PAGINE EBRAICHE - LA VERA STORIA DI BAMBI

A Vienna, nella foresta

È noto che Bambi non è un racconto per bambini. Siamo abituati alla versione che nel 1942 la Disney ha reso famosa quando Bambi, la vita di un capriolo è diventato un lungometraggio di animazione in cui il protagonista è un eroico giovane cervo dalla coda bianca – nell’originale si tratta di un capriolo, peraltro – e i suoi amici sono dei teneri animali che sfuggono ai cacciatori e alla fine celebrano il fidanzamento di Bambi. Il testo originale, invece, non finisce bene.
Scritto dall’austriaco Felix Salten nel 1921, è una parabola di come gli ebrei e più in generale gli appartenenti alle minoranze venissero trattati come esseri inferiori e pericolosi, da eliminare. Jack Zipes, autore dell’introduzione e traduttore del volume The Original Bambi: The Story of a Life in the Forest, con cui la Princeton University Press ha riportato nelle librerie il testo originale di Salten, lo dice esplicitamente: “Bambi, scritto subito dopo la prima guerra mondiale, è in realtà uno studio sulla solitudine degli ebrei e sulla precarietà delle loro vite in tutto il mondo. Il fascismo stava alzando la testa”.


 

Nella versione originale il cerbiatto cresce in una foresta in cui i cacciatori cacciano i cervi e gli altri animali esclusivamente per il proprio piacere. La maggior parte dei parenti e degli amici di Bambi vengono uccisi. Essere un uomo nella società austriaca, postulava Salten, “significava diventare un cacciatore, un assassino di vittime indifese e senza speranza”. E Alenka Sottler, l’artista slovena che ha illustrato il volume, ne è perfettamente consapevole: “Ho passato sei mesi a studiare tutto quello che sono riuscita a trovare su Felix Salten, e alla fine sono arrivata a due concetti differenti. Nel primo, che ho poi sviluppato e che è stato pubblicato, ho lasciato che il testo avesse il ruolo principale, e ho lavorato sulle illustrazioni in modo che accompagnassero i lettori, e li incoraggiassero a lasciarsi trascinare, a vivere una propria personalissima esperienza, guidata però poi dalle parole, da quello che è scritto”.

(Nelle immagini: alcune tavole di Alenka Sottler che illustrano la nuova edizione di Bambi, la vita di un capriolo di Felix Salten, tradotto da Jack Zipes)

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PAGINE EBRAICHE - LA VERA STORIA DI BAMBI

Lo sguardo lucido di Felix Salten

Quando nel 1923 scrive Bambi, il libro che gli regalerà la fama internazionale, Felix Salten è uno degli autori di punta della vivacissima scena letteraria viennese. Nato Siegmund Salzmann nel 1869, figlio di ebrei immigrati dall’Ungheria e nipote di un rabbino, ha iniziato giovanissimo a scrivere poesie e recensioni. Fa parte del movimento Jung Wien che riunisce scrittori del calibro di Hugo von Hoffmannstahl, Arthur Schnitzler e Karl Kraus, è il critico d’arte e teatro del Wiener Allgemeine Zeitung e gli si attribuisce uno dei libri più scandalosi del tempo: “Josefine Mutzenbacher, ovvero la storia di una prostituta viennese da lei stessa narrata”, pubblicato anonimo nel 1906. Dal 1910 Salten scrive un libro all’anno. A coronare il successo, nel 1927, il ruolo di presidente del Pen club austriaco in qualità di successore di Schnitzler. Salten non si fa però illusioni sul clima del tempo. Coglie con lucidità la violenza dell’antisemitismo montante e le implicazioni del nazismo e le riverbera in Bambi. Un libro che, malgrado la cupezza delle origini, passerà alla storia come la fiaba più dolce del mondo, quella di un cerbiatto che nella bellezza della foresta trova l’amicizia e l’amore. I nazisti lo vedono però per quel che è – un’allegoria della vita degli ebrei nel Terzo Reich. Non per caso nel 1935 lo mettono al bando e il libro finisce al rogo. Intanto, nel 1928 è uscita la traduzione inglese e Bambi conquista il pubblico americano. Nel 1933 Salten vende i diritti cinematografici per mille dollari ed è uno degli affari peggiori nella storia del cinema. Il regista che li ha acquistati li gira a Walt Disney che ne trarrà un film destinato a diventare un classico dallo strepitoso successo. Il film esce nel 1942, in piena guerra. Felix Salten ha intanto lasciato l’Austria dopo l’annessione da parte di Hitler. È riparato in Svizzera, a Zurigo, con la moglie Ottilie, attrice di teatro. Qui trascorre gli ultimi anni e scrive il seguito di Bambi.

