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2 febbraio 2018 - 17 Shevat 5778
PAGINE EBRAICHE 24


ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav

Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
Come è successo che l’orizzonte delle nostre riflessioni halachiche e delle nostre decisioni si sia tramutato in costante “divieto”? Quando è successo che abbiamo perso quella meravigliosa capacità di studio, riflessione e speculazione che per secoli, per millenni ci ha permesso di dichiarare ebraicamente possibile ciò che sembrava vietato e vietato non era?
Mi pongo queste domande e leggo, intanto, una riposta del Melamed Lehoil, rav David Zvi Hoffmann (1843, Verbó, Austria – 1921, Berlino), maestro ortodosso dell’Ebraismo Tedesco.
 
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Gadi
Luzzatto
Voghera,
direttore
Fondazione CDEC
Due questioni mi colpiscono in modo particolare sulle dinamiche memoriali di questo 2018. Da un lato la polemica internazionale relativa all'adozione da parte del Parlamento polacco di una legge che sanziona con pene fino a tre anni di carcere chi parli di "campi di concentramento polacchi" riferendosi ai lager sul territorio geografico dell'attuale Polonia. Personalmente la penso come Yehuda Bauer, che ha chiarito come meglio non si poteva di cosa stiamo parlando (Leggi).
 
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Legge contro la Storia,
Polonia sotto accusa
"Una rovina per la reputazione della mia nazione”. Così il polacco Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo, ha definito la legge votata a Varsavia che punisce chi associa la Polonia ai crimini nazisti. Una legge contestata a livello internazionale e a cui i quotidiani italiani dedicano ampi approfondimenti. Il Corriere raccoglie alcune delle reazioni provenienti da Israele, come quella dello Yad Vashem che, seppur riconoscendo che il termine ‘campi polacchi’ per i lager costruiti dai nazisti in Polonia sia sbagliato, ancora più sbagliata è la legge che “mette a rischio la libera discussione sulla persecuzione degli ebrei a opera di una parte della popolazione locale”. Israele si prepara anche a richiamare il suo ambasciatore dalla Polonia (Il Fatto). “Durante la Shoah, in una situazione in cui la Polonia fu distrutta dai nazisti e completamente manovrata, il ruolo del popolo polacco fu abbastanza ambiguo: se abbiamo tanti ‘giusti’ che aiutarono, abbiamo pure avuto episodi molto gravi di rifiuto di aiutare gli ebrei. – spiega la storica Anna Foa ad Avvenire – Inoltre l’armata della resistenza polacca non intervenne quando nell’aprile del ’43 venne distrutto il ghetto di Varsavia. E ci fu anche il coinvolgimento, possiamo chiamarlo collaborazionismo, con il nazismo: c’era in tanti altri Paesi non solo lì, ma data la situazione e la presenza di moltissimi ebrei, questo coinvolgimento fu più grave. Questo non toglie che molti polacchi aiutarono gli ebrei, come in tante altre parti d’Europa”. “Che la Shoah sia stata progettata e realizzata dai nazisti è una verità indiscutibile. – dice lo storico Marcello Pezzetti al Corriere – Ma trasformare in reato un’espressione storicamente infondata come ‘campi polacchi’ è inaccettabile. Una manovra che rivela la volontà di prendere le distanze dal passato annullandolo, una fuga”. Per il viceministro agli Esteri Marek Magierowski, intervistato da La Stampa: “La reazione dei politici israeliani è stata troppo emotiva. Le disposizioni della legge sono state mal interpretate”. A suo dire “non sono in pericolo né le ricerche storiche sull’Olocausto, né il dibattito sulle pagine oscure della nostra storia”.

