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15 Gennaio 2016 - 5 Shevat 5776
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav

Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
I brani biblici del libro dell’Esodo che trattano dell’intervento di Dio in Egitto attraverso l’uso delle piaghe mostrano scelte di azione diverse: dal Nilo che diventa sangue, alla piaga delle rane, della grandine, delle pesti, del buio… interventi naturali, sovrannaturali, distinti e diversificati. Immutabile e duro il cuore del faraone, uguale a se stesso, né distinto, né diversificato, nutrito da costante ignobile albagia. Dio sceglie la strada dell’intervento in nome del bene attraverso elementi che mutano, sono capaci di adattamento e di elevazione della natura a livelli diversi. Il male non muta mai. Granitico e fermo, si mescola nella natura, nello stato ‘buono’ dell’esistenza, ma si riconosce perché è fedele alla propria natura crudele. Il chassidismo ci insegna che per separare male e bene così mischiati nell’esistenza bisogna operare intervenendo nel mondo con un tikkun, una correzione, un agire morale al di là della pratica, un intervento etico che sublimi il male e lo elevi e lo renda inutile. Perché il male non va sconfitto, va reso inutile nel suo esistere. Ed il male, seppur nascosto dietro il bene si riconoscerà sempre: è quell’ elemento distruttivo che non ha altro scopo in essere se non la propria inalienabile e faraonica conservazione nei secoli.
 
Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
Cosa sarebbe stata l’Europa senza gli ebrei? E come sarebbe stato il Medioriente senza le sue comunità cristiane ed ebraiche? Come si sarebbero mai potute rappresentare la Spagna o la Sicilia senza i Musulmani? Lo spazio del Vecchio Mondo – di questo stiamo parlando – è attraversato da una plurimillenaria presenza storica che ha determinato nel profondo il crescere e il trasformarsi delle culture religiose, sociali e culturali. Molti oggi, di fronte all’emergere di tensioni e di violenze intimamente connesse al conflitto in atto, tendono a pensare a queste considerazioni come a un inutile afflato di buonismo e di ‘correttezza politica’, a cui andrebbe contrapposta una rigida reazione di orgoglio militante in difesa dei cosiddetti principi e valori occidentali. Ma sappiamo tutti che la realtà non è questa, e che questi famosi valori sono il frutto di una lunga e conflittuale maturazione storica di cui non si può non tenere conto. È noto, ad esempio, che molti dei testi della filosofia greca non ci sarebbero mai giunti se non tramite le traduzioni che ne fecero i pensatori arabi dopo il VII secolo. Forme artistiche, moduli letterari, sistemi speculativi viaggiarono di qua e di là attraversando il Mediterraneo, in viaggi di andata e ritorno a volte non pacifici, ma che di certo hanno contribuito a fare del nostro panorama umano una comunità dai valori misti e condivisi.
 
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Quei gesti che parlano
“Anche i gesti parlano”. L’Osservatore Romano titola così un ampio articolo in cui si riportano stralci di alcuni interventi pubblicati sulla carta stampata in prossimità della visita di Bergoglio alla sinagoga di Roma. Ad aprire l’articolo i contenuti più significativi dell’intervista al presidente dei rabbini italiani Giuseppe Momigliano sull’ultimo Pagine Ebraiche. Tra gli altri si segnalano anche i colloqui del rabbino capo Riccardo Di Segni con Famiglia Cristiana e Avvenire e l’intervista al direttore di Tv2000 Lucio Brunelli, pubblicata anch’essa su Pagine Ebraiche di gennaio.

“Una kippah contro la resa dell’Occidente”. La campagna di sensibilizzazione sul tema dell’antisemitismo lanciata dal quotidiano Il Foglio è oggi raccontata anche dal Corriere, che mette in evidenza come la stessa sia stata rilanciata ieri sul nostro notiziario quotidiano UCEI del pomeriggio Pagine Ebraiche 24. Tra le reazioni riportate anche quella della presidente della Comunità ebraica romana Ruth Dureghello e del parlamentare Emanuele Fiano.

“Quanto sta accadendo oggi fra l’Iran e i Paesi sunniti è il frutto di una serie di pericolosi eventi a cascata. Eventi che, molto chiaramente, dimostrano come la visione occidentale di un Iran ‘fonte di stabilizzazione’ e ‘parte della soluzione’ delle attuali crisi locali sia, agli occhi degli attori regionali, non solo non credibile, ma possa addirittura portare a una escalation”. Così l’ambasciatore israeliano a Roma Naor Gilon in una lettera alla Stampa.
 
