L'ONG CHE AIUTA LE PERSONE IN UCRAINA INVIANDO BENI DI PRIMA NECESSITÀ
“Il nostro Pesach sotto attacco,
per ricordare il dono della libertà”

Sarà un Pesach inevitabilmente molto diverso da quelli precedenti per gli ebrei d’Ucraina. Non sempre sarà possibile organizzarsi per accoglierlo nel migliore dei modi. Ma l’impressione è che, anche nei contesti di maggior disagio, “si farà di tutto per celebrare col massimo impegno una festa che ci ricorda quanto la libertà, in ogni epoca e in ogni contesto, sia il bene più prezioso da difendere”.
Liliya Vendrova ha tutti gli strumenti per valutare. Attraverso l’organizzazione ebraica Juice di cui è fondatrice e CEO assiste varie centinaia di persone a Kiev e nel resto del Paese. “C’è chi ha bisogno di cibo, chi di medicine, chi di un alloggio. Cerchiamo di venire incontro alle esigenze di tutti: un lavoro senza sosta, ma necessario. Lo sentiamo come una missione” racconta a Pagine Ebraiche da Budapest, dove è riparata da qualche settimana insieme al figlio di quattro anni.

Juice è nata una decina di anni fa e in breve tempo è diventata una realtà aggregativa di riferimento per la fascia d’età 23-45 anni (“I giovani adulti”, sintetizza lei). Aggregazione ma anche responsabilità sociale: a chi partecipa “chiediamo infatti un sostegno contributivo, finalizzato ad assistere progetti per bambini con patologie oppure anziani in difficoltà”. In questo senso Juice “ha rappresentato per molti miei coetanei una porta di accesso all’ebraismo, l’inizio di un nuovo percorso di consapevolezza”. Un servizio essenziale, insiste, “perché purtroppo, in materia di ebraismo, scontiamo ancora gli effetti del periodo sovietico con tutto quel che ha determinato anche in termini di perdita ed erosione della propria identità”.
Juice agisce come ente autonomo ma “con un forte legame” con la dirigenza comunitaria. In queste ore l’impegno dei volontari che ne fanno parte è dedicato a portare una luce nelle case in cui, a partire dal tramonto di venerdì, ci si riunirà per la Pasqua ebraica. In particolare nelle prime due sere, quelle del Seder, caratterizzate dalla lettura della Haggadah e da riflessioni sul senso della libertà che si rinnovano da millenni.

“Proprio in questo momento sono in partenza vari pacchi con all’interno confezioni di matzoth e altri prodotti casher per Pesach. L’idea è di far vivere un momento di condivisione e speranza a chi, a breve, se li vedrà recapitare a casa. Da un giorno all’altro le nostre esistenze sono state stravolte dall’aggressione russa. Anche e soprattutto per questo – afferma Liliya – è essenziale rafforzare un senso di unità”.
All’interno dei pacchi anche alcuni omaggi personalizzati per chi più sta soffrendo le conseguenze di questa guerra atroce: i bambini. “Lo abbiamo già visto con una precedente spedizione per Purim. Piccoli pensieri, ma un messaggio forte: non dobbiamo rinunciare a quello che siamo e a lottare, in attesa di maggiori certezze, per ritrovare almeno un barlume di normalità e serenità”.
(Nelle immagini: Liliya Vendrova; alcuni pacchi alimentari distribuiti da Juice; le buste recapitate nelle case con l’invito a non cedere allo sconforto)
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PAGINE EBRAICHE APRILE 2022 - I FILM PROTAGONISTI DELL'ULTIMA BERLINALE
Micha Bar-Am, il fotografo che ha raccontato Israele

Ha fotografato la vita del kibbutz e la nascita dello Stato; il processo Eichmann e il primo soldato israeliano davanti al Muro Occidentale; gli scontri fra israeliani e palestinesi; la fatica e la speranza degli olim; la violenza che nel tempo ha sconvolto il Medio Oriente. Oggi Micha Bar-Am, il più grande fotoreporter israeliano, ha 91 anni e custodisce nella cantina di casa un patrimonio d’immagini che rappresenta la memoria storica del Paese – oltre mezzo milione di negativi che raccontano la traiettoria di Israele negli ultimi settant’anni e gli affetti del suo privato.
Questo tesoro arriva sul grande schermo grazie al filmaker israeliano Ran Tal in uno dei lavori più affascinanti proiettati all’ultima Berlinale. Intitolato 1341 Framim Mehamatzlema shel Micha Bar-Am – 1341 Frames of Love and War, il film porta in scena una lunga serie di foto di Micha Bar-Am e la accompagna alle parole dello stesso fotografo che s’interroga su quelle immagini, sul significato della fotografia in tempo di guerra e sull’evoluzione di Israele.

