Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
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Come
è successo che l’orizzonte delle nostre riflessioni halachiche e delle
nostre decisioni si sia tramutato in costante “divieto”? Quando è
successo che abbiamo perso quella meravigliosa capacità di studio,
riflessione e speculazione che per secoli, per millenni ci ha permesso
di dichiarare ebraicamente possibile ciò che sembrava vietato e vietato
non era?
Mi pongo queste domande e leggo, intanto, una riposta del Melamed
Lehoil, rav David Zvi Hoffmann (1843, Verbó, Austria – 1921, Berlino),
maestro ortodosso dell’Ebraismo Tedesco.
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Gadi
Luzzatto
Voghera, direttore
Fondazione CDEC
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Due
questioni mi colpiscono in modo particolare sulle dinamiche memoriali
di questo 2018. Da un lato la polemica internazionale relativa
all'adozione da parte del Parlamento polacco di una legge che sanziona
con pene fino a tre anni di carcere chi parli di "campi di
concentramento polacchi" riferendosi ai lager sul territorio geografico
dell'attuale Polonia. Personalmente la penso come Yehuda Bauer, che ha
chiarito come meglio non si poteva di cosa stiamo parlando (Leggi).
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Legge contro la Storia,
Polonia sotto accusa
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"Una
rovina per la reputazione della mia nazione”. Così il polacco Donald
Tusk, presidente del Consiglio europeo, ha definito la legge votata a
Varsavia che punisce chi associa la Polonia ai crimini nazisti. Una
legge contestata a livello internazionale e a cui i quotidiani italiani
dedicano ampi approfondimenti. Il Corriere raccoglie alcune delle
reazioni provenienti da Israele, come quella dello Yad Vashem che,
seppur riconoscendo che il termine ‘campi polacchi’ per i lager
costruiti dai nazisti in Polonia sia sbagliato, ancora più sbagliata è
la legge che “mette a rischio la libera discussione sulla persecuzione
degli ebrei a opera di una parte della popolazione locale”. Israele si
prepara anche a richiamare il suo ambasciatore dalla Polonia (Il
Fatto). “Durante la Shoah, in una situazione in cui la Polonia fu
distrutta dai nazisti e completamente manovrata, il ruolo del popolo
polacco fu abbastanza ambiguo: se abbiamo tanti ‘giusti’ che aiutarono,
abbiamo pure avuto episodi molto gravi di rifiuto di aiutare gli ebrei.
– spiega la storica Anna Foa ad Avvenire – Inoltre l’armata della
resistenza polacca non intervenne quando nell’aprile del ’43 venne
distrutto il ghetto di Varsavia. E ci fu anche il coinvolgimento,
possiamo chiamarlo collaborazionismo, con il nazismo: c’era in tanti
altri Paesi non solo lì, ma data la situazione e la presenza di
moltissimi ebrei, questo coinvolgimento fu più grave. Questo non toglie
che molti polacchi aiutarono gli ebrei, come in tante altre parti
d’Europa”. “Che la Shoah sia stata progettata e realizzata dai nazisti
è una verità indiscutibile. – dice lo storico Marcello Pezzetti al
Corriere – Ma trasformare in reato un’espressione storicamente
infondata come ‘campi polacchi’ è inaccettabile. Una manovra che rivela
la volontà di prendere le distanze dal passato annullandolo, una fuga”.
Per il viceministro agli Esteri Marek Magierowski, intervistato da La
Stampa: “La reazione dei politici israeliani è stata troppo emotiva. Le
disposizioni della legge sono state mal interpretate”. A suo dire “non
sono in pericolo né le ricerche storiche sull’Olocausto, né il
dibattito sulle pagine oscure della nostra storia”.