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  davar
BERGOGLIO IN SINAGOGA
Il segno di un nuovo incontro Amicizia e rispetto reciproco 
Un intenso appello al mondo cattolico perché consideri la centralità delle metodologie interpretative del rabbinato ortodosso e l’irrevocabilità del legame assoluto, incrollabile con lo Stato ebraico per gli ebrei di tutto il mondo, un nesso che non può essere indebolito o reciso in alcun modo. Il commosso ricordo di quelle ore di vigilia di trent’anni fa accanto al rabbino capo Elio Toaff e le calde parole raccolte nel corso dell’intervista in cui il Rav insegnò che in tempi di pace per resistere a un’ipotetica minaccia di assimilazione gli ebrei devono cercare ancoraggio nella loro solidità identitaria, prima ancora che rassicurazioni all’esterno.
La storia delle due vignette del giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche che fecero nel 2011 il giro del mondo in occasione della seconda visita alla sinagoga di Roma di papa Ratzinger.
L’attesa e il significato di questa terza visita e del momento in cui il rav Riccardo Di Segni accoglierà papa Bergoglio.
La testimonianza di un giornalista che ha visto un trentennio di storia nel suo divenire, ma anche le emozioni di un ebreo italiano che non ha certo la pretesa di improvvisarsi teologo, ma osserva attentamente cosa si muove sul fronte del dialogo.
L’Osservatore romano datato 16 gennaio e in edicola questo pomeriggio pubblica, alla vigilia dell’attesa terza visita di un papa alla sinagoga della Capitale, l’analisi del direttore della redazione giornalistica dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Guido Vitale. Nello stesso numero, l’autorevole quotidiano della Santa sede riprende anche l’intervento del suo direttore Giovanni Maria Vian che era stato anticipato sul numero di gennaio del giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche.
Un gesto intercorso fra giornali tanto diversi che testimonia della reciproca volontà di conoscersi e di comprendersi senza mai rinunciare alla chiara, ferma declinazione della propria radice identitaria. E un segno di speranza in accordo, nero su bianco, con i gesti d’amicizia che le grandi guide delle due fedi sempre più spesso vanno scambiandosi.