 

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DAFDAF

Un sogno chiamato Kibbutz

Il numero 132 di DafDaf in distribuzione accompagna i suoi giovani lettori alla scoperta del movimento del kibbutz: Daniel Reichel, nella rubrica “Israele”, racconta come in ebraico la parola significhi ‘insediamento comunitario’ e come i primi kibbutzim (plurale di kibbutz) fossero delle comunità agricole, dove si lavorava tutti insieme la terra.
“Ciascun lavoratore – viene spiegato – non riceveva uno stipendio, come succede oggi a fine mese, ma tutto era messo in comune. In linea con questo ideale di totale uguaglianza economica, i membri del kibbutz mangiavano insieme in una grande sala da pranzo, indossavano gli stessi abiti (e li facevano lavare nella lavanderia comune), vivevano in case uguali e senza tanti comfort. E condividevano la responsabilità dell’educazione dei bambini, della realizzazione di programmi culturali e di altri servizi sociali”.
Questo mese presentiamo la storia di un kibbutz particolare, Sde Boker, fondato nel 1952. Buona lettura!

(Nell’immagine: David Ben Gurion durante la posa della prima pietra per la biblioteca a Midreshet Sed Boker, 1963 – Cohen Fritz, Government Press Office)

a.t. social @ada3ves

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Costruire futuro
«La restanza» (Einaudi) è il titolo di un libro che l’antropologo Vito Teti dedica a chi rimane in un luogo volendo rimanervi e prova a generare un nuovo senso di continuare a vivere lì. La convinzione è che la resistenza ad andar via [appunto «la restanza»] non possa essere un principio astratto, ma debba essere un processo che genera nuove sensibilità, nuova attenzione alle persone e alle cose intorno. Come si rigenera idea di futuro in un piccolo paese che il senso comune ritiene destinato all’estinzione? Ritengo che questa domanda ci riguardi. Mi chiedo: come si pensa offerta innovativa nel presente per pensare [e costruire] futuro possibile nelle nostre comunità?

                                                                          David Bidussa
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Lo sguardo dell'ingenuo
A quel grande male del nostro tempo che è conosciuto come banalizzazione, ossia la semplificazione della “complessità” (ahi, parola – quest’ultima – ultimamente non sempre bene utilizzata; tuttavia, non per questo di certo da evitare a priori) in una serie di affermazioni vuote e ottuse, si accompagna l’irritante sguardo degli ingenui. Sono tali coloro che non riescono a cogliere la profondità dell’agire umano, ovvero il suo ancoramento ad una pluralità di moventi e, con essi, le interconnessioni alle quali dà corso nel mentre si manifesta e produce i suoi effetti. 
 
                                                                          Claudio Vercelli
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L'anima dell'Europa
Alla fine degli anni Venti del secolo scorso due grandi intellettuali e critici ebrei polacchi, Mojżesz Kanfer e Wilhelm Berkelhammer, scrivevano: “Gli ebrei sono l’Ucraina dei popoli, perché vivono alla frontiera dei popoli” e: “Se tutti gli altri popoli hanno delle periferie laggiù dove si incontrano con altri popoli e con altre culture nazionali, più o meno chiaramente definite geograficamente, […] noi ebrei, dispersi in tutto il mondo, di queste periferie ne possediamo così tante da non possedere in realtà nient’altro che periferie, ossia viviamo ovunque al margine, […] ovunque ci incontriamo con culture straniere”.
                                                                          Laura Mincer
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