La Polonia e l’antisemitismo. “La retorica dell’estrema destra polacca fa leva sul senso di colpa per quello che accadde e il timore mai sopito che i discendenti di quegli ebrei chiedano riparazioni per le proprietà razziate”, afferma a Repubblica Jan Gross, storico polacco e docente a Princeton, parlando delle responsabilità polacche durante la Shoah. Secondo Gross la legge si inserisce in un quadro in cui gli ultraconservatori al potere fanno uso della retorica xenofoba per compattare il proprio elettorato, “Con l’aiuto di quel segmento di chiesa cattolica guidato da Tadeusz Rydzyk che avalla sentimenti antisemiti”. E dell’antisemitismo polacco scrive anche Wlodek Goldkorn, sempre su Repubblica: “da quando il Paese ha conquistato la libertà – spiega il giornalista – il principale tema della discussione pubblica sono i crimini perpetrati dai polacchi ai danni degli ebrei sotto l’occupazione nazista: dai pogrom finiti con gente bruciata viva, alla prassi di denunciare i concittadini fuggiti dai ghetti. Era ed è una discussione che portava e porta alla messa in questione dell’identità polacca, intesa come appartenenza alla nazione cattolica, etnicamente omogenea, generosa con le minoranze (ebrei) e vittima dei vicini (russi e tedeschi). In questi mesi il potere polacco attraverso la televisione di Stato e i giornali amici sta scatenando una campagna di odio nei confronti dell’Europa, della Germania, dei traditori interni al servizio di Berlino. E in questo contesto si inserisce la legge sui campi di sterminio per chi conosce le regole (non tanto) segrete della retorica polacca è ovvio che si tratta di un provvedimento in fin dei conti xenofobo e che si richiama all’immaginario antisemita”.

Il vittimismo polacco e le responsabilità. Sul Secolo XIX lo storico David Bidussa spiega che l’azione del governo polacco rappresenta il “vittimismo di chi non vuole fare i conti con il passato”. “Il vittimismo, – continua Bidussa – al netto dei motivi reali che lo definiscono, è soprattutto una macchina che serve a scansare le responsabilità e a pensarsi fuori dalla storia. A descrivere se stessi, a priori, come innocenti, incontaminati”. Per Marek Halter, intervistato da La Stampa, il primo ministro israeliano Netanyahu “dovrebbe pretendere dal governo polacco quanto fece a suo tempo Chirac ammettendo la collaborazione di alcuni francesi all’eliminazione degli ebrei. La Polonia non ha mai detto che aiutò i nazisti a cercare e trovare gli ebrei nascosti in casa propria. Migliaia di polacchi ci diedero una mano, ma altre migliaia parteciparono al nostro sterminio. E un fatto”. Secondo Fabio Nicolucci sul Mattino la legge polacca ha messo in difficoltà il Primo ministro israeliano anche per un altro motivo: ovvero aprirebbe “una profonda crepa in quella coalizione tra destre europee e occidentali a cui lavora non da oggi il premier Netanyahu”.

Milano, i dipendenti del comune e il ’38. Sono state ricostruite le vicende di 15 persone (11 uomini e 4 donne) che furono allontanate dal Comune di Milano per volontà del fascismo e a causa dell’introduzione delle leggi razziste del 1938. “Le loro storie sono state raccontate in Consiglio comunale””, racconta Avvenire, “grazie – sottolinea il Corriere Milano – al lavoro di studenti e professori del Dipartimento Studi Storici dell’Università degli Studi di Milano, al Cdec, alla Cittadella degli archivi, ecco in breve ricostruite le biografie dei dipendenti allontanati dal loro posto di lavoro tra il 1938 e il 1939”.
 
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  davar
la lettera della presidente dell'ucei 
"Polonia, signor Presidente
non firmi questa legge"

Unendosi alle voci del mondo ebraico internazionale e di Israele, la Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni ha inviato nelle scorse ore - attraverso l'ambasciata polacca in Italia - al Presidente della Polonia Andrzej Duda il seguente messaggio in cui si chiede di non firmare la controversa legge sulle responsabilità connesse al periodo della Shoah recentemente approvata dal Parlamento polacco.