BERGOGLIO IN SINAGOGA
Ci attendono i frutti più dolci
La terza visita di un Pontefice alla sinagoga di Roma rappresenta certo qualcosa di molto diverso e di assai più significativo del caloroso rinnovo di una bella consuetudine. Molti segnali lasciano intendere che il ripetersi di questo evento non comporti il rischio di sbiadire nella ripetizione formale, ma al contrario segni il tempo di un lungo e difficile percorso che continua a compiersi sulla strada del dialogo.
Le tre diverse personalità dei Papi accolti nel più rappresentativo tempio ebraico italiano, aggiunge certo un carattere distintivo a ognuno di questi incontri. Ma quello che ora emerge con chiarezza, proprio nell’occasione di questa terza visita, è come i diversi incontri si rivelino utili a scandire il tempo del dialogo e a segnarne il divenire.
L’unità di misura costituita dall’elaborazione dei documenti teologici finisce così per trovare un raccordo con i punti fermi segnati da questi gesti di fraterna amicizia.
Molti hanno già constatato la significativa crescita nelle relazioni ebraico-cristiane che ci separa dalla svolta fondamentale della dichiarazione Nostra aetate. Ma è ora possibile contare anche i passi intercorsi dalla stagione della prima visita
Non è necessaria una specifica competenza teologica, per vedere che questa segna il ritmo della nostra amicizia, ma in un certo modo anche quello della nostra vita.
Nell’aprile del 1986, quando si preparava il primo incontro, il rabbino capo di Roma Elio Toaff mi annunciava in un’intervista “Una rivoluzione radicale, una rinuncia alla tentazione di emarginare il popolo ebraico, un gesto che farà nascere rapporti nuovi fra due fedi che hanno le stesse, comuni radici storiche. Nasce un nuovo rapporto, su un piede di parità e di collaborazione. E se alcuni ebrei – concludeva allora – possono temere forse il pericolo di una certa attività missionaria da parte della Chiesa, diciamo si tratta di un rischio che, se mai esistesse, crediamo di essere in grado di poter scongiurare”. Le sue calde parole insegnavano che non può esserci dialogo senza assumersi rischi e responsabilità, senza vincere le incertezze, senza una solida consapevolezza della propria identità che deve tenerci al riparo da pericolose confusioni.
Nell’occasione della visita di papa Ratzinger avevo chiesto al vignettista del giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche di elaborare due disegni da pubblicare uno alla vigilia e uno alla conclusione della sua venuta. Due viaggi per attraversare il Tevere e raggiungere la sponda opposta, quella che si trova di fronte chi guarda Roma dalle mura del Vaticano e chi guarda la stessa città dal punto di osservazione del quartiere ebraico. Le vignette, cariche di simbologie, rappresentavano in modi diversi un viaggio avventuroso, un passaggio difficile. Furono riprese dalla stampa nazionale e internazionale e i colleghi in redazione ricordano ancora divertiti come vi furono troupe televisive che chiesero il nostro consiglio per riprendere il Tevere dalla medesima precisa prospettiva, un certo cantuccio dell’isola Tiberina, che offriva la stessa visuale della vignetta.
Quei disegni costituiscono, assieme alle parole di incoraggiamento del rabbino Toaff, un caro ricordo, eppure, riguardandoli a distanza di appena cinque anni, appaiono già lontani nel tempo, perché la contagiosità dell’amicizia non ha fatto altro che restringere il fiume e avvicinarne progressivamente le sponde, rendendo raggiungibili, grazie ai tanti meriti dei suoi protagonisti, mondi diversi senza inciampare nelle sovrapposizioni.
Meglio allora pensare che le emozioni professionali che accompagnarono le visite precedenti restino vive, ma non replicabili, e che ad esse si possa aggiungere questo alto onore di rivolgersi al lettore dell’Osservatore romano dopo essere stati onorati di ospitare sulle pagine dell’ebraismo italiano il pensiero del direttore dell’autorevole testata vaticana. I grandi miracoli saranno ancora da compiersi, ma anche questo piccolo gesto, che segna la volontà di comprendersi e che un tempo sarebbe stato impensabile, è un bel segno di conforto nei nostri tempi difficili e incerti.
Ma la terza visita, l’avvenimento della presente stagione, oltre a farci misurare il progresso conquistato, ci offre anche l’occasione di guardare avanti. Se la persecuzione, l’emarginazione, la dottrina del disprezzo, la teorizzazione della conversione di massa, sembrano ormai relegati un passato complesso e doloroso, cosa possiamo chiedere parlando al tempo futuro? Cosa possono in particolare offrire gli ebrei di oggi rivolgendosi al mondo cattolico e cosa possono sperare dai propri interlocutori?
Sgombrato il campo dai detriti della diffidenza e del sospetto, sarebbe forse azzardato sostenere che la strada del dialogo appare ora tutta in discesa, ma certamente siamo autorizzati a sperare che della nostra amicizia ci attendano i frutti più dolci. Conquistata la stagione dell’accettazione, possiamo aprirci alla gioia della autentica conoscenza reciproca. E credo che il mondo ebraico nella sua estrema complessità e diversificazione interna faccia bene a chiedere ora di essere non solo accettato, ma anche compreso per quello che effettivamente è.
Il dialogo, come è stato giustamente rilevato da più parti, si è svolto necessariamente fra realtà asimmetriche. E non solo per la ridotta dimensione numerica della popolazione ebraica nel mondo. La maggiore differenza fra gli interlocutori è che il mondo ebraico ha la vocazione di rappresentare una possibilità alternativa di leggere la vita e il mondo. Non un’idea contrapposta, quanto piuttosto un linguaggio, una metodologia del pensiero, un punto di osservazione del tutto differente.
Si direbbe in effetti che il mondo ebraico non possa offrire all’interlocutore un messaggio univoco, un corrispondente unico, una gerarchia facilmente identificabile. Ma al contrario, nella dialettica interna fra gli elementi indispensabili di Israele e della Diaspora, fra i diversi modi di intendere la Legge e la libera scelta individuale, nelle tante modulazioni identitarie che non possono essere tutte facilmente ricomprese nel quadro istituzionale, nell’ancestrale metodologia della discussione e della conoscenza, in questa complicazione si rinnova la sfida di ascoltare molte voci per ricomporle in una visione infine coerente. Ascoltare la complessità che il mondo ebraico esprime può essere contemporaneamente faticoso ed entusiasmante, ma soprattutto comporta la responsabilità di evitare infine fraintendimenti e confusioni. E i cardini della lunga esperienza dell’ebraismo italiano possono rappresentare una bussola preziosa.
Due millenni di storia hanno insegnato che è giusto accogliere tutti e ascoltare tutti, ma senza mai dimenticare che le metodologie interpretative della Legge elaborate dal rabbinato ortodosso restano insostituibili. E hanno insegnato che il legame assoluto, incrollabile con la realtà di Israele non può essere indebolito o reciso in alcun modo.
Accettare questa differente maniera di essere, perseguire l’amicizia sincera e l’autentico desiderio di conoscere l’altro senza prevaricarlo, e continuare a crescere insieme percorrendo lo stesso cammino senza cedere alla tentazione della sostituzione e della conversione, da una parte, e dell’affrettata elaborazione dettata dall’ansia di farsi meglio intendere, dall’altra. Sono questi in definitiva i nuovi orizzonti da conquistare, senza mai cedere il passo alla stanca ripetizione, senza mai piegarsi al vuoto gesto formale, per far sì che le innumerevoli visite e i tanti incontri che ancora ci attendono continuino a rinnovarsi e a palpitare di autentica, incessante emozione.