“La sfida di realizzare un film basato soltanto sulle fotografie è parte della mia attrazione per l’archivio di Bar-Am”, spiega il regista. “La tensione fra immobilità e movimento, suono e immagini, riflessioni e memorie di oggi fornisce al film infiniti livelli e connessioni”.
Il risultato è uno straordinario ritratto d’artista e una meditazione sulla memoria, la violenza, l’identità. Una riflessione sul rapporto con il potere, l’inestricabile legame fra orrore e bellezza e l’enorme prezzo che si paga a documentare l’atrocità tutti temi che la guerra in Ucraina e l’ondata sconvolgente di immagini che da lì arrivano rendono di drammatica attualità.
Micha Bar-Am, che vive a Ramat Gan, è oggi il più anziano sopravvissuto del leggendario gruppo dei corrispondenti Magnum di cui hanno fatto parte Robert Capa e Henri Cartier-Bresson. Ha pubblicato le sue immagini sui maggiori giornali internazionali – il New York Times per cui è stato corrispondente da Israele dal 1968 al 1992, Time Magazine, Stern e Paris Match. Fondatore insieme a Cornell Capa, fratello di Robert, dell’International Center of Photography a New York, fino al 1993 ha diretto la sezione di fotografia al Tel Aviv Museum of Art e pubblicato libri iconici tra cui Portrait of Israel (1970) e Israel: A Photobiography (1998).
Alla luce di questa folgorante carriera, colpisce il fatto che sia approdato alla fotografia per un gioco del caso. Nato a Berlino ed emigrato a sei anni in Palestina con i genitori, Michael Anguli (Bar-Am è il nome in codice che gli rimane dal periodo nel Palmach) lavora come fabbro, guardia, tornitore. Tutto inizia grazie a un amico che in kibbutz gli presta una Leica ricevuta in regalo. La macchina, compatta e maneggevole, gli apre un orizzonte inaspettato.
Daniela Gross
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I GRANDI APPUNTAMENTI DEI PROSSIMI MESI
Dal Salone del Libro al Festival Economia,
pagine e incontri per capire il mondo che cambia

Dal Salone del Libro di Torino al Festival di Trento Economia fino a Bookcity Milano, torna la stagione dei grandi festival in Italia con il mondo ebraico e Israele tra i protagonisti. Le tre rassegne sono state presentate in questi giorni con la Fiera del libro a fare da apripista. “I libri sono la soluzione alla domanda 'Che fare?', utili sempre ma soprattutto quando serve una chiave per capire il mondo”, ha spiegato Nicola Lagioia, direttore editoriale della manifestazione torinese, che aprirà i battenti il prossimo 19 maggio. L'obiettivo è quello di promuovere, attraverso i libri, uno spazio che sia “laboratorio di idee e di confronto tra menti brillanti”. Tanti gli ospiti internazionali chiamati per aiutare a interpretare il presente: dal dissidente russo Mikhail Shishkin allo scrittore israeliano Eshkol Nevo fino al premio Nobel per l'Economia Joseph Stiglitz.
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LA COORDINATRICE CONTRO L'ANTISEMITISMO SULLO SQUALLIDO DISEGNO DI VAURO
"Vignetta di Zelensky con naso adunco,
classico della propaganda antisemita"
“In questo caso abbiamo i media che si mettono al servizio di uno stereotipo falso, consolidato quanto pericoloso”. Così la coordinatrice nella lotta contro all'antisemitismo Milena Santerini a Pagine Ebraiche, intervenendo sulla vignetta firmata dal disegnatore Vauro e pubblicata dal Fatto Quotidiano il 12 aprile. Vignetta sconcertante in cui il presidente ucraino Volodymyr Zelensky viene rappresentato con il naso aquilino. “Troviamo nel disegno i tratti caricaturali di quello che gli antisemiti considerano il 'tipico ebreo', l'happy merchant, diffuso sui social media in forma di meme. Un fenomeno che studiamo da tempo. Siamo di fronte alla ripetizione di uno stereotipo usato dalla propaganda antisemita e nazista per identificare gli ebrei come altri”. Il naso adunco, sottolinea Santerini, serviva a questo: a connotare, attraverso la fisionomia, un intero gruppo. “E in questo modo a identificarlo come altro per poi discriminarlo nel suo insieme”. La coordinatrice ricorda come questa operazione sia stata portata avanti in modo “martellante dal nazismo” e sia sopravvissuta nel corso del tempo. La vignetta ne è la dimostrazione. “Consciamente e inconsciamente si conferma lo stereotipo caricaturale che guarda caso appartiene alla propaganda antisemita”. “D'altra parte – aggiunge Santerini - questo tipo di provocazioni non sono mai inconsapevoli”.
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L'IMPEGNO DELLA REGIONE IN COLLABORAZIONE CON LE COMUNITÀ EBRAICHE
“Memoria e lotta all’antisemitismo,
il Veneto ha aperto una strada”