Signor Presidente di Polonia Andrzej Duda
L’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, le comunità ebraiche in Italia e gli ebrei italiani tutti si uniscono alle innumerevoli voci del mondo ebraico internazionale e di Israele nel chiederle di non firmare il provvedimento di legge sulle responsabilità connesse al periodo della Shoah recentemente approvato dal Parlamento polacco. Nessuno mette in dubbio che la Polonia abbia subito l'occupazione nazista e che sia stato il Terzo Reich a costruire e gestire i campi di morte e di scientifico sterminio sul suolo polacco in cui furono assassinati milioni di ebrei, migliaia e migliaia di detenuti politici, migliaia e migliaia di Rom e Sinti. Chi parla di lager polacchi compie un’evidente semplificazione che può essere corretta con l'educazione e con l’autorevolezza di chi scrive libri di testo, saggi e approfondimenti, carte geografiche e analisi, per scuole o per adulti qualsiasi. Applicare sanzioni amministrative e penali, compresa la misura detentiva, come prevede la legge in questione, non risponde in alcun modo alla vera sfida che tutti affrontiamo ogni giorno: sapere, sapere con la mente e con il cuore, educare e responsabilizzare e non punire. Solo un percorso educativo può portare a conoscere la storia e quali siano le responsabilità dei carnefici durante la seconda guerra mondiale. Dei carnefici nazisti e dei loro collaboratori, anche fascisti italiani, anche collaboratori e gli indifferenti italiani e anche migliaia e migliaia di polacchi; dei carnefici nazisti e anche di chi invece si oppose e salvò molte vite – i non indifferenti, i Giusti italiani e le migliaia di giusti polacchi.
Abbiamo appena in questi giorni dedicato ore e approfondimenti a ricordare i sei milioni di ebrei e un’intera umanità svanita per l’odio. Odio che è stato attestato e formalizzato in precise norme di legge, emanate nel ’35 in Germania e poi nel ’38 in Italia. Leggi perfettamente approvate e democraticamente ineccepibili dal Parlamento ma leggi senza alcuna misura dell’umana esistenza e senza cuore. Proprio su questo oggi la Polonia si deve interrogare. Quali leggi vengono emanate? Quale educazione? Chi è chiamato a legiferare deve avere un cuore che ascolta la storia, deve avere una lucida comprensione del passato e del futuro che ne è sempre la conseguenza.
Nella forma attuale del provvedimento si rischia di punire anche chi dice la verità: se è vero che i polacchi furono vittime del nazismo è altrettanto innegabile, vissuto e documentato che ci fu tra loro chi si macchiò di crimini efferati contro gli ebrei, chi collaborò con i nazisti. Questi fatti sono documentati e provati e la nuova norma rischia di punire chi li racconta e li porta alla luce. Questa lettera potrebbe essere accompagnata da centinaia di migliaia, anzi milioni, di foto, lettere, scritti, testimonianze di chi in Polonia ci è nato, cresciuto o “solo” arrivato e che ci narrano la dolorosa esperienza di chi ha subito anche la violenza e l’odio polacco, diretti o indiretti, urlanti o silenziosi. Questa è la verità e questa va raccontata.
Una norma che spaventa perché favorisce la distorsione della Storia invece che la sua difesa; perché accomuna i tanti polacchi che si sacrificarono per difendere gli ebrei o che furono direttamente vittime del nazifascismo a coloro che invece vigliaccamente si prestarono a servire la macchina di morte nazista.
Oggi la vera sfida va oltre al Giorno della Memoria e della Shoah appena passato. La versa sfida è quella di superare l’antisemitismo e l’odio razziale. Antisemitismo che è sempre esistito e ha radici antiche e che oggi riaffiora e viene manifestato sotto nuove forme, compresa questa del revisionismo storico. La Polonia non può concentrarsi solo sulla sua tragedia subita dal nazismo ma deve essere capace di raccontare un’intera Storia – fatta di secoli e secoli di antisemitismo, di matrice anche religiosa. Una storia che non inizia il 1 settembre 1939 e non finisce nel 27 gennaio 1945, ma molto prima e ancora oggi.
La Polonia è un grande paese, con una grande storia, che ha conquistato con sofferenza ed eroismo la libertà di parola. Una legge come quella approvata il 31 gennaio scorso è un tradimento di questi valori.
Abbiamo in Italia subito l’esperienza di una firma, ultima e apposta dopo moltissime altre, che ha sancito la promulgazione delle leggi razziste nel ’38 e negli anni successivi.
Le chiedo Signor Presidente, e con me lo chiedono gli oltre ottomila ebrei italiani sterminati in Polonia e negli altri campi nazisti, e tutti gli ebrei italiani che oggi possono ancora testimoniare, raccontare e tramandare quanto avvenuto, di non  ripetere questo fatale errore. Non firmi.

