Paolo Sciunnach,
insegnante | “Impara
ad aspettare. Se non ti sembra di riuscire ancora a raggiungere i tuoi
obiettivi, malgrado tutti i tuoi sforzi risoluti, sii paziente. Fra
l’accettazione e l’ansia, scegli l’accettazione”.
“Tu sei laddove sono i tuoi pensieri. Assicurati che i tuoi pensieri siano dove tu vuoi essere”.
(Rabbi Nachman di Breslav)
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Anna
Foa,
storica | Il
fatto che molti attentatori degli ultimi mesi siano giovani o
giovanissimi nati in Europa e immigrati di seconda o anche terza
generazione non deve farci dimenticare i tanti, la maggioranza,
integrati nelle società occidentali, che svolgono il loro lavoro
normalmente, che professano l’Islam come altri vanno in chiesa o in
sinagoga, senza sogni di conquista o di mattanza degli infedeli. E che
spesso sono le prime vittime degli assassini, intendo materialmente,
perché ideologicamente quello che l’IS vuole è proprio far fallire
questa realtà e contrapporre in Occidente i cittadini musulmani agli
altri. Una guerra di civiltà che noi occidentali, per fortuna, non
siamo disposti per ora a combattere come tale. Così leggo che una delle
tre agenti di Charleroi colpite al machete dall’assassino islamico,
quella che per prima gli ha sparato, è musulmana, Hakima. Quella che
resterà sfregiata in volto dal machete. Era accanto alla sua collega
cristiana, Corinne, anche lei gravemente colpita. Sono state colpite
per la loro divisa, certo, ma agli assassini non importa distinguere la
loro religione, anzi. Uccidere un po’ di musulmani integrati è un
avviso e una minaccia per gli altri. Per far fallire il progetto di una
società aperta, in cui regni il rispetto per tutti e fra tutti, in cui
tutti i cittadini, di ogni credo e colore, vivano obbedendo alla legge
dello Stato e difendendola contro ogni minaccia. Come Hakima.
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Falla nella sicurezza
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Aveva
ricevuto due decreti di espulsione, rimasti sulla carta, il 33enne
algerino che sabato ha aggredito a colpi di machete due poliziotti a
Charleroi. Noto alle forze dell’ordine per reati minori, era riuscito a
rimanere nella città belga. Gli inquirenti, che hanno compiuto sabato
notte perquisizioni a casa del killer e di alcuni conoscenti,
“avrebbero raccolto nei computer dell’attentatore elementi che parlano
di una sua radicalizzazione recente” (Corriere).
“In questo momento siamo assolutamente lontani. Ma la Guardia di
Finanza sta costituendo una unità speciale col compito di verificare i
flussi di finanziamenti, che dovranno essere assolutamente tracciabili
per valutare se contengono o meno il germe del radicalismo e dunque
potenzialmente della violenza e del terrorismo”. Così il ministro
dell’interno Angelino Alfano sul tema della sicurezza e sulla
possibilità che le comunità islamiche italiane beneficino in futuro
dell’Otto per Mille. “Sarà fondamentale arrivare a uno statuto
dell’Islam italiano, che dica basta agli imam fai da te, che stabilisca
che si debba predicare in italiano e che consenta appunto di tracciare
i finanziamenti” afferma il ministro in una intervista a Repubblica.
Basta con l’islam fai da te. A sostenerlo è anche l’imam Yahya
Pallavicini, presidente della Comunità religiosa islamica. “Se emergono
dei modelli di riferimento positivi di moschee e associazioni – dice in
una intervista al Messaggero – diventa più difficile per i criminali
sfruttare la situazione di confusione”.
