Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
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Se
tutti gli abitanti di Yerushalaim fossero bambini, potremmo dire loro
di non accettare caramelle dagli sconosciuti. Ma gli abitanti ebrei di
Yerushalaim non sono bambini e non lo sono nemmeno gli abitanti
cristiani né tantomeno quelli musulmani e quindi dobbiamo correre il
rischio di accettare caramelle dagli sconosciuti.
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Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
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Nel
1903, quando gli ebrei di Kishinev vennero colpiti dall’orrendo pogrom
favorito dalla polizia zarista, il poeta Chaiyym Nachman Bialik
(1873-1934) visitò le strade e le case ancora grondanti di sangue e
scrisse di getto il suo poema yiddish “In Shchite-Stot”, reso in
ebraico in versione parzialmente differente con “Be-‘Ir ha-haregah”
(“Nella Città del Massacro”, ed. italiana Genova, Melangolo 1992: è
chiaro a tutti che la parola “Shchite” utilizzata in yiddish è più di
massacro, indica lo sgozzamento di un animale).
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Il
testo apparso nella newsletter di ieri del professore Sergio Della
Pergola non era interamente visualizzabile. La redazione si scusa con
l'autore e con i lettori per l'errore. Di seguito il testo integrale
dell'intervento.
Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme
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arrivati a bordo della loro Skoda Octavia, 1900 cc. diesel,
probabilmente di seconda mano, i terroristi palestinesi di Har Nof. Uno
dei due lavorava in un negozio del quartiere. Presumibilmente parlava
un po’ l’ebraico e magari il giorno prima qualche avventore gli aveva
detto sbadatamente shalom o chiesto l’ubicazione di un prodotto su uno
scaffale. L’attentatore palestinese che lo scorso mese ha gravemente
ferito l’attivista Yehuda Glick, lavorava al ristorante del Centro
Begin, un moderno istituto culturale serio e orientato a destra, dove
lo stesso Glick aveva appena partecipato a una riunione. Evidentemente
anche costui doveva parlare un ebraico per lo meno discreto e si
muoveva agevolmente tra la caffetteria e la sala internet spesso molto
affollate dell’elegante edificio. Questi e altri rappresentanti del
nuovo terrorismo palestinese non sono degli emarginati che vivono in
casupole non intonacate a Gaza, o in campi profughi coi sentieri di
fango alla periferia delle città della Cisgiordania, bensì persone con
un reddito abbastanza regolare, un’abitazione a Gerusalemme, un’auto in
discrete condizioni, a volte moglie e figli. Hanno frequenti occasioni
di incontrare ebrei israeliani e i rapporti in questi casi sono
generalmente corretti. Un giorno improvvisamente, si alzano e vanno a
compiere un massacro – evidentemente sobillati da qualcuno, a volte
finanziati da qualcuno, o con il supporto logistico di qualcuno. La
distinzione che molti cercano di fare fra una guerra di religione
(brutta?) e una guerra di etnie (bella?) è totalmente irrilevante. Di
guerra certamente si tratta, anche se in questo caso e per ora è
combattuta sporadicamente da singoli. Ma qui non si tratta di far
prevalere un principio teologico sopra un altro, o una bandiera e la
sua cultura sopra un’altra. L’obiettivo vero e dichiarato è
semplicemente danneggiare, ferire, o distruggere lo stato di Israele,
il paese degli ebrei. Sulle diverse gradazioni di questa ipotesi (e le
differenze fra danneggiare e distruggere sono di non poco conto) vi è
un’ampia convergenza di consensi, dai sunniti del Califfato e di Al
Qaeda, agli sciiti di Hezbollah e del regime sempre più nuclearizzato
di Teheran, dall’Autorità Palestinese alla Turchia e al Qatar.
L’Egitto, da quando è presidente el-Sisi, capisce di avere interessi
molto simili a quelli di Israele e agisce di conseguenza. L’Europa e
tristemente anche gli Stati Uniti fanno finta di non vedere che gli
episodi di terrorismo sono delle infiltrazioni, per ora contenute, del
fondamentalismo islamico rampante in tutte le sue diverse versioni e
sfumature. Così l’Occidente richiama “le due parti” a “moderare i
comportamenti” di fronte agli spiacevoli “eventi” in “quella terra”.
Questo gigantesco fenomeno di rimozione in atto in Occidente – in
presenza di scene mai viste prima di decapitazioni di massa – non può
concludersi bene. Il fondamentalismo islamico non punta solamente a
Israele, punta molto al di là.