Guido Vitale, L'Osservatore Romano (15 gennaio 2016)


BERGOGLIO IN SINAGOGA
Ratzinger, un gesto di coerenza che non deve essere dimenticato 
Tra due giorni Bergoglio visiterà il Tempio Maggiore di Roma.
C’è chi sostiene che Bergoglio voglia diventare un vero e proprio "amico" degli ebrei. Io non condivido questa opinione e penso che questo papa sia in bilico fra tendenze opposte in seno alla Chiesa.
Il vero obiettivo sono infatti gli ortodossi, che ha incontrato per tre volte a Gerusalemme e che rappresentano la sfida più significativa per l'unificazione dei cristiani. Una meta comunque difficile e complessa.
Secondo il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, “l’appartenenza religiosa non deve essere motivo di ostilità e conflitto, ma un valore positivo sul quale collaborare”. All’obiezione che la politica vaticana nei confronti dello Stato di Israele resta uno scoglio per il dialogo, il rabbino capo ha detto che “certe scelte vaticane sollevano discussioni e perplessità nel pubblico ebraico". 
Indubbiamente negli ultimi anni si può registrare un miglioramento netto delle relazioni fra Stato di Israele e Vaticano. Le relazioni sono generalmente discrete, sebbene la politica vaticana non si preoccupi della equidistanza. Recentemente ne ha dato prova nei confronti di Abu Mazen, trattato con i guanti bianchi, senza nessuna contropartita per Israele.
Si è molto parlato in questi ultimi tempi dei 50 anni di “Nostra Aetate”. Una modesta riflessione avrebbe portato alla conclusione che questo è l’unico passo significativo compiuto in 2000 anni dalla Chiesa per una piccola apertura verso gli ebrei.
Anche se siamo alla vigilia della visita di Bergoglio, non posso fare a meno di ricordare con affetto il suo predecessore, Ratzinger. Nella sua Trilogia su Gesù, egli scrisse: “Matteo sicuramente non esprime un fatto storico: come avrebbe potuto essere presente in tale momento tutto il popolo e chiedere la morte di Gesù? ”. La “realtà storica”, ha scritto, è quella dei Vangeli di Marco e Giovanni; a chiedere la morte di Gesù non fu “tutto il popolo”, come dice Matteo, ma i seguaci di Barabba designati dal termine greco ochlos (la “folla” dei sostenitori accorsi) e l’aristocrazia del tempio, senza nessun “carattere razzista”. E del resto israeliti erano lo stesso Gesù, tutti i suoi discepoli e la "intera comunità primitiva".

Sergio Minerbi
PRESIDENZIALI USA - l'outsider prende quota
Sanders, consensi in crescita
Nelle sfiancante corsa alla Casa Bianca per ereditare la poltrona dello Studio Ovale da Barack Obama, c’è qualcosa di più sorprendente delle sparate del magnate Donald Trump e della presa che la sua capigliatura, dalla dubbia autenticità, ha sul popolo americano; ed è l’avanzata di Bernie Sanders.