La Polonia e l’antisemitismo. “La retorica dell’estrema destra polacca
fa leva sul senso di colpa per quello che accadde e il timore mai
sopito che i discendenti di quegli ebrei chiedano riparazioni per le
proprietà razziate”, afferma a Repubblica Jan Gross, storico polacco e
docente a Princeton, parlando delle responsabilità polacche durante la
Shoah. Secondo Gross la legge si inserisce in un quadro in cui gli
ultraconservatori al potere fanno uso della retorica xenofoba per
compattare il proprio elettorato, “Con l’aiuto di quel segmento di
chiesa cattolica guidato da Tadeusz Rydzyk che avalla sentimenti
antisemiti”. E dell’antisemitismo polacco scrive anche Wlodek Goldkorn,
sempre su Repubblica: “da quando il Paese ha conquistato la libertà –
spiega il giornalista – il principale tema della discussione pubblica
sono i crimini perpetrati dai polacchi ai danni degli ebrei sotto
l’occupazione nazista: dai pogrom finiti con gente bruciata viva, alla
prassi di denunciare i concittadini fuggiti dai ghetti. Era ed è una
discussione che portava e porta alla messa in questione dell’identità
polacca, intesa come appartenenza alla nazione cattolica, etnicamente
omogenea, generosa con le minoranze (ebrei) e vittima dei vicini (russi
e tedeschi). In questi mesi il potere polacco attraverso la televisione
di Stato e i giornali amici sta scatenando una campagna di odio nei
confronti dell’Europa, della Germania, dei traditori interni al
servizio di Berlino. E in questo contesto si inserisce la legge sui
campi di sterminio per chi conosce le regole (non tanto) segrete della
retorica polacca è ovvio che si tratta di un provvedimento in fin dei
conti xenofobo e che si richiama all’immaginario antisemita”.
Il vittimismo polacco e le responsabilità. Sul Secolo XIX lo storico
David Bidussa spiega che l’azione del governo polacco rappresenta il
“vittimismo di chi non vuole fare i conti con il passato”. “Il
vittimismo, – continua Bidussa – al netto dei motivi reali che lo
definiscono, è soprattutto una macchina che serve a scansare le
responsabilità e a pensarsi fuori dalla storia. A descrivere se stessi,
a priori, come innocenti, incontaminati”. Per Marek Halter,
intervistato da La Stampa, il primo ministro israeliano Netanyahu
“dovrebbe pretendere dal governo polacco quanto fece a suo tempo Chirac
ammettendo la collaborazione di alcuni francesi all’eliminazione degli
ebrei. La Polonia non ha mai detto che aiutò i nazisti a cercare e
trovare gli ebrei nascosti in casa propria. Migliaia di polacchi ci
diedero una mano, ma altre migliaia parteciparono al nostro sterminio.
E un fatto”. Secondo Fabio Nicolucci sul Mattino la legge polacca ha
messo in difficoltà il Primo ministro israeliano anche per un altro
motivo: ovvero aprirebbe “una profonda crepa in quella coalizione tra
destre europee e occidentali a cui lavora non da oggi il premier
Netanyahu”.
Milano, i dipendenti del comune e il ’38. Sono state ricostruite le
vicende di 15 persone (11 uomini e 4 donne) che furono allontanate dal
Comune di Milano per volontà del fascismo e a causa dell’introduzione
delle leggi razziste del 1938. “Le loro storie sono state raccontate in
Consiglio comunale””, racconta Avvenire, “grazie – sottolinea il
Corriere Milano – al lavoro di studenti e professori del Dipartimento
Studi Storici dell’Università degli Studi di Milano, al Cdec, alla
Cittadella degli archivi, ecco in breve ricostruite le biografie dei
dipendenti allontanati dal loro posto di lavoro tra il 1938 e il 1939”.
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la lettera della presidente dell'ucei
"Polonia, signor Presidente
non firmi questa legge"
Unendosi
alle voci del mondo ebraico internazionale e di Israele, la Presidente
dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni ha inviato
nelle scorse ore - attraverso l'ambasciata polacca in Italia - al
Presidente della Polonia Andrzej Duda il seguente messaggio in cui si
chiede di non firmare la controversa legge sulle responsabilità
connesse al periodo della Shoah recentemente approvata dal Parlamento
polacco.
