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9 maggio 2017 - 13 Iyar 5777
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STORIA

Gli ebrei italiani e la Grande Guerra

img headerimg headerPaolo Orsucci Granata / MOISÈ VA ALLA GUERRA / Salomone Belforte

“Moisè va alla guerra” è il titolo di un imponente volume che il giornalista e studioso di ebraistica Paolo Orsucci Granata ha dedicato a “Rabbini militari, soldati ebrei e comunità israelitiche nel primo conflitto mondiale”. Edito dalla livornese Salomone Belforte, l’opera monstre – oltre ottocento le pagine elaborate da Orsucci Granata – costituisce un’accurata disamina dell’ebraismo italiano nel periodo drammatico e fatale della Grande Guerra.
“Nel 1915, allo scoppiare della prima guerra mondiale, gli ebrei italiani, la cui consistenza numerica era piuttosto esigua in quanto si aggirava intorno alle 35.000 anime, si disposero con entusiasmo a partecipare al conflitto”, scrive Rav Luciano Meir Caro, Rabbino Capo di Ferrara, nella prefazione.
Era infatti molto diffuso il patriottismo tra gli ebrei italiani che da poco avevano conquistata la parità dei diritti con l’emancipazione, e che per l’Italia unitaria sarebbero stati disposti a sacrificare – e per molti questo purtroppo avvenne – la loro stessa vita.

Marco Di Porto

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STORIA

Sentieri di patriottismo e amore per la vita

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Paolo Orsucci Granata / MOISÈ VA ALLA GUERRA / Salomone Belforte

Proponiamo qui la prefazione del volume “Moisè va alla guerra”:

Nel 1915, allo scoppiare della prima guerra mondiale, gli ebrei italiani, la cui consistenza numerica era piuttosto esigua in quanto si aggirava attorno alle 35.000 anime, si disposero con entusiasmo a partecipare al conflitto. In realtà fin dalle prime guerre del Risorgimento gli ebrei italiani avevano dimostrato uno straordinario attaccamento all’Italia. Anche nel corso della Grande Guerra la partecipazione al conflitto fu accompagnata da larghe manifestazioni di patriottismo che sottolineavano il loro coinvolgimento totale con le sorti della nazione e volevano ulteriormente dimostrare l’avvenuta integrazione nel tessuto sociale italiano dopo i secoli bui della segregazione e dei ghetti. L’apporto ebraico alla guerra è oggetto di questa ampia ricerca di Paolo Orsucci Granata. Si tratta di una cronaca dettagliata di fatti inerenti al conflitto che propone al lettore riflessioni e considerazioni su un periodo denso di eventi drammatici che hanno interessato tutta la popolazione europea. L’autore, che fin da 2008 ha approfondito da varie angolazioni aspetti della dottrina e della vita ebraica con una serie di pubblicazioni edite dalla Salomone Belforte & C., ci presenta qui un’ampia panoramica della storia del conflitto.

Rav Luciano Caro

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MEMORIE

'Caro papà, il gatto del rabbino miagola per te'

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Joann Sfar / LUI ERA MIO PADRE / Edizioni Clichy

II titolo originale, Comment tu parles de ton père, Come parli di tuo padre, è una provocazione gentile, nello stile di Joann Sfar, autore francese noto in Italia soprattutto per la serie Il gatto del rabbino, il suo personaggio più famoso. Ma come in tutto il resto della sua opera le parole graffiano, a volte fanno male, sempre lasciano il segno. Uscito in Italia per le Edizioni Clichy in una traduzione a tratti un po' approssimativa, e intitolato Lui era mio padre è descritto come «una dichiarazione d'amore», «un kaddish tra lacrime e risate» ma è molto di più. Sfar, tra fumetti, sceneggiature, libri, diari disegnati, film e graphic novel regala ai suoi lettori un testo intriso di umorismo e tenerezza, di rabbia e di dolore. Che molto dice dell'identità del suo autore. Un'identità forte, ereditata sia dal padre, avvocato, ebreo algerino «nato nel '33, l'anno in cui zio Adolf è diventato cancelliere, il mostro di Loch Ness fu scoperto e al cinema uscì King Kong», che dalla famiglia materna, ashkenazita di origini ucraine. Sua madre, cantante, è morta quando Sfar aveva poco più di tre anni, un episodio che lo ha segnato anche per la decisione di suo padre di non dirgli la verità, ma che era partita per un lungo viaggio. E proprio ricordando questo episodio Sfar svela l'origine e il senso profondo del suo personaggio più amato: due anni dopo la morte della madre suo nonno, che non ne poteva più di sentirgli chiedere quando sarebbe tornata, ha infranto il diktat paterno dicendogli finalmente la verità: «Quel giorno mi ha dato la parola, ho finalmente saputo chi ero. Ho smesso di essere un gatto domestico».