 
Noemi Di Segni,
Presidente Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
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i problemi giuridici della norma polacca
Polonia, onore e reputazione
utilizzati come alibi

In un memorandum siglato a Gerusalemme nel novembre 2016 dal governo israeliano e quello polacco, si legge – al punto sulla Memoria della Shoah - che entrambi “i governi attribuiscono grande importanza ai loro sforzi nel campo dell istruzione, in particolare nell'eliminare i falsi stereotipi riguardanti i due Paesi. Entrambi i Governi si oppongono fermamente a qualsiasi forma di discriminazione razziale e antisemitismo, così come a qualsiasi tentativo di alterare la storia del popolo ebraico o di quello polacco negando o riducendo il numero delle vittime ebraiche durante la Shoah, o usando termini errati della memoria come 'campi di sterminio polacchi'”. Allora il governo israeliano guidato dal Primo ministro Benjamin Netanyahu - che nel corso del tempo ha lavorato per consolidare i rapporti con i Paesi del gruppo Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria) – non poteva immaginare che quel punto del memorandum sarebbe stato articolato da Varsavia in una legge considerata dalla stessa Israele come liberticida e un'offesa alla Memoria. E invece, nonostante le promesse allo stesso Netanyahu di sospendere la discussione, la legge che punisce chi attribuisce alla Polonia responsabilità nella Shoah è passata. Ed è ora contestata da molti governi e istituzioni sul piano internazionale. Israele aspetta di vedere cosa farà il presidente polacco Andrzej Duda - che ha 20 giorni per firmare la legge - ma è difficile che scelga di opporvisi, avendo lui stesso appoggiato il provvedimento. Le contestazioni, inoltre, - in Israele in primis, ma anche degli Stati Uniti e dell'Unione europea - non hanno avuto effetto: poche ore fa il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki ha pubblicato un video sul canale ufficiale del governo di Varsavia in cui difende la legge.
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chi È Moïse Katumbi, figlio di un ebreo di rodi
Per liberare il Congo dall'odio,
un leader dalle radici ebraiche