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Gentiloni e i negoziati
tra israeliani e palestinesi |
INon
è il momento per parlare di riconoscimento della Palestina, la priorità
è il riavvio dei negoziati di pace. Lo ha spiegato il ministro degli
Esteri italiano Paolo Gentiloni, a margine dell’incontro avuto ieri
alla Farnersina con il rappresentante degli Esteri palestinese Riad
al-Malaki. A riportare la notizia del vertice, tra gli altri, il Sole
24 Ore che sottolinea la ferma condanna da parte di Gentiloni
“dell’ignobile atto contro una sinagoga a Gerusalemme”, in riferimento
al sanguinoso attentato di martedì nella Capitale israeliana. Il
ministro ha espresso in un colloquio telefonico con l’omologo
israeliano Avigdor Lieberman la solidarietà dell’Italia a Israele.
Gentiloni ha manifestato apprezzamento per la condanna dell’attentato
da parte del presidente palestinese Mahmoud Abbas e del ministro
al-Malaki, invitando entrambe le parti a “compiere ogni sforzo per
fermare l’escalation” di violenza. “La questione del riconoscimento
della Palestina verrà valutata con la massima attenzione al momento
opportuno e più utile per rilanciare il negoziato – ha dichiarato il
titolare della Farnesina – Per l’Italia la priorità resta la ripresa
del negoziato tra le parti”.
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qui milano - Meeting of Presidents
Europa ebraica a confronto
Sarà
Milano, questo weekend, il centro dell'Europa ebraica. Il capoluogo
lombardo è stato infatti scelto come sede del quinto Meeting of
Presidents of Jewish Organisations, organizzato dal European Council of
Jewish Communities e dalla American Jewish Joint Distribution Committee
in collaborazione con l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e con
la Comunità ebraica di Milano, che si inizierà oggi e terminerà
domenica. Il summit riunisce i leader delle Comunità ebraiche d'Europa
e delle organizzazioni ebraiche pan-europee per un nuovo importante
momento di confronto sul futuro dell'ebraismo europeo e delle sue
istituzioni e sulle sfide comuni che lo attendono, a due anni
dall'ultimo Meeting svoltosi a Barcellona. All'ordine del giorno temi
pratici che riguardano nella stessa misura la gestione di tutte le
Comunità ebraiche, tra cui sicurezza sociale, educazione, giovani, e
cultura ma anche argomenti di più largo respiro come crisi del modello
comunitario, identità ebraica e integrazione, lotta all'antisemitismo,
rapporti con Israele. L'intenzione è quella non solo di rivedere e
ampliare la Barcelona Declaration del 2012 ma soprattutto quella di
creare “una piattaforma, nella quale ogni individuo porta la sua
esperienza e la condivide con gli altri, e il cui scopo è dunque quello
di mettere a sistema le conoscenze e le esperienze delle comunità
ebraiche perché queste rimangano a disposizione”, come sottolinea
Simone Mortara, segretario del consiglio dell'ECJC e consigliere della
Comunità ebraica di Milano. Denso e articolato il programma del
weekend. Ad inaugurare i tre giorni di lavori, al fianco del presidente
UCEI Renzo Gattegna, Benjamin Albalas, presidente ECJC e Diego Ornique, direttore di JDC Europe.
(Nell'immagine un intervento nel corso del quarto Meeting of Presidents di ECJC e JDC svoltosi a Barcellona nel 2012) Leggi
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DOPO LE POLEMICHE SULL'INIZIATIVA ROMANA
Torino, il Museo fa chiarezza
sulla mostra della discordia
Immediata
e chiara, è arrivata oggi la risposta del Museo Diffuso della
Resistenza di Torino alle sollecitazioni della Comunità ebraica della
città. Il Museo ospita in questi giorni una mostra, precedentemente
esposta a Roma, che è stata curata dall’UNRWA, l'agenzia delle Nazioni
Unite che si occupa dei rifugiati palestinesi. Da oggi all’ingresso
della mostra è presente un pannello che spiega ai visitatori
l’accaduto. Quello che segue ne è il testo integrale: “La mostra che il
Museo ospita, che è stata inaugurata a Roma nei locali della Camera dei
Deputati, è stata curata e organizzata dall’ Unrwa (United Nations
Relief and Works Agency), l’istituzione delle Nazioni Unite che da più
di sessant’anni svolge, per conto di tutta la comunità internazionale,
il difficile compito di soccorso ai milioni di profughi palestinesi che
vivono a Gaza, in West Bank, in Giordania, in Libano e in Siria.
Dell’UNRWA i contenuti della Mostra riportano lo sguardo e il punto di
vista. È giusto che i visitatori della Mostra siano informati che la
Comunità Ebraica torinese, che è tra i soci del Museo e che ne ha
sempre costituito una componente viva ed essenziale, ha espresso una
indignata protesta contro i contenuti della Mostra, criticandone il
carattere unilaterale, fazioso e pregiudizialmente antiisraeliano. Di
fronte a questo contrasto il Museo non può che proporsi come spazio di
ascolto, di dialogo e di comprensione tra posizione diverse. L’amicizia
per Israele e la difesa del suo diritto alla sicurezza e il
riconoscimento del diritto del popolo palestinese a un proprio stato
non si escludono l’una con l’altro. È bene ricordarlo in un momento in
cui il terrorismo rinnova la sua minaccia in Israele e in tutto il
Medio Oriente”.