Signor Presidente di Polonia Andrzej Duda
L’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, le comunità ebraiche in
Italia e gli ebrei italiani tutti si uniscono alle innumerevoli voci
del mondo ebraico internazionale e di Israele nel chiederle di non
firmare il provvedimento di legge sulle responsabilità connesse al
periodo della Shoah recentemente approvato dal Parlamento polacco.
Nessuno mette in dubbio che la Polonia abbia subito l'occupazione
nazista e che sia stato il Terzo Reich a costruire e gestire i campi di
morte e di scientifico sterminio sul suolo polacco in cui furono
assassinati milioni di ebrei, migliaia e migliaia di detenuti politici,
migliaia e migliaia di Rom e Sinti. Chi parla di lager polacchi compie
un’evidente semplificazione che può essere corretta con l'educazione e
con l’autorevolezza di chi scrive libri di testo, saggi e
approfondimenti, carte geografiche e analisi, per scuole o per adulti
qualsiasi. Applicare sanzioni amministrative e penali, compresa la
misura detentiva, come prevede la legge in questione, non risponde in
alcun modo alla vera sfida che tutti affrontiamo ogni giorno: sapere,
sapere con la mente e con il cuore, educare e responsabilizzare e non
punire. Solo un percorso educativo può portare a conoscere la storia e
quali siano le responsabilità dei carnefici durante la seconda guerra
mondiale. Dei carnefici nazisti e dei loro collaboratori, anche
fascisti italiani, anche collaboratori e gli indifferenti italiani e
anche migliaia e migliaia di polacchi; dei carnefici nazisti e anche di
chi invece si oppose e salvò molte vite – i non indifferenti, i Giusti
italiani e le migliaia di giusti polacchi.
Abbiamo appena in questi giorni dedicato ore e approfondimenti a
ricordare i sei milioni di ebrei e un’intera umanità svanita per
l’odio. Odio che è stato attestato e formalizzato in precise norme di
legge, emanate nel ’35 in Germania e poi nel ’38 in Italia. Leggi
perfettamente approvate e democraticamente ineccepibili dal Parlamento
ma leggi senza alcuna misura dell’umana esistenza e senza cuore.
Proprio su questo oggi la Polonia si deve interrogare. Quali leggi
vengono emanate? Quale educazione? Chi è chiamato a legiferare deve
avere un cuore che ascolta la storia, deve avere una lucida
comprensione del passato e del futuro che ne è sempre la conseguenza.
Nella forma attuale del provvedimento si rischia di punire anche chi
dice la verità: se è vero che i polacchi furono vittime del nazismo è
altrettanto innegabile, vissuto e documentato che ci fu tra loro chi si
macchiò di crimini efferati contro gli ebrei, chi collaborò con i
nazisti. Questi fatti sono documentati e provati e la nuova norma
rischia di punire chi li racconta e li porta alla luce. Questa lettera
potrebbe essere accompagnata da centinaia di migliaia, anzi milioni, di
foto, lettere, scritti, testimonianze di chi in Polonia ci è nato,
cresciuto o “solo” arrivato e che ci narrano la dolorosa esperienza di
chi ha subito anche la violenza e l’odio polacco, diretti o indiretti,
urlanti o silenziosi. Questa è la verità e questa va raccontata.
Una norma che spaventa perché favorisce la distorsione della Storia
invece che la sua difesa; perché accomuna i tanti polacchi che si
sacrificarono per difendere gli ebrei o che furono direttamente vittime
del nazifascismo a coloro che invece vigliaccamente si prestarono a
servire la macchina di morte nazista.
Oggi la vera sfida va oltre al Giorno della Memoria e della Shoah
appena passato. La versa sfida è quella di superare l’antisemitismo e
l’odio razziale. Antisemitismo che è sempre esistito e ha radici
antiche e che oggi riaffiora e viene manifestato sotto nuove forme,
compresa questa del revisionismo storico. La Polonia non può
concentrarsi solo sulla sua tragedia subita dal nazismo ma deve essere
capace di raccontare un’intera Storia – fatta di secoli e secoli di
antisemitismo, di matrice anche religiosa. Una storia che non inizia il
1 settembre 1939 e non finisce nel 27 gennaio 1945, ma molto prima e
ancora oggi.