È questa la vera storia del gatto del rabbino, personaggio che all'inizio non parla, per poi acquisire una sua voce?

«Sì. È in quel momento che sono diventato un essere umano. In grado di capire. Capace di parlare. È il mio personaggio più importante, quello a cui ho sempre voglia di tornare. La stessa cosa mi succede con Piccolo Vampiro. Non è un caso che siano entrambi destinati ai bambini, è per loro che scrivo le cose a cui tengo di più, quelle che per me hanno più valore, perché hanno più valore per loro. Per i bambini i libri non sono solo un passatempo tra tanti, possono segnare per la vita. È con quello spirito che aprono un libro, alla ricerca di qualcosa di nuovo da scoprire».

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Sono passati due anni tra la morte di tuo padre e la pubblicazione in Francia di questo libro, nonostante tu sia noto per la tua prontezza nel reagire al mondo che ti circonda.


«Sì. Avevo paura. Paura di non rendergli giustizia, di dire troppo o non abbastanza, di essere troppo generoso. O troppo duro. Tutti mi chiedono se mi ha fatto bene scriverlo, se mi ha aiutato. Beh, la risposta è no. Mi ha fatto bene vederlo pubblicato, averne in mano una copia. E soprattutto vedere il libro nelle mani dei tanti che sono venuti alle presentazioni: molti davano l'impressione di aver conosciuto mio padre, anche se ovviamente non era vero. Ecco, questo per me è molto bello».

Ada Treves, La Stampa TuttoLibri, 6 maggio 2017 

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STORIA

Antifascisti sconfitti

FILOSOFIA

Alla ricerca dell'identità

Il nome veniva dal rovesciamento di quello del gruppo anarchico fondato a Napoli nel 1865 da Michail A. Bakunin: «Libertà e Giustizia». La nascita è databile all'agosto del 1929, quando giunsero a Parigi Carlo Rosselli, Emilio Lussu e Francesco Saverio Nitti, evasi dal confino di Lipari. Ad accoglierli trovarono Gaetano Salvemini, Alberto Cianca e Alberto Tarchiani. A loro si sarebbero nel tempo aggiunti Umberto Calosso, Riccardo Bauer, Ernesto Rossi, Augusto Monti, Silvio Trentin, Vittorio Foa, Aldo Garosci, Leone Ginzburg, Andrea Caffi, Michele Giva, Max Ascoli, Franco Venturi e molti altri. Nessun gruppo o partito dell'epoca ebbe una concentrazione di cervelli di pari livello, sottolinea Marco Bresciani nelle pagine iniziali del saggio Quale antifascismo? Storia di Giustizia e Libertà, pubblicato da Carocci. Fondamentale fu per GL la generazione che si era formata all'inizio del Novecento, tutti grandi lettori de «La Voce», la rivista che Giuseppe Prezzolini fondò nel 1908.

Paolo Mieli
Corriere della Sera
3 maggio 201
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Non è stato facile per Giancarlo Gaeta curare l'edizione italiana postuma del dialogo autobiografico di Imre Toth con lo scrittore ebreo ungherese Péter Várdy raccolto in tre diverse interviste tra il 1987 e il 1999 e variamente rivisto dallo stesso Toth, impegnato in continue riscritture dei suoi testi, pubblicato a Budapest nel 2004, viene ora tradotto in italiano da Francesca Ervas, a partire da una versione francese inedita di Judith Dupont. Si tratta di una delle migliori riflessioni sulla condizione ebraica. Toth aveva dedicato a questo aspetto decisivo della sua biografia e della storia del Novecento Essere ebreo dopo l'olocausto (Prefazione e cura di Bianca Maria d'Ippolito, Postilla di Romano Romani, Cadmo, Fiesole 2002, ora disponibile anche in versione digitale), a sua volta ricavato dal contributo al Convegno Internazionale Olocausto. La Shoáh tra interpretazione e memoria (Napoli, 5-9 maggio 1997).




Gaspare Polizzi
Il Sole 24 Ore Domenica 7 maggio 201
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