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qui roma - il ricordo di max ascoli
L'Italia dagli occhi di un esule
Prosegue
il convegno organizzato dalla Biblioteca e l’Archivio storico del
Senato dedicato a Max Ascoli, un caso paradigmatico nella trattazione
della politica e cultura italiana in rapporto con gli Stati Uniti.
Ascoli, giornalista e professore di Diritto, è stato uno degli
intellettuali italiani trasferitisi in America più influente del
dopoguerra, protagonista di carteggi con figure di spicco come Luigi
Sturzo. Dopo gli incontri di ieri pomeriggio che hanno visto la
partecipazione di Giovanni Orsina nella trattazione del rapporto tra
Giovanni Malagodi e gli Stati Uniti, si sono susseguiti Fabio Grassi
Orsini (“Mosca, Pareto e la politologia americana dinnanzi all’avvento
del totalitarismo”) e Massimo Teodori (“Il Congresso per la libertà
della cultura: Stati Uniti e Italia). Ampia riflessione poi
sull’avvento del Fascismo con la relazione di David Kertzer della Brown
University, “La Chiesa cattolica e gli Stati Uniti negli anni del
totalitarismo fascista”), Mauro Canali dell’Università di Camerino che
si è concentrato sulla figura di Dino Bigongiari e Alessandra Tarquini
che ha analizzato la percezione degli Stati Uniti nella cultura
fascista. David Kertzer, tornerà ad essere protagonista lunedì 24 con
la presentazione del suo libro “Il patto col diavolo” edito da Rizzoli,
un lavoro che esplora il rapporto tra Mussolini e papa Pio XI: ad
intervenire alle 17.00 alla Sala Zuccari del Senato, oltre l’autore,
Piero Craveri, Mauro Canali, Lucia Ceci ed Emma Fattorino. A fare da
moderatore Romano Prodi. Leggi
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QUI ROMa - cooperazione italia-israele
Il Technion e le nuove sinergie
Polo
d’eccellenza del sapere contemporaneo, casa di molti scienziati di fama
tra cui alcuni premi Nobel (ultimo dei quali Daniel Shectman, premiato
nel 2011 per la sua scoperta sui quasicristalli), il Technion di Haifa
è protagonista in queste settimane di una serie di accordi di
cooperazione con il mondo universitario e produttivo italiano. Una
missione i cui obiettivi, tra startup e settore manifatturiero, saranno
al centro di un evento organizzato per la serata di domani dall’Italian
Technion Society.
L’appuntamento è per le 20 presso il Centro Ebraico Il Pitigliani di
Roma. Protagonisti due menti illustri del Technion: Alan Wolf, padre
dello ‘snake robot’, e Dovev Lavie, che ha fondato il programma
‘Start-up MBA'. In sala, tra gli ospiti d’onore, il ministro
dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Stefania Giannini,
l’assessore allo sviluppo economico e alle attività produttive della
Regione Lazio Guido Fabiani, l’ambasciatore d’Israele a Roma Naor
Gilon.
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Coesione e spaccatura |
Davvero
troppo strane e anomale le notizie che arrivavano da Torino domenica e
lunedì scorsi: una Comunità festosa e unanime, un’affollatissima
cerimonia (per l’insediamento del rabbino capo Ariel Di Porto)
commentata da tutti positivamente e su cui nessuno aveva niente da
ridire. Ebrei che non litigano? Nessuna divergenza di opinioni? Com’è
possibile?
Anna Segre, insegnante
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L’unica soluzione |
Un
anno fa circa, scrissi il mio primo articolo per queste pagine. Una
riflessione che riportava la notizia di uno studio linguistico condotto
in Israele tra gli arabo-israeliani sul cosiddetto “arabraico”. Poche
righe per esprimere come il linguaggio possa diventare un punto
d’incontro, una tappa fondamentale verso la reale conoscenza e la
comprensione dell’altro. .
Francesco Moises Bassano, studente
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Il coraggio di essere |
Si
è quello che già siamo o quello che diventiamo? In fondo, il film “The
good son” della giovane regista israeliana Shirly Berkovitz affronta
questo tema attraverso il racconto della vita di Or, un ragazzo
israeliano che comprende una volta per tutte cosa lo avrebbe aiutato ad
essere se stesso: cambiare sesso.
Ilana Bahbout
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