EBRAICHE

"Meina, la strage e il lago: la mia scultura
per scuoterci dall'indifferenza"

Una grande testa senza occhi, orecchie, bocca. Vista da lontano, sembra un sasso.
Come quello “che fisicamente lanciai nel lago, quando arrivai a Meina e feci una ricognizione per capire qualcosa di più di questa storia e di questi luoghi”. Il suo modo per fare memoria dei sedici ebrei, in prevalenza originari di Salonicco e sfollati da Milano, i cui corpi furono zavorrati in quel fondale dai nazisti che prima li avevano imprigionati all’interno dell’hotel Meina dove alloggiavano e poi, dopo una settimana, tra il 22 e il 23 settembre 1943, uccisi. Il primo eccidio dall’inizio dell’occupazione.
Fu lì, racconta l’artista israeliano Ofer Lellouche a Pagine Ebraiche, “che maturò l’idea di una scultura che permettesse di riflettere sull’indicibile: l’orrore della Shoah”. E di farlo “in uno dei luoghi più incantevoli che abbia mai visitato: un contrasto fortissimo con la violenza che fu perpetrata allora”. Dopo una lunga serie di vicissitudini A head for Meina, la sua scultura, è stata inaugurata quest’oggi.
“Una giornata molto emozionante” dice l’artista, 74 anni, che all’inizio ha avuto più di un dubbio sull’opportunità di cimentarsi con questo progetto. “Il tema della Shoah mi sembrava troppo grande per me. A dire il vero – afferma – penso che lo sia per ogni artista”.
È seguito un periodo di elaborazione durante il quale ha realizzato “che la Shoah fa parte comunque del mio dna e di quello degli artisti israeliani della mia generazione: una rivelazione forte e terribile, ma che in qualche modo mi ha liberato dalla paura di dar vita a un monumento nella definizione classica di questa parola”.

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ANCHE ISRAELE CHIEDE AI SUOI CONNAZIONALI DI LASCIARE IL PAESE

Russia e Ucraina verso la guerra,
gli appelli dei governi

Si rincorrono gli appelli a lasciare il prima possibile l’Ucraina.
“In considerazione dell’attuale situazione, in via precauzionale, si invitano i connazionali a lasciare temporaneamente l’Ucraina con i mezzi commerciali disponibili”, la comunicazione pervenuta in tal senso dal ministero degli Esteri italiano. Una linea che è anche quella di Israele, ribadita in queste ore dal Primo ministro Naftali Bennett che ha chiesto a tutti gli israeliani che si trovano in Ucraina di andare “immediatamente” via dal Paese.
Un altro tema urgente riguarda quello di una possibile emigrazione verso Israele di varie decine di migliaia di ebrei ucraini. Al riguardo così si è espresso Nachman Shai, il ministro della Diaspora: “Israele è la casa del popolo ebraico. Se la comunità ebraica dovesse incontrare delle difficoltà a causa di un conflitto, il nostro impegno è quello di offrire una soluzione d’emergenza”.
 

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DAFDAF FEBBRAIO 2022

Una casa, la sfida di capire l'Altro

L’avevamo annunciato presentando il numero 130 di DafDaf, attualmente in distribuzione: “È con La casa sul lago, disegnata da Britta Teckentrup, che si apre il numero 130 di DafDaf. Una storia scelta per affrontare concetti cui va messa l’iniziale maiuscola: Storia, Memoria, ma anche Pace, e volontà di capire e di ritrovarsi e di ritrovare l’altro. O, meglio, l’Altro”. Concetti forse impegnativi, ma che è importante accostare presto, con un poco di aiuto. E grazie al lavoro prezioso di orecchio acerbo, la casa editrice che ha pubblicato una versione ridotta ma non banalizzata del libro in cui Thomas Harding ricostruisce le vicende di quella costruzione in legno che abita la copertina del giornale ebraico dei bambini.
La “Alexander Haus”, ora, è un centro studi che è anche il tentativo di rielaborare un passato terribile. Un percorso che attraverso la memoria porti al superamento dei conflitti.
Non potrebbe esserci momento migliore, purtroppo il discorso resta attuale. Buona lettura!

Ada Treves social ada3ves

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L'icona della inconsistenza
Tutta la discussione sulle foibe dei giorni scorsi è l’icona della inconsistenza di questo nostro tempo. Un tempo il cui verbo iconico non è «pensare», bensì «parlare». Meglio: «dichiarare».
 
                                                                         David Bidussa
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Il buon ricordo
A questo punto si impone qualche riflessione a margine di un Giorno del Ricordo trascorso per l’ennesima volta tra polemiche, accuse, accostamenti indebiti se non parificazioni insostenibili. Partendo dal riscontro che il fuoco del problema non è ciò che viene ricordato (e commemorato) ma il modo in cui lo si fa, trattandosi – in quest’ultima evenienza – di un esempio da manuale di uso politico del passato.
 
                                                                          Claudio Vercelli
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Meraviglie da condividere
Sasa sorge sul confine libanese. Eravamo convinti, dopo 40 anni di camminate, gite e trek sulle colline della Galilea, di conoscere ogni angolo di questo pezzetto d’Israele. Ma viviamo nel Paese forse più dinamico del mondo e ogni anno, come i ciclamini in primavera, spuntano nuovi siti da visitare per rincorrersi con i bambini, per rilassarsi davanti a un panorama incantato o soffermarsi per un momento romantico davanti a un tramonto.
                                                                         Angelica Edna Calò Livne
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