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l'intervento di nathan sharansky Israele, rabbinato alla prova Una
revisione, non una rivoluzione. È quello che il presidente dell’Agenzia
ebraica Nathan Sharansky chiede al Rabbinato centrale di Israele. Una
revisione delle procedure, per fare sì che la massima istituzione
religiosa del paese acquisti maggiore trasparenza e obiettività nei
criteri con cui si rapporta alle altre autorità rabbiniche, e in
particolare quelle che appartengono all’ebraismo Modern Orthodox, in
Israele ma soprattutto della Diaspora. L’occasione per lanciare il
messaggio è stato un caso che ha suscitato grande interesse mediatico:
il mancato riconoscimento, da parte del tribunale rabbinico della città
di Petah Tikvah, cittadina a nord est di Tel Aviv, di una conversione
effettuata da un noto rabbino newyorkese, Haskel Lookstein. Lo stesso
che ha seguito e certificato il passaggio all’ebraismo di Ivanka Trump,
figlia del candidato repubblicano alla presidenza americana Donald.
“Sono qui come capo dell’Agenzia ebraica per combattere una battaglia
per rafforzare il rapporto tra Diaspora e Israele”, ha dichiarato
Sharansky partecipando alla dimostrazione organizzata per sostenere rav
Lookstein davanti alla sede della Corte suprema rabbinica di
Gerusalemme all’inizio di luglio (nell’immagine). Leggi
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RIO 2016 Rugby, ritorno ai cinque cerchi sotto il segno dell'identità
Era
il lontano 1924 quando a Parigi si disputava l’ultima partita olimpica
di rugby. Una Francia che giocava in casa contro gli Stati Uniti, la
cui avventura parigina fino a quel momento non era stata delle
migliori, con un’accoglienza da parte di atleti, giornalisti e tifosi
tutt’altro che calorosa. Ma nonostante questo, riuscirono a infliggere
una sonora sconfitta ai loro ospiti, con uno storico 17-3. Ma da
allora, un po’ anche a causa degli episodi sgradevoli che si erano
verificati intorno al rugby, si preferì tenerlo fuori dalle discipline
olimpiche. Vari furono i tentativi di reinserirlo nel corso del tempo,
e finalmente quest’anno il grande ritorno, a novantadue anni di
distanza. Si tratta non più di rugby a 15 ma di rugby a 7, e ci sono
sia un torneo femminile sia uno maschile. Tra i dodici uomini che
compongono la rosa degli Stati Uniti c’è anche Nate Ebner, atleta di
spicco della compagine americana che ha sempre fatto della propria
identità un motivo di forza.
Nate ha 27 anni ed è nato e cresciuto in Ohio, dove fin da piccolo
gioca a rugby. Una passione nata ma soprattutto coltivata grazie a suo
padre, Jeff, preside di una scuola ebraica e lui stesso ex rugbista,
che lo ha affiancato negli allenamenti di tutta la sua gioventù. Ed è
sempre grazie a lui che ha potuto coltivare la sua identità ebraica:
“Mi ha insegnato l’importanza di essere ebreo – le parole di Ebner –
ricordandomi sempre che dovevo dare il massimo in ogni cosa e
comportarmi sempre nel modo giusto”. Leggi
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le ultime ore del giusto ambasciatore Wallenberg, mistero svelato Sono
passati quasi settant’anni da quando Raoul Wallenberg, diplomatico
svedese che salvò migliaia di ebrei ungheresi dalle persecuzioni
naziste, scomparve nel nulla. La sua è una vicenda in cui ci sono
ancora nodi irrisolti: nel 1944 Wallenberg, giovane architetto e uomo
d’affari, partì volontario in Ungheria come diplomatico per aiutare una
missione statunitense a salvare gli ebrei dallo sterminio nazista.
Furono migliaia quelli che riuscì ad aiutare procurando loro un
passaporto svedese perché potessero emigrare nel paese, ma le sue
tracce si sono perse dal gennaio 1945, quando fu catturato dalle forze
sovietiche a Budapest poco dopo la liberazione dell’Ungheria. Da
allora, sebbene la Russia abbia fatto sapere che Wallenberg sarebbe
morto due anni dopo nella prigione di Lubyanka, non esistono prove
definitive sulla sua sorte. Il mistero aleggia: perché fu arrestato?
