… multiculturalismo

Cosa sarebbe stata l’Europa senza gli ebrei? E come sarebbe stato il Medioriente senza le sue comunità cristiane ed ebraiche? Come si sarebbero mai potute rappresentare la Spagna o la Sicilia senza i Musulmani? Lo spazio del Vecchio Mondo – di questo stiamo parlando – è attraversato da una plurimillenaria presenza storica che ha determinato nel profondo il crescere e il trasformarsi delle culture religiose, sociali e culturali. Molti oggi, di fronte all’emergere di tensioni e di violenze intimamente connesse al conflitto in atto, tendono a pensare a queste considerazioni come a un inutile afflato di buonismo e di ‘correttezza politica’, a cui andrebbe contrapposta una rigida reazione di orgoglio militante in difesa dei cosiddetti principi e valori occidentali. Ma sappiamo tutti che la realtà non è questa, e che questi famosi valori sono il frutto di una lunga e conflittuale maturazione storica di cui non si può non tenere conto. È noto, ad esempio, che molti dei testi della filosofia greca non ci sarebbero mai giunti se non tramite le traduzioni che ne fecero i pensatori arabi dopo il VII secolo. Forme artistiche, moduli letterari, sistemi speculativi viaggiarono di qua e di là attraversando il Mediterraneo, in viaggi di andata e ritorno a volte non pacifici, ma che di certo hanno contribuito a fare del nostro panorama umano una comunità dai valori misti e condivisi. Quando la violenza di una guerra spinge a desertificare in maniera estremistica un’area geografica, tentando attraverso l’espulsione o – peggio – lo sterminio, di distruggerne la complessità, la perdita è grave per tutti. I cristiani hanno attuato questa politica sciagurata nel centro e sud America con i conquistadores. Ora subiscono una violenza non dissimile in Siria o in Iraq e Nigeria. Gli ebrei sono state vittime della Shoah che ha determinato fra l’altro la fine dell’esperienza ebraica in vaste aree dell’Europa, e sono stati espulsi praticamente da tutti i paesi arabi. In tutti questi casi non si tratta solo di una devastazione di una singola identità religiosa e culturale. Quello che viene attuato è un atto di masochismo e automutilazione che priva un determinato territorio di una parte essenziale della sua anima. Per questo motivo – come sottolinea bene Diana Pinto nel suo recente saggio Jewish Spaces and Their Future (in Erica Lehrer – Michael Meng, Jewish Space in Contemporary Poland, Indiana University Press 2015) – i nuovi musei ebraici che si vanno realizzando in Europa rappresentano un atto di responsabilità e restituzione, e un presidio per il riconoscimento delle culture di minoranza come parte non eludibile della cultura di maggioranza. Sono luoghi da cui partire per conoscere e ricostruire un tessuto culturale e storico multiforme, che ci restituisca la consapevolezza che da soli non si va da nessuna parte.

Gadi Luzzatto Voghera, storico

(15 gennaio 2015)