Conoscere, comprendere, ricordare, opporsi all’antisemitismo, ai pregiudizi di tipo razzista, ai sentimenti e costumi di odio “che affliggono i nostri tempi e dilagano anche e più che mai oggi attraverso i mezzi di comunicazione di massa”. Contrastarli con ancora più fermezza l’obiettivo del Consiglio regionale del Veneto nell’adottare nel gennaio del 2020, primo in Italia, una legge specificamente dedicata al Giorno della Memoria. Un dispositivo aggiornato alcune settimane fa nella stessa sede, con un allargamento di prospettiva che contempla anche l’istituzione di percorsi di studio che valorizzino la conoscenza dell’ebraismo e della storia ebraica. “Obiettivo della legge così rivista è sostenere nelle istituzioni e nelle scuole una Memoria diffusa e consapevole, che non si limiti ai riti di un giorno” ha annunciato la presidente della Commissione Cultura Francesca Scatto in occasione del voto che ha ratificato questa estensione con approvazione unanime del Consiglio. Partner privilegiati saranno le tre Comunità ebraiche del Veneto (Venezia, Verona e Padova), oltre alla Fondazione CDEC e ad “università, enti, associazioni o fondazioni culturali del Veneto o comunque operanti anche in Veneto, storici e conoscitori qualificati”.
Positivi riscontri nell’ebraismo italiano. “Il Veneto ha aperto una strada che potrebbe rappresentare un modello anche per altre regioni. Una scelta virtuosa che va nella direzione di una lotta sempre più serrata all’antisemitismo” il pensiero di Davide Romanin Jacur, attuale assessore al Bilancio UCEI ed ex presidente della Comunità ebraica di Padova, che è stato tra quanti hanno accompagnato questo percorso.
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Ticketless - Di ciò di cui non si può parlare
 Marco Cassuto Morselli è praticamente un mio coetaneo. Ci siamo conosciuti da poco, per via di una sua conferenza tenuta nell’ambito dell’Amicizia Ebraico-Cristiana, della cui Federazione è presidente. Ha scritto di Benamozegh e di tanti altri filosofi ebrei (come me considera Gennaro Sasso un maestro incantevole); oltre ad aver curato vari testi di esegesi biblica, Marco è l’ideatore e curatore, con Giulio Michelini, di un’impresa di ampie dimensioni da poco conclusasi, come la Bibbia dell’Amicizia. Tre volumi che a me sono sembrati un immenso passo in avanti rispetto alla molto discussa e discutibile Bibbia concordata di parecchi anni fa. Ora Cassuto Morselli pubblica da Castelvecchi uno strano libretto di memorie: Di ciò di cui non si può parlare, titolo ispirato alla famosa frase di Wittgenstein “Di ciò di cui non si può parlare si deve tacere”.
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Periscopio - Libertà
 Dicemmo, alla fine della scorsa puntata, a proposito dei due versi del quinto Canto del Paradiso, “uomini siate e non pecore matte/, sì che ‘l giudeo di voi tra voi non rida!” (poste in epigrafe, dal secondo all’ultimo numero, sulla copertina de “La difesa della razza”), che occorre dare risposta a due distinte domande: cosa, con questi versi, avesse voluto dire il poeta; cosa, invece, i redattori del quindicinale razzista volessero far credere che il poeta avesse voluto dire. Perché è del tutto evidente che le domande sono diverse, così come differenti devono essere le risposte.
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