Mentre il mondo occidentale il 27 gennaio ricordava il Giorno della Memoria e la costruzione della democrazia europea sulle ceneri di Auschwitz, in Africa un paese vedeva nuovamente sbarrata la strada verso il rispetto dei valori democratici: si tratta del Congo, dove la direttrice della Commissione Elettorale Nazionale Indipendente (CENI) Corneille Nangaa ha annunciato che non sarà possibile indire le elezioni presidenziali e amministrative prima del 2023. Elezioni che si dovevano tenere nel 2016 ma che Joseph Kabila, l’autoritario presidente congolese, continua a far rimandare, reprimendo nel sangue e con la violenza l'opposizione guidata, tra gli altri, dalla chiesa locale. Il 23 gennaio scorso, ad esempio, centinaia di persone sono state arrestate mentre protestavano contro il governo. Le forze di sicurezza hanno ucciso almeno sei persone e ci sono state decine di feriti. Le proteste sono state organizzate nella capitale Kinshasa, a Kisangani e a Bukavu per chiedere le dimissioni di Kabila, che avrebbe dovuto finire il suo mandato più di un anno fa. Tra i suoi più strenui oppositori nonché – teoricamente – possibile candidato alla presidenza, c'è Moïse Katumbi: cinquantunenne,  figlio di madre congolese e padre greco-italiano. Quest'ultimo era Nissim Soriano, ebreo sefardita che emigrò dall’isola di Rodi nella Repubblica Democratica del Congo tra le due Guerre mondiali per sfuggire ai nazifascismo e alle leggi razziali emanate nel 1938 da Mussolini (Rodi allora era sotto giurisdizione italiana).
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jciak
Romanzo famigliare, cosa resta
Alla fine quasi tutto si è ricomposto alla grande, e se qualcosa di irrisolto è rimasto, è stato lasciato ai margini con discrezione e con una specie di affettuosa solidarietà. Ciò che più conta è che la bimba (Clara, come Clara Schumann) è nata ed è bellissima, la mamma appena diciassettenne è un raggio di sole e i giovanissimi nonni, tra scintille Sturm und Drang, non smettono di scoprire e riscoprire quanto si amano. Di più: i malevoli sono finiti fuori campo, l’azienda è stata salvata in extremis e la Fondazione, per molti sfortunati una vera e propria casa, può mantenere il suo impegno. Romanzo famigliare si chiude così, in corsa sulla curva ascendente della parabola e lì ci lascia: la vita tira calci e colpi duri ma ti regala ancora e sempre il profumo della primavera. La vita però è anche e soprattutto una questione di responsabilità. (E la nave-scuola Amerigo Vespucci, in questa prospettiva, ha il suo fascinoso e complesso perché).

Mara Cantoni
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qui roma - premio settimia spizzichino
Gli anni rubati, a teatro
Dal 2015 la compagnia teatrale Iposcenio, diretta dall’attore Sasà Russo, organizza a Roma la rassegna di corti teatrali Gli anni rubati – Premio Settimia Spizzichino, nel corso della quale attori, autori e registi provenienti da tutta Italia mettono in scena oltre dieci brevi spettacoli, in due diverse serate. Quest’anno l’appuntamento, patrocinato e supportato dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e dedicato alla memoria dell’unica donna deportata a Roma il 16 ottobre 1943 che riuscì a tornare da Auschwitz, si terrà al teatro Antigone nelle due serate di sabato 3 e domenica 4 febbraio.
Due le categorie in concorso, “short story” e “monologhi”, per una manifestazione rivolta soprattutto a giovani artisti, non di rado di grande talento, che si cimentano con la messa in scena teatrale e l’interpretazione di testi, spesso originali, sulla Shoah.
L’appuntamento con le “short story” è sabato alle 21.00, con i corti Un posto sicuro, Il bradipo e la carpa, Gli ultimi giorni, Siedo alla finestra di notte, Hans e Karl. Domenica alle 18.00 sarà la volta dei monologhi Dora, Il raggio di Sole, Nannarella, Il colonnello Grimaldi, Cenere, Saracco al Portico d’Ottavia.
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qui roma 
Lelletto, pugile indimenticato
L'emozione è tutta negli occhi di Romolo, il figlio, dei fratelli, della famiglia.
Una serata carica di significato quella che si è svolta ieri a Roma, nella sede degli Asili infantili israelitici, per ricordare Leone Efrati. Vittima della Shoah, fu uno dei più grandi pugili della sua epoca. I primi significativi successi, poi le Leggi razziste del 1938 lo costringono a lasciare l’Italia per gli Stati Uniti. Ma la nostalgia di casa, appena pochi mesi dopo, è troppo forte. E così “Lelletto”, come era conosciuto da tutti, torna a Roma. Una scelta che, al tempo delle persecuzioni, gli risulterà fatale. Fino alla deportazione, nel maggio del ’44; fino ai combattimenti massacranti cui gli aguzzini lo sottopongono nel lager; fino alla morte.
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pilpul
Memoria senza ironia
Quest’anno nel mio liceo per il Giorno della Memoria è stato replicato lo spettacolo dell’anno scorso “Espulsi dall’Alfieri” sui 39 ragazzi ebrei che hanno dovuto lasciare la scuola nell’anno scolastico 1938-39 e sul loro destino successivo. Versione leggermente diversa, più teatrale (due o tre scene nuove al posto delle interviste), con l’aggiunta di parti danzate, e naturalmente con altri attori in sostituzione degli ex allievi ormai universitari (ma con la regia e le parti principali ancora affidate ad alcuni di loro). La scelta di replicare uno spettacolo che prende le mosse dalle leggi razziali - che è parsa particolarmente opportuna nell’ottantesimo anniversario - mi pare aver consolidato l’idea che il liceo Alfieri nel Giorno della Memoria non ricorda solo la Shoah in generale, ma prima di tutto i propri allievi espulsi e poi fuggiti, nascosti, deportati, uccisi, una perdita che il preside ha opportunamente definito una ferita non ancora rimarginata. 