La Polonia è un grande paese, con una grande storia, che ha conquistato
con sofferenza ed eroismo la libertà di parola. Una legge come quella
approvata il 31 gennaio scorso è un tradimento di questi valori.
Abbiamo in Italia subito l’esperienza di una firma, ultima e apposta
dopo moltissime altre, che ha sancito la promulgazione delle leggi
razziste nel ’38 e negli anni successivi.
Le chiedo Signor Presidente, e con me lo chiedono gli oltre ottomila
ebrei italiani sterminati in Polonia e negli altri campi nazisti, e
tutti gli ebrei italiani che oggi possono ancora testimoniare,
raccontare e tramandare quanto avvenuto, di non ripetere questo
fatale errore. Non firmi.
Noemi Di Segni,
Presidente Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Leggi
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i problemi giuridici della norma polacca
Polonia, onore e reputazione
utilizzati come alibi
In
un memorandum siglato a Gerusalemme nel novembre 2016 dal governo
israeliano e quello polacco, si legge – al punto sulla Memoria della
Shoah - che entrambi “i governi attribuiscono grande importanza ai loro
sforzi nel campo dell istruzione, in particolare nell'eliminare i falsi
stereotipi riguardanti i due Paesi. Entrambi i Governi si oppongono
fermamente a qualsiasi forma di discriminazione razziale e
antisemitismo, così come a qualsiasi tentativo di alterare la storia
del popolo ebraico o di quello polacco negando o riducendo il numero
delle vittime ebraiche durante la Shoah, o usando termini errati della
memoria come 'campi di sterminio polacchi'”. Allora il governo
israeliano guidato dal Primo ministro Benjamin Netanyahu - che nel
corso del tempo ha lavorato per consolidare i rapporti con i Paesi del
gruppo Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria) – non
poteva immaginare che quel punto del memorandum sarebbe stato
articolato da Varsavia in una legge considerata dalla stessa Israele
come liberticida e un'offesa alla Memoria. E invece, nonostante le
promesse allo stesso Netanyahu di sospendere la discussione, la legge
che punisce chi attribuisce alla Polonia responsabilità nella Shoah è
passata. Ed è ora contestata da molti governi e istituzioni sul piano
internazionale. Israele aspetta di vedere cosa farà il presidente
polacco Andrzej Duda - che ha 20 giorni per firmare la legge - ma è
difficile che scelga di opporvisi, avendo lui stesso appoggiato il
provvedimento. Le contestazioni, inoltre, - in Israele in primis, ma
anche degli Stati Uniti e dell'Unione europea - non hanno avuto
effetto: poche ore fa il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki ha
pubblicato un video sul canale ufficiale del governo di Varsavia in cui
difende la legge. Leggi
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chi È Moïse Katumbi, figlio di un ebreo di rodi
Per liberare il Congo dall'odio,
un leader dalle radici ebraiche
Mentre
il mondo occidentale il 27 gennaio ricordava il Giorno della Memoria e
la costruzione della democrazia europea sulle ceneri di Auschwitz, in
Africa un paese vedeva nuovamente sbarrata la strada verso il rispetto
dei valori democratici: si tratta del Congo, dove la direttrice della
Commissione Elettorale Nazionale Indipendente (CENI) Corneille
Nangaa ha annunciato che non sarà possibile indire le
elezioni presidenziali e amministrative prima del 2023. Elezioni che si
dovevano tenere nel 2016 ma che Joseph Kabila, l’autoritario presidente
congolese, continua a far rimandare, reprimendo nel sangue e con la
