Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
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Domani
sera sarà il trentatreesimo giorno dell’Omer, 18 del mese ebraico di
Yiar, giorno nel quale secondo la tradizione, smise di esistere la
pestilenza che fu causa della morte dei discepoli di Rabbi Akiva.
Questo giorno è anche l’anniversario della morte di Rabbi Shimon Bar
Yochai, un giorno denso di misticismo che in quanto tale può essere
fonte di grande elevazione spirituale, così come di grande
banalizzazione folkloristica. Uno degli usi legati alla morte di Rabbi
Shimon è l’accensione di falò, cosa che avviene in tutto Israele ed in
special modo a Meron, dove il maestro è sepolto. Allo stesso modo in
molte case si accendono lumi in memoria del maestro e si cerca di
aumentare o prolungare di notte la luce del giorno.
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Gadi
Luzzatto
Voghera, direttore
Fondazione CDEC
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Apprendiamo
con un certo stupore che l’Università di Padova ha ospitato un
seminario in cui si è discusso il volume curato da Damien Short dal
titolo Redefining genocide: settler colonialism, social death and
ecocide. Fermo restando il diritto di chiunque di sostenere tesi
storiche e sociali anche molto discutibili, siamo anche noi liberi di
contestarne la natura scientifica e di metterne in rilievo gli aspetti
strumentali e allarmanti. Se si affermasse la teoria sostenuta nel
volume curato dal Dr Short andrebbe in crisi nella sua totalità la
grande esperienza di rapporti proficui fra istituzioni ebraiche e
amministrazioni pubbliche (istituzioni, scuole, centri di cultura,
comunità religiose) che da decenni collaborano lavorando sul principio
che fare Memoria della Shoah serva a spiegare le dinamiche malate del
nostro presente. Com’è noto la definizione di Genocidio è stata ideata
da Raphael Lemkin per descrivere in origine lo sterminio degli Armeni,
ed è stata in seguito allargata allo sterminio degli ebrei in Europa.
Successivamente il concetto ha assunto un valore anche giuridico,
legato alla necessità di perseguire per via giudiziaria il crimine di
Genocidio, e attualmente esiste una letteratura normativa di rilievo
che si pone a fondamento di imprescindibili istituzioni sovranazionali
come il Tribunale Penale Internazionale con sede all’Aia, che di
recente ha perseguito e condannato i responsabili dei crimini di
Genocidio nei Balcani.
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La nuova ultradestra
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Prediche d’odio e reclutamento a scuola. È il “doppio volto della nuova ultradestra” raccontato oggi da La Stampa.
Tra i fenomeni più inquietanti un lavoro capillare svolto all’interno
delle classi, un fatto che fino a qualche tempo fa sarebbe stato
impensabile. “In Italia c’è un piccolo blocco nero che vive fuori da
ogni perimetro costituzionale. Fuori anche dalla Storia. Predica
l’odio. Lo semina. Lavora per le discriminazioni razziali. E poi si
presenta in pubblico, mitigando appena la voce” scrive il quotidiano.
Dice a proposito dei gruppi estremisti in ascesa il capo della Digos di
Milano: “Se da un lato organizzano manifestazioni simboliche di
richiamo per quelli che credono in questo genere di cose, dall’altro
provano a presentarsi sotto una nuova veste. Come dimostrano i primi
candidati di CasaPound”. Fascisti dichiarati che, si spiega
nell’approfondimento, sono riusciti a fare il loro ingresso nelle
istituzioni.
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importante accordo tra federazioni
"Pallacanestro senza confini"
L'Nba alla conquista di Israele
I
migliori giocatori europei nati nel 2000 a confronto con grandi
campioni e allenatori della galassia Nba (la leggendaria federazione
americana) e la Fiba (la federazione internazionale). Insieme
ventiquattro ore su ventiquattro, per apprendere i trucchi del mestiere
e diventare degli autentici numeri uno nel loro sport. Si chiama
Basketball Without Borders ed è un format di successo che ha toccato
finora diversi paesi, tra cui l’Italia. Un’occasione più unica che rara
di apprendere direttamente dal meglio del basket in
circolazioneL’edizione 2017, che si svolgerà in estate, avrà una
location a sorpresa annunciata nelle scorse settimane: Israele.
Sarà infatti il Wingate Institute di Netanya ad accogliere, dal 13 al
16 agosto, i protagonisti di BWB. Quattro giornate che si annunciano
ricche di sorprese, entusiasmo e alto tasso tecnico. Ma anche una
straordinaria opportunità mediatica per Israele. Anche in vista del
successivo appuntamento di settembre, con il girone degli Europei che
vedrà anche la nazionale italiana, tra le altre, a Tel Aviv.
Dal 2001 ad oggi BWB ha coinvolto oltre 2720 giovani cestisti, per un
totale di 134 paesi rappresentati, rivelandosi una formidabile fucina
di talenti. Tra gli altri, ha lanciato l’italiano Danilo Gallinari (che
ha partecipato all’edizione 2003) e lo spagnolo Marc Gasol (stessa
edizione). Oggi sono entrambi protagonisti della pallacanestro a stelle
strisce. Leggi
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L'incontro al centro bibliografico ucei Israele e i costi del conflitto
La parola agli economisti Quali
sono gli effetti indotti da uno stato di conflitto nell’economia di un
paese? Come valutarli, come quantificarli nel loro insieme? Una domanda
quanto mai attuale se riferita alla realtà di Israele, paese che da
sempre è costretto a confrontarsi con fortissime minacce sia esterne
che interne. Nonostante ciò, una delle economie più avanzate e più
orientate all’innovazione, alla conquista di nuove frontiere.