Candidato indipendente affiliato al partito democratico, il 74enne Sanders, ebreo di Brooklyn, attuale senatore del Vermont, sta inaspettatamente salendo nei sondaggi e conquistando consensi. Ultima conferma in ordine di tempo l’endorsement ricevuto dal magazine politico di sinistra The Nation, che nella sua secolare esistenza ha preso posizione schierandosi pubblicamente solo per tre candidati in 150 anni: Jesse Jackson nel 1988, Barack Obama nel 2008 e appunto Sanders. E se Larry David non ha resistito a fargli un’epica imitazione per il Saturday Night Live nella quale il candidato appare come un attempato nonnino ebreo con l’accento di Brooklyn che gesticola e vuole fare la “Revolution”, la comica Sarah Silverman ha deposto le sue battute al vetriolo per gridare “Sanders non è in vendita”.
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INCASTONATE NUOVE PIETRE D'INCIAMPO
Torino, tre nomi per la Memoria
Non c’è ancora nessuno al numero 90 di corso Dante, fatta eccezione per un uomo dal cappello a tesa larga chino davanti al portone. Quest’uomo è Gunter Demnig, l’ideatore delle pietre d’inciampo, che si è assunto l’impegno, tanto morale quanto pratico, di presenziare alla loro collocazione in tutta Europa.
Oggi è il turno di Torino. Le pietre d’inciampo sono un modo di ricordare, un modo di incastonare la memoria nel cemento e nel selciato; segnano i luoghi dove abitavano le famiglie deportate durante il nazifascismo. Tre semplici targhe quadrate, tre nomi, tre date e qualche breve frase. Ma sono d’impatto, perché può accadere che lo sguardo di un passante cada su di esse e allora la memoria torni a vivere.
Alcuni giorni fa erano i nomi di Italo e Silvana Momigliano, a Fossano. Oggi i nomi sono quelli di Ugo Segre, Iolanda Momigliano e Tullio Segre, deportati ad Auschwitz e spentisi nei primi giorni di prigionia.


Emanuele Levi
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pilpul
Lontani dalla vendetta
È una convinzione universalmente diffusa, anche tra persone non particolarmente maldisposte nei confronti degli ebrei, che la vendetta sia un valore tipicamente ebraico. A mio parere non c’è nulla di più falso, ed è sconcertante verificare come questa idea falsa abbia potuto resistere per secoli; o, per lo meno, sarebbe sconcertante se non fossimo così abituati alle menzogne e ai pregiudizi su di noi da non farci troppo caso.
La vendetta è un concetto così lontano dalla nostra mentalità che onestamente non ricordo di aver mai sentito una lezione o partecipato a una discussione nell’ambito del mondo ebraico in cui la parola “vendetta” sia mai stata menzionata, così come confesso di non sapere come si dica “vendetta” in ebraico. In ambito ebraico si parla soprattutto di autodifesa, di sicurezza (esigenze che vengono quasi sempre fraintese), oppure di giustizia, o al limite di punizione dei malvagi, che sono concetti completamente diversi dalla vendetta: giustizia significa riparazione, compensazione per la vittima nella misura in cui ciò è possibile e ristabilimento di un equilibrio che è stato spezzato; punizione significa educazione dell’intera società e rieducazione del malvagio: ne è un esempio evidente la narrazione dell’uscita dall’Egitto, con il midrash che arriva a descrivere il pentimento dello stesso Faraone immerso nel Mar Rosso.


Anna Segre, insegnante Leggi
Il patrimonio perduto
Nel 1934, in Germania, in occasione di un banchetto, il ministro dell’istruzione nazista Bernhard Rust chiese al noto matematico David Hilbert “se l’istituto di matematica dell’Università di Göttingen avesse davvero sofferto tanto per l’espulsione dei membri di origine ebraica”. Hilbert rispose: “Sofferto? L’istituto non esiste più, questo è accaduto!”. A qualche settimana dal Giorno della Memoria, trovo interessante riportare questo aneddoto. Per ricordare non solo le vite che le leggi razziste e la Shoah distrussero, ma anche quell’inestimabile contributo e patrimonio intellettuale che il popolo ebraico apportò alla civiltà occidentale, e che il nazismo irrimediabilmente cancellò. Il ricordo della Shoah, così come il futuro della cultura ebraica e di Israele, dovrà sempre attingere anche a quel passato precedente alla tragedia per poter plasmare la propria identità e il proprio futuro.

Francesco Moises Bassano, studente  
Stranieri in Egitto
L’essere stranieri in Egitto agli ebrei imporrà sempre due condizioni: dover fare i conti con l’estraneità, propria e di altri, e il senso di ospitalità. Comprensione e riconoscimento che non è sempre facile conciliare.

Ilana Bahbout


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