violenza l'opposizione guidata, tra gli altri, dalla chiesa locale. Il
23 gennaio scorso, ad esempio, centinaia di persone sono
state arrestate mentre protestavano contro il governo. Le
forze di sicurezza hanno ucciso almeno sei persone e ci sono state
decine di feriti. Le proteste sono state organizzate nella capitale
Kinshasa, a Kisangani e a Bukavu per chiedere le dimissioni di Kabila,
che avrebbe dovuto finire il suo mandato più di un anno fa. Tra i suoi
più strenui oppositori nonché – teoricamente – possibile candidato alla
presidenza, c'è Moïse Katumbi: cinquantunenne, figlio di madre
congolese e padre greco-italiano. Quest'ultimo era Nissim Soriano,
ebreo sefardita che emigrò dall’isola di Rodi nella Repubblica
Democratica del Congo tra le due Guerre mondiali per sfuggire ai
nazifascismo e alle leggi razziali emanate nel 1938 da Mussolini (Rodi
allora era sotto giurisdizione italiana). Leggi
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jciak
Romanzo famigliare, cosa resta
Alla
fine quasi tutto si è ricomposto alla grande, e se qualcosa di
irrisolto è rimasto, è stato lasciato ai margini con discrezione e con
una specie di affettuosa solidarietà. Ciò che più conta è che la bimba
(Clara, come Clara Schumann) è nata ed è bellissima, la mamma appena
diciassettenne è un raggio di sole e i giovanissimi nonni, tra
scintille Sturm und Drang, non smettono di scoprire e riscoprire quanto
si amano. Di più: i malevoli sono finiti fuori campo, l’azienda è stata
salvata in extremis e la Fondazione, per molti sfortunati una vera e
propria casa, può mantenere il suo impegno. Romanzo famigliare si
chiude così, in corsa sulla curva ascendente della parabola e lì ci
lascia: la vita tira calci e colpi duri ma ti regala ancora e sempre il
profumo della primavera. La vita però è anche e soprattutto una
questione di responsabilità. (E la nave-scuola Amerigo Vespucci, in
questa prospettiva, ha il suo fascinoso e complesso perché).
Mara Cantoni Leggi
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qui roma - premio settimia spizzichino
Gli anni rubati, a teatro
Dal
2015 la compagnia teatrale Iposcenio, diretta dall’attore Sasà Russo,
organizza a Roma la rassegna di corti teatrali Gli anni rubati – Premio
Settimia Spizzichino, nel corso della quale attori, autori e registi
provenienti da tutta Italia mettono in scena oltre dieci brevi
spettacoli, in due diverse serate. Quest’anno l’appuntamento,
patrocinato e supportato dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e
dedicato alla memoria dell’unica donna deportata a Roma il 16 ottobre
1943 che riuscì a tornare da Auschwitz, si terrà al teatro Antigone
nelle due serate di sabato 3 e domenica 4 febbraio.
Due le categorie in concorso, “short story” e “monologhi”, per una
manifestazione rivolta soprattutto a giovani artisti, non di rado di
grande talento, che si cimentano con la messa in scena teatrale e
l’interpretazione di testi, spesso originali, sulla Shoah.
L’appuntamento con le “short story” è sabato alle 21.00, con i corti Un
posto sicuro, Il bradipo e la carpa, Gli ultimi giorni, Siedo alla
finestra di notte, Hans e Karl. Domenica alle 18.00 sarà la volta dei
monologhi Dora, Il raggio di Sole, Nannarella, Il colonnello Grimaldi,
Cenere, Saracco al Portico d’Ottavia. Leggi
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qui roma
Lelletto, pugile indimenticato
L'emozione è tutta negli occhi di Romolo, il figlio, dei fratelli, della famiglia.