Era una spia? E cosa successe dopo? Morì davvero nel 1947? La sua
famiglia non l’ha mai saputo, e l’anno scorso ha chiesto alle autorità
svedesi di dichiararlo morto. La dichiarazione ufficiale non è ancora
arrivata, ma la procedura è stata avviata a marzo e dovrebbe
concludersi entro l’autunno. Nel frattempo però arriva oggi finalmente
la prova tanto attesa, rimasta murata da più di quarant’anni nel garage
di una dacia nel nord-ovest di Mosca. Leggi
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informazione - international edition
La settimana del Mercante
Dovevano
essere quasi un diversivo durante il processo d’appello che a fine
luglio ha opposto Shylock, l’ebreo veneziano più famoso, ad Antonio e
alla Repubblica di Venezia, e Porzia. Stephen Greenblatt e James
Shapiro, infatti, due fra i più noti studiosi di Shakespeare,
rispettivamente di Harvard e della Columbia University, sono stati
coinvolti nella “settimana del Mercante” che ha portato al centro
dell’attenzione mondiale Venezia e il suo famoso ghetto, diventato
simbolo di tutte le esclusioni. Il loro dialogo – programmato durante
il tempo necessario alla giuria per arrivare alla deliberazione che ha
portato al risarcimento di Shylock e all’annullamento della richiesta
di conversione, oltre a una punizione esemplare per Porzia – si è
trasformato in uno dei momenti più interessanti dell’intero Mock Trial.
La newsletter settimanale dedicata al pubblico internazionale ripropne
oggi i testi scritti da Greenblatt e Shapiro per il programma
distribuito agli spettatori dell’allestimento del Mercante di Venezia
che Karin Coonrod, regista della Compagnia de’Colombari ha portato in
ghetto col titolo “The Merchant in Venice” pubblicati in italiano nel dossier “Venezia – I 500 anni del Ghetto” uscito con il numero di agosto di Pagine Ebraiche.
Ada Treves twitter @atrevesmoked
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Oltremare
- Spirito olimpico
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Io
alle mie Olimpiadi, quelle invernali di Torino nel 2006, devo la mia
aliyah. Con le montagne di ore di straordinari maturate durante il
lavoro alle Olimpiadi, ho potuto permettermi di partire poi, l’anno
dopo, e di concentrarmi nello studio dell’ebraico invece di dover
lavorare da subito. Lo dico a tutti quelli che mi raccontano in segreto
di voler venire in Israele ma di non saper come fare, e rispondo: fai
un piano di attacco. Il mio girava intorno alla paura di non riuscire
ad imparare l’ebraico; ho rotto il salvadanaio olimpico e ho studiato.
Fino ad oggi, dieci anni dopo, le Olimpiadi sono rimaste per me un
periodo formativo e piacevole, di superlavoro che nessuno sentiva, di
molte lingue parlate ed ascoltate, di divise unificanti, tutti noi, ed
eravamo migliaia, uguali nella percezione a cinque sensi dello spirito
olimpico in cui eravamo immersi, e nel bisogno incolmabile di sonno.
Quando ho sentito che la delegazione libanese ha impedito a quella
israeliana di salire sullo stesso autobus per partecipare alla parata
dei paesi durante la serata dell’inaugurazione a Rio, è stato come se
tutti gli sportivi libanesi avessero passato unghie affilate
all’unisono su di una lavagna gigante. Uno “schreeetch” con eco fino in
Israele, così contrario allo spirito delle Olimpiadi riconosciuto in
ogni parallelo, da fare venire i brividi lungo tutta la schiena.
Sarà anche stato un piccolo episodio dovuto a una leggerezza del
comitato olimpico, mettere due delegazioni che nei paesi d’origine sono
in stato di guerra una dopo l’altra sugli shuttle. Ma non è concepibile
che proprio alle Olimpiadi si dia spazio ad un comportamento del
genere. Hanno contraddetto nei fatti almeno tre punti dello statuto
olimpico, venendo meno allo spirito di amicizia, solidarietà e fair
play. E questo ancora prima di iniziare a gareggiare.
Per quanto mi concerne, la delegazione libanese dovrebbe essere
reimpacchettata e rispedita in Libano sul primo volo disponibile, con
richiesta di non farsi rivedere finché non avranno capito cosa ci erano
andati a fare, a Rio. Suggerimento dagli spalti: sport, non politica.
Daniela Fubini, Tel Aviv
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