“Se avessimo potuto spendere meno per la sicurezza dei nostri cittadini
e investire maggiormente altrove, in settori strategici, dove saremmo
oggi?”. È l’interrogativo che si è posta Olga Dolburt, dell’Ufficio
Affari Economici e Scientifici dell’ambasciata israeliana, aprendo un
incontro su questo tema svoltosi al Centro Bibliografico dell’Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane. Ospite d’onore Joseph Zeira, docente
di economia all’Università ebraica di Gerusalemme e professore a
contratto alla Luiss Guido Carli oltre che presidente della Israel
Economic Association e membro dell’Aix Group, un gruppo di economisti e
operatori economici israeliani e palestinesi che elabora ricerche sui
costi del conflitto e i dividendi della pace. E con lui Rony Hamaui,
docente nel dipartimento Economia e Finanza dell’Università del Sacro
Cuore a Milano e direttore generale del Mediocredito italiano.
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qui roma - il seminario Tradizione, un itinerario tra i libri "Il popolo dei libri. Un viaggio attraverso i testi della tradizione ebraica".
Si aprirà il prossimo mercoledì alle 18, presso il Centro Bibliografico
UCEI, un nuovo ciclo di incontri con l'obiettivo di introdurre ai testi
fondamentali della tradizione ebraica e al tempo stesso di fornire
strumenti metodologici per dare chiavi di orientamento in questa vasta
letteratura.
Nello specifico, in questo primo appuntamento, rav Alberto Piattelli si
dedicherà al testo biblico. Seguiranno, fino a dicembre, incontri con
rav Amedeo Spagnoletto, il maskil Gadi Piperno, rav Roberto Della
Rocca, rav Riccardo Di Segni, rav Benedetto Carucci Viterbi.
I diversi seminari sono pensati anche come forma di laboratorio sui
libri presenti alla Biblioteca del Centro Bibliografico: verranno
infatti mostrati e spiegati alcuni volumi relativi ai temi
trattati.
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Inni
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Era
commovente la folla che acclamava la vittoria di Macron cantando la
Marsigliese, l’inno nato dalla rivoluzione francese, in cui si
riconoscono tutti coloro che credono nei valori di libertà,
uguaglianza, fratellanza. Ma la Marsigliese può essere anche il simbolo
di un orgoglio patriottico che implica diffidenza e disprezzo per chi
ha un’altra cultura e un’altra storia. Non a caso il canto dell’inno
nazionale è un momento chiave del film “A casa nostra” (Chez nous) di
Lucas Belvaux (in questi giorni nelle sale italiane), e segna il
momento in cui la protagonista è maggiormente affascinata dalla figura
della leader di destra Agnès Dorgelle (le hanno dato un nome diverso ma
non fa nemmeno finta di non essere Marine Le Pen); e forse la
familiarità dell’inno è uno degli elementi che contribuisce a far
sentire la protagonista a proprio agio, che la rafforza nella
convinzione errata di trovarsi tra persone che condividono i suoi
stessi valori.
Anche il nostro inno nazionale può assumere significati diversi se non
opposti: basti pensare che “Fratelli d’Italia” è il nome di un partito
di destra, e d’altra parte nel 2011 l’inno è stato cantato da molti
come gesto di opposizione a un governo di destra che lasciava passare
in tono minore il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia.
Stesso discorso, ovviamente, per HaTikvah. Forse per qualcuno è (o
diventerà) il simbolo disprezzato di un sionismo laico, ma per il
momento non è così (o, per lo meno, non in Italia): cantato da ebrei di
destra e di sinistra, più o meno osservanti, nelle occasioni più
variegate (dalla cerimonia di apertura e chiusura dei campeggi
dell’Hashomer Hatzair al seder di Pesach), l’inno sembra unire gli
israeliani e gli ebrei della diaspora intorno a valori comuni. Si
tratta anche in questo caso di un’illusione?
Anna Segre, insegnante
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Leo Perutz
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Recentemente
Adelphi ha ripubblicato “La neve di San Pietro”, un romanzo scritto nel
1933 dallo scrittore ebreo praghese Leo Perutz (1884-1957). Varrebbe la
pena leggere questo libro, ed in generale riscoprire l’opera del
suddetto autore, pioniere del genere fantastico-storico e da molti
paragonato a Jorge Luis Borges, egli stesso un suo estimatore. Perutz
ebbe un’esistenza tormentata, il suo carattere schivo, inquieto ed
anticonformista lo spinse da un’esilio all’altro, passando anche per
Israele, dove però la nostalgia per la Mitteleuropa e la sua avversione
per ogni nazionalismo lo riportò in Austria, rincontrando
l’antisemitismo post-bellico e quindi l’insuccesso letterario. Nella
Neve di San Pietro si ritrovano molti tratti distintivi della sua
narrativa, come la dimensione onirica, la presenza del Das Unheimliche,
lo
spaesamento dell’individuo e la distorsione della realtà, ma anche il
fanatismo e quel delirio delle masse che sconvolsero il Novecento ed in
altra forma tornano in voga nel presente.
Francesco Moises Bassano
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