Roberto
Della Rocca,
rabbino
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Ogni
qualvolta che assistiamo impotenti a tragici avvenimenti come quelli di
Parigi insorge il dilemma se trasferirsi in Israele lasciando il
proprio paese di residenza o meno. Nonostante la progressiva e
massiccia Aliyah di questi ultimi anni e che probabilmente aumenterà,
nella maggior parte dei discorsi ufficiali dei rappresentanti della
comunità ebraica francese ha prevalso la netta propensione a ribadire
che il loro posto resta la Francia.
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Dario
Calimani,
anglista
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Non
ho mai saputo che cosa sia l’invidia, ma oggi più che mai invidio
coloro che, da una parte e dall’altra, hanno risposte sicure per le
proprie domande. Invidio i guru del pensiero e invidio i generosi
d’animo, invidio coloro che perdonano per professione e invidio coloro
che per professione odiano. E invidio coloro che sanno bene che cosa si
sarebbe dovuto fare ieri e sanno benissimo che cosa si dovrà fare
domani.
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Gli ebrei di Francia al bivio
"Andiamo" "Restiamo"
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Numerosi
oggi gli approfondimenti dei giornali sul futuro degli ebrei
d’Oltralpe. “Restiamo in Francia nonostante l’odio o daremo a Hitler
una vittoria postuma”, l’appello del regista Claude Lanzmann su
Repubblica. “Vivo per miracolo, parto per Israele” dice invece il
proprietario del supermercato casher parigino colpito dai terroristi
(Corriere). Nello stesso articolo si racconta inoltre dello scarso
apprezzamento dell’Eliseo per l’invito di Netanyahu ad emigrare. A
mezzogiorno, ora locale israeliana, i funerali delle quattro vittime
all’Hyper Casher. Prevista la partecipazione di Netanyahu, del
presidente Reuven Rivlin, del leader dell’opposizione Isaac Herzog e
del ministro dell’Ambiente francese Ségolène Royal.
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Terrore a parigi - identità e professionalità
Malka, l'avvocato del diavolo
I
superstiti della redazione di Charlie Hebdo stretti ai congiunti dei
massacrati nell’HyperCacher in testa. I grandi della terra,
ironicamente proprio i protagonisti delle feroci vignette del giornale
satirico, stretti attorno al Presidente francese Francois Hollande,
subito al seguito. Mentre dietro all’apice del corteo di Parigi
scalpitavano i milioni di cittadini venuti a dire no al terrorismo
islamico e a scrivere insieme una pagina d’Europa, pochi hanno fatto
caso al piccolo ebreo che con un gesto ha dato l’avvio alla marcia.
Suo il primo passo, suo l’artiglio che ha schierato come soldatini
della libertà i reduci storditi e anarcoidi, suo il richiamo per
tornare immediatamente al lavoro e assicurare la nuova uscita del
giornale. Troppo stretto il tempo, troppe forti le emozioni, ancora
scarsa la prospettiva per pesare l’influenza dell’angelo custode del
giornale più odiato dagli integralisti islamici. Ma c’è lui dietro la
chiamata a raccolta dei superstiti della redazione, dietro il guanto
della sfida all’intolleranza islamica, dietro le immense rotative che
in queste ore bruciano incessantemente milioni di copie di una tiratura
senza precedenti per dire al mondo che Charlie non si ferma.
Richard Malka non è un vignettista, non è un giornalista, non è un
grafico. È un avvocato, fra i giuristi europei uno dei massimi esperti
al mondo di Diritto dell’informazione. È ormai l’arbitro dei confini
estremi della stampa e della satira. Perché la satira in una democrazia
deve conoscere un solo limite, quello della Legge. E chi vuole fare
satira sul serio deve tenersi quanto più vicino a questo limite senza
travalicarlo.
Per questo a portare assieme al direttore responsabile il peso di
decidere quello che si può o non si può pubblicare, i giornalisti di
Charlie Hebdo hanno sempre considerato una presenza irrinunciabile in
redazione quella del loro avvocato. E che avvocato. Al di là delle
competenze professionali, porta la toga da quando aveva 23 anni e le
cause perse per lui sono un’idea quasi inconcepibile. Chi ho la
conosciuto da vicino assicura che è fatto di una lega molto resistente,
quella che nasce dalla fusione delle identità sefardite e aschenazite.