Anna Segre, insegnante
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La pace di Erdogan
Mentre una Roma blindata si prepara ad accogliere con grandi omaggi il sultano Recep Erdogan, l'aviazione turca continua a bombardare il cantone di Afrin, nel Rojava. “Ripuliremo tutto fino all'Iraq”, ha affermato il primo ministro all'inizio dell'operazione “ramoscello d'ulivo”. Sì, perché lo scopo sarebbe proprio quello di portare la “pace”, e di sconfiggere il “terrorismo”. Strano che visto siamo in tema di memoria – sebbene una memoria ben diversa - ci siamo già dimenticati quando tutti osannavano i curdi perché combattevano (e combattono tutt'ora) proprio contro i terroristi di Daesh. Erdogan del resto, anche a seguito delle ultime prese di posizione su Gerusalemme è desideroso di presentarsi sempre più come il restauratore del retaggio Ottomano e come un punto di riferimento per il mondo musulmano sunnita.

Francesco Moises Bassano
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C’è un ebreo nel convento!
In prossimità del Giorno della Memoria, capita spesso di vedere su RaiStoria, uno dei migliori canali televisivi, il film Paisà, capolavoro di Roberto Rossellini. Alla sceneggiatura contribuirono Sergio Amidei e Federico Fellini, che del film era anche aiuto regista, mentre assistente alla regia e autrice dei dialoghi in inglese fu Annalena Limentani.
Paisà, una delle vette del neorealismo e considerato fra i 100 film italiani da salvare, fu girato nel 1946 ma concepito già nel 1945, poco dopo la liberazione dell’Italia dalle truppe tedesche e dal nazifascismo. Del 1995 è la versione restaurata. Il film si compone di sei episodi, ambientati in diverse località d’Italia durante l’avanzata delle truppe alleate lungo l’asse sud-nord della penisola, dalla Sicilia alle foci del Po, fra il 10 luglio del 1943 e i primi mesi del ’45.


Rav Gianfranco Di Segni
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Un ricordo di David Zard
"Se invece di essere circondati dal rumore dei motori fossimo circondati dal suono della musica sarebbe un mondo bellissimo. In questo senso, forse, un piccolo, ma piccolo, contributo a questo mondo l'ho dato facendo il lavoro che ho fatto tutta la mia vita. E in questo senso si può dire che ho fatto qualcosa di ebraico. Non quindi per il fatto di aver promosso musica ebraica, cui non mi sono dedicato, ma per il fatto di aver contribuito a fare qualcosa di buono in questo mondo con la musica".

Ilana Bahbout
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