dossier - mondiali a tutto campo
Il gioco del calcio nelle parole di Umberto Saba
Cinque poesie raccontano un sogno perduto
“Il
calcio non è solo entusiasmo, non è solo impeto di energia. Talvolta è
anche nostalgia, è rimpianto dei tempi andati, quando la macchina
infernale del grande spettacolo non aveva ancora invaso tutto il campo,
le squadre erano formate per lo più di concittadini, da compaesani, la
festa era più semplice, ma forse proprio per questo aveva più sapore.
Per niente avvezzo alla vita degli stadi, il poeta triestino Umberto
Saba, forse la voce più vibrante della poesia in lingua italiana del
Novecento, ha dedicato al gioco del calcio cinque poesie memorabili e
commoventi. Saba era un grande che non aveva bisogno di complicazioni
per volare in alto, sapeva come parlare al cuore dei più semplici. E
difatti le cinque poesie continuano a tornare davanti agli occhi e
sulle labbra di molti frequentatori degli stadi da cui ci si
attenderebbe ben pochi interessi letterari. Chi le legge, chi ama
ripeterle ai propri figli, vi trova un alito di quella spontaneità che
una volta proteggeva i nostri stadi. Ma pochi sanno che dietro alla
bellezza dei versi e alla civile testimonianza di un mondo da cui Saba
rimase incantato pur guardandolo sempre da lontano, c’è la lacerazione
nel cuore di una realtà ebraica alla vigilia della tragedia. Siamo a
metà degli anni ’30 e Trieste, fiera dei propri mitici giocatori rosso
alabardati, ancora orgogliosa dell’identità italiana conquistata al
costo di indicibili sacrifici, è già spinta al declino e
all’abbrutimento da un fascismo lì ancora più gonfio di odio e di
violenza. Non passerà molto tempo perché Mussolini venga a tenere
proprio sulla mitica piazza Grande aperta sul mare, il discorso che
annunciava le Leggi razziste antiebraiche. Sono trascorsi 80 anni e
molti, oggi come allora, vorrebbero rifugiarsi nel mondo del calcio per
una manciata