Una serata carica di significato quella che si è svolta ieri a Roma,
nella sede degli Asili infantili israelitici, per ricordare Leone
Efrati. Vittima della Shoah, fu uno dei più grandi pugili della sua
epoca. I primi significativi successi, poi le Leggi razziste del 1938
lo costringono a lasciare l’Italia per gli Stati Uniti. Ma la nostalgia
di casa, appena pochi mesi dopo, è troppo forte. E così “Lelletto”,
come era conosciuto da tutti, torna a Roma. Una scelta che, al tempo
delle persecuzioni, gli risulterà fatale. Fino alla deportazione, nel
maggio del ’44; fino ai combattimenti massacranti cui gli aguzzini lo
sottopongono nel lager; fino alla morte. Leggi
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Memoria senza ironia |
Quest’anno
nel mio liceo per il Giorno della Memoria è stato replicato lo
spettacolo dell’anno scorso “Espulsi dall’Alfieri” sui 39 ragazzi ebrei
che hanno dovuto lasciare la scuola nell’anno scolastico 1938-39 e sul
loro destino successivo. Versione leggermente diversa, più teatrale
(due o tre scene nuove al posto delle interviste), con l’aggiunta di
parti danzate, e naturalmente con altri attori in sostituzione degli ex
allievi ormai universitari (ma con la regia e le parti principali
ancora affidate ad alcuni di loro). La scelta di replicare uno
spettacolo che prende le mosse dalle leggi razziali - che è parsa
particolarmente opportuna nell’ottantesimo anniversario - mi pare aver
consolidato l’idea che il liceo Alfieri nel Giorno della Memoria non
ricorda solo la Shoah in generale, ma prima di tutto i propri allievi
espulsi e poi fuggiti, nascosti, deportati, uccisi, una perdita che il
preside ha opportunamente definito una ferita non ancora
rimarginata.
Anna Segre, insegnante
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La pace di Erdogan |
Mentre
una Roma blindata si prepara ad accogliere con grandi omaggi il sultano
Recep Erdogan, l'aviazione turca continua a bombardare il cantone di
Afrin, nel Rojava. “Ripuliremo tutto fino all'Iraq”, ha affermato il
primo ministro all'inizio dell'operazione “ramoscello d'ulivo”. Sì,
perché lo scopo sarebbe proprio quello di portare la “pace”, e di
sconfiggere il “terrorismo”. Strano che visto siamo in tema di memoria
– sebbene una memoria ben diversa - ci siamo già dimenticati quando
tutti osannavano i curdi perché combattevano (e combattono tutt'ora)
proprio contro i terroristi di Daesh. Erdogan del resto, anche a
seguito delle ultime prese di posizione su Gerusalemme è desideroso di
presentarsi sempre più come il restauratore del retaggio Ottomano e
come un punto di riferimento per il mondo musulmano sunnita.
Francesco Moises Bassano
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C’è un ebreo nel convento! |
In
prossimità del Giorno della Memoria, capita spesso di vedere su
RaiStoria, uno dei migliori canali televisivi, il film Paisà,
capolavoro di Roberto Rossellini. Alla sceneggiatura contribuirono
Sergio Amidei e Federico Fellini, che del film era anche aiuto regista,
mentre assistente alla regia e autrice dei dialoghi in inglese fu
Annalena Limentani.
Paisà, una delle vette del neorealismo e considerato fra i 100 film
italiani da salvare, fu girato nel 1946 ma concepito già nel 1945, poco
dopo la liberazione dell’Italia dalle truppe tedesche e dal
nazifascismo. Del 1995 è la versione restaurata. Il film si compone di
sei episodi, ambientati in diverse località d’Italia durante l’avanzata
delle truppe alleate lungo l’asse sud-nord della penisola, dalla
Sicilia alle foci del Po, fra il 10 luglio del 1943 e i primi mesi del
’45.
Rav Gianfranco Di Segni
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Un ricordo di David Zard |
"Se
invece di essere circondati dal rumore dei motori fossimo circondati
dal suono della musica sarebbe un mondo bellissimo. In questo senso,
forse, un piccolo, ma piccolo, contributo a questo mondo l'ho dato
facendo il lavoro che ho fatto tutta la mia vita. E in questo senso si
può dire che ho fatto qualcosa di ebraico. Non quindi per il fatto di
aver promosso musica ebraica, cui non mi sono dedicato, ma per il fatto
di aver contribuito a fare qualcosa di buono in questo mondo con la
musica".
Ilana Bahbout
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