Nato
nella primavera del 1968, quando Parigi era sconvolta dal vento della
rivolta studentesca, l’educazione di famiglia è stata irrevocabilmente
sfaradi. Venuto da gente costretta all’esilio dall’intolleranza araba,
cresciuto in una di quelle famiglie in cui la riuscita non si regala e
non si briga, si conquista con il lavoro e la si difende con le unghie,
Malka ha trovato la precocissima formazione professionale all’ombra di
uno dei massimi giusti francesi del dopoguerra. Il suo maestro è stato
l’avvocato Georges Kiejman, l’ebreo polacco che bambino in Francia
durante la Shoah ha visto deportare ad Auschwitz i genitori e la
sorella, poi è divenuto confidente e ministro dei grandi leader della
sinistra storia, da Pierre Mendes France e Francois Mitterrand. Proprio
con Kiejman, avvocato travolgente, laico impenitente, intellettuale
corrosivo, dandy e seduttore tanto da essere protagonista di film e
romanzi, Malka entra nell’equipe dei legali di Charlie Hebdo per
difendere il diritto del settimanale a pubblicare le vignette su
Maometto.
Da allora comincia una carriera strabiliante, che lo porta nella
classifica delle prime 30 persone più influenti nei media francesi e
nella classifica dei 15 avvocati francesi più potenti.
I suoi consigli ai giornalisti di Charlie raramente si sono dimostrati
avventati. In tribunale Malka non ama perdere e quasi tutti coloro che
hanno tentato un’azione legale contro Charlie Hebdo ne sono usciti con
le ossa rotte. Secondo le statistiche il giornale ha vinto contro i
numerosi ricorrenti nell’81 per cento dei casi arrivati a giudizio, una
percentuale sbalorditiva, dato il carattere estremamente provocatorio
della pubblicazione.
Illuminante,
dopo la parata unanimista di queste ore e la decisione della rivista
dei Gesuiti francesi di pubblicare le vignette prima tanto criticate,
anche la statistica degli avversari del giornale affrontati e quasi
sempre sbaragliati da Malka in tribunale. In prima linea le
organizzazioni di estrema destra, poi altri giornali o giornalisti
concorrenti, quindi in forze le organizzazioni cattoliche integraliste,
cui seguono le rappresentanze dei musulmani e degli esuli dal Nord
Africa. Sfruttando le leve di un apparato legislativo tradizionalmente
molto attento a garantire la libertà di stampa, Malka è riuscito a far
pubblicare disegni e parole estremi e a farsi dare ragione dai giudici.
Ma non basta. In tribunale ha scritto pagine di storia portando a casa
sentenze per la difesa della laicità e dei diritti civili che molti
oggi pensano possano condizionale il futuro dell’Europa. A cominciare
dalla vicenda dell’asilo infantile da lui difeso con successo nella
causa per il licenziamento in tronco di una dipendente islamica che
aveva deciso di portare il velo.
Fra i suoi assistiti anche l’ex direttore generale del Fondo monetario
internazionale Dominique Strauss Kahn, Carla Bruni-Sarkozy,
l’imprenditore israeliano Beny Steinmetz, il regista Olivier Assayas,
la mitica casa editrice che ha inventato il fumetto contemporaneo la
graphic novel L’Association, e una interminabile lista di testate
giornalistiche, emittenti, editori di libri, di persone che contano e
di semplici cittadini che invocano i diritti civili. Tanti, ovviamente,
i suoi nemici, a cominciare dalla famiglia Le Pen. Proprio nei
confronti di Marie Caroline Le Pen, Malka si è permesso il lusso di una
rara delusione in tribunale, autorizzando la redazione di Charlie a
gratificarla senza mezzi termini dell’appellativo di “cane di
Buchenwald”.
Ma portare la toga non è il solo passatempo che l’avvocato del diavolo
si concede. Fra una causa e una riunione di redazione, Malka scrive
sceneggiature per i suoi amici fumettisti e già una ventina di album
molto popolari portano la sua impronta. Due attività solo
apparentemente lontane una dall’altra. L’ultimo libro disegnato di cui
Malka ha ideato la storia, infatti, “La vie de Palais”, è da poco
arrivato nelle librerie e costituisce una straordinaria testimonianza a
fumetti di cosa significa fare l’avvocato.
Avvocato del diavolo, come lo vedono gli avversari o Regina tutelare
della libera espressione, come suggerisce il suo cognome e come lo
raccontano i suoi collaboratori più cari, Richard Malka suscita
emozioni forti. Nell’era era del dopo Charlie che comincia oggi, molti
ebrei, molti giornalisti e tutti i cittadini di buona volontà gli
devono un grazie per il suo perenne, impertinente, irrevocabile atto di
difesa della democrazia, della libertà di stampa e del diritto di
ridere in faccia alla paura.
gv
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CINEMA Golden Globes, il trionfo di Levi
Lui,
lei, gli altri. Il triangolo no, non l’avevo considerato. Peccato che
in The Affair, l’ultima fatica ideata da Hagai Levi e Sarah Treem e
vincitrice sorprendente dei patinati Golden Globes di domenica scorsa,
i protagonisti siano quattro: Noah Solloway, scrittore sposato con
Helen che intreccia una relazione extraconiugale con Alison una
cameriera unita dal sacro vincolo con Cole che ha appena perso un
figlio. L’interpretazione di Ruth Wilson (che interpreta Alison) ha
strappato un secondo Golden Globe, teletrasportando il progetto nel
paradiso delle serie tv benedette dalla critica. Per non parlare poi
della carriera sfavillante del suo ideatore: toc toc, quel Hagai non vi
fa venire in mente nulla? Nato mezzo secolo fa a Sha’alvim, Levi è lo
sceneggiatore e produttore televisivo di origine italiana che si cela
dietro al clamoroso successo del telefilm Be Tipul, la storia di uno
psicanalista (interpretato dal compianto Assi Dayan) e dei suoi
inquieti pazienti.
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TERRORE A PARIGI - L'ATTENZIONE DEI MEDIA
Valori ebraici, pilastro d'Europa
"Siamo
in guerra e prendiamo coscienza che siamo solo agli inizi. È la prima
volta dai giorni di Adolf Hitler che le sinagoghe in Francia sono state
chiuse di sabato. Tuttavia, è unicamente il tragico e spaventoso
attentato al giornale Charlie Hebdo che ha scosso gli europei: i molti
e continui attentati ai singoli ebrei e alle comunità ebraiche in tutta
Europa in questi anni hanno turbato qualcuno, ma per quasi tutti si è
trattato 'solo' di ebrei”. Si apre con questa constatazione
l'intervento del presidente emerito dell'Assemblea Rabbinica d'Italia
Giuseppe Laras (immagine in alto) che appare oggi con grande evidenza
sul Corriere della sera. Una riflessione che tocca da vicino i temi del
momento – i rigurgiti di odio dell'islamismo radicale, la crescita
dell'antisemitismo, la difesa della libertà fondamentali – e riafferma
la centralità della Torah, la Bibbia ebraica, alla base del patrimonio
di valori condivisi dalle società democratiche e progredite.
“È la Bibbia ebraica – scrive rav Laras – a introdurre nella civiltà
umana la libertà quale dna costitutivo dell’uomo e del creato,
speculare alla libertà del Creatore (libertà e non sottomissione!). È
la Bibbia ebraica a sostenere che il lavoro umano rende l’essere umano
simile a Dio nel creare. È la Bibbia ebraica, a porre, con la
straordinaria rivoluzione introdotta dallo Shabbat, un limite al
lavoro, altrimenti deleterio, rendendo l’uomo simile a Dio anche nel
riposare. È con lo Shabbat che vengono inventati i 'diritti umani
universali', includendo uomini, donne, stranieri, schiavi e perfino
animali. È con lo Shabbat e con i precetti biblici di aiuto ai poveri e
di costruttiva solidarietà con i derelitti della società che trova
fondamento la nostra idea di 'welfare' e non da altre culture. È la
Bibbia, sia ebraica sia cristiana, a ipotizzare in qualche modo una
possibile divisione tra politica e religione”.
Grande attenzione sui media per le prese di posizione e gli interventi
del mondo ebraico. “L'atteggiamento degli ebrei italiani è un
atteggiamento di grande consapevolezza che anche un cambiamento delle
abitudini sarebbe una vittoria per chi sta cercando di colpirci” il
messaggio lanciato dal presidente UCEI Renzo Gattegna al Gr Radio. In
una intervista apparsa ieri sul Corriere della sera il presidente
dell'Unione rilevava inoltre come, a proposito dei fatti di Parigi,
della lotta all’odio e all’antisemitismo e della difesa degli
insopprimibili valori di libertà di espressione e di satira, siano in
gioco “tutte le conquiste che la civiltà occidentale ha guadagnato a
caro prezzo”.
Ospite del programma di approfondimento Porta a Porta, il presidente
della Comunità ebraica romana Riccardo Pacifici è stato protagonista di
una aperta contrapposizione con Davide Piccardo, portavoce di alcune
associazioni islamiche lombarde che già in passato aveva occupato le
cronache per le sue provocazioni e le sue posizioni violentemente
anti-israeliane.
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Charlie/Israel |
Dopo che tutto è stato già detto, non resta che attaccarsi a qualche piccola briciola.
Il supermarket ebraico dove è avvenuta la strage di Parigi, come
indica la vistosa scritta sulla facciata, si chiama Hypercacher. In
francese ch si legge sh, e la parole sono generalmente accentate
sull'ultima sillaba. Dunque Hypercashèr. Cashèr in ebraico significa
consentito, adatto, buono alla bisogna, e si scrive כשר. Il suo
contrario in ebraico è tarèf. La fonetica dell'ebraico, nella versione
delle comunità mediterranee-sefardite, che è quella dominante e
ufficialmente omologata dalla radio-televisione israeliana, è molto
simile a quella dell'italiano. Dunque – il lettore perdoni la
pedanteria – in italiano cashèr si legge cashèr. Ma in tutti i servizi
delle TV italiane abbiamo sentito ripetutamente che il supermercato
vendeva prodotti kòsher, o anche koshèr. Eppure bastava leggere
l'insegna. L'evidenza che è davanti ai nostri occhi evidentemente non è
sufficiente. Forse perché kòsher è parola più straniera di cashèr,
forse perché per il cronista l'ebreo è più straniero di un francese o
di un italiano.
Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme
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Il passo necessario
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Oggi
la palla è nel campo musulmano. Di fronte alla cruda constatazione che
non tutti i musulmani sono estremisti, ma che tutti gli estremisti sono
musulmani, è la umma a dove reagire. Una comunità vasta e in
maggioranza tollerante, che però deve recidere il cordone ombelicale
con i “fratelli che sbagliano”. Intendiamoci. L’Occidente ha molto da
fare, ma sono obiettivi di facile elencazione: coordinamento sulla
prevenzione e sulla sicurezza; investimenti per l’integrazione; tutela
dei diritti e delle libertà fondamentali; indirizzi chiari sui propri
valori democratici, come abbiamo ammirato domenica a Parigi. Senza
cadere nella trappola dello scontro tra civiltà.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas
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Storie
- Il bunker segreto |
Si
torna a parlare delle armi segrete naziste. È stato ritrovato in
Austria un bunker gigantesco dove, secondo le primi ricostruzioni, gli
scienziati e i tecnici di Adolf Hitler avrebbero lavorato ai test per
realizzare una rudimentale bomba atomica e alla produzione del
micidiale missile V2 (Vergeltungswaffe, in tedesco arma di
rappresaglia), che fu utilizzato dalla Germania nelle ultime fasi della
seconda guerra mondiale per colpire la popolazione di Gran Bretagna e
Belgio. Si tratta di un complesso sotterraneo, largo più di 75 acri,
nei pressi della piccola cittadina di St Georgen, non lontano dal lager
di Mauthausen-Gusen. La scoperta risale a fine dicembre ed è stata resa
ufficiale e rilanciata dal quotidiano inglese The Independent.
Mario Avagliano
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La forza della lucidità
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Dopo gli attentati di Parigi l'Europa ha compreso il significato del terrorismo fondamentalista islamico.
Il movente non è politico, come l'etiquette occidentale prevederebbe,
ma ideologico e nichilista, di chi vuole prevaricare con una cultura
dell'odio sulla cultura della libertà.
L'ebraismo ha la triste occasione di mostrare le minacce a cui è
sottoposto, e farsi percepire come parte della società occidentale,
cosa per nulla scontata.
L'incontro a Porta a Porta di lunedì sera è stata una occasione
mancata. Purtroppo alla provocazione del rappresentante delle comunità
musulmane su Israele non si è saputo rispondere con lucidità. Concetti
confusi, frasi aperte e mai concluse con incidentali che impedivano di
capire dove si stesse andando a parare, e un climax di concitazione
placato solo da uno degli altri ospiti che ha invitato l'ebreo e il
musulmano "a non fare i bambini che litigano".
Benedetto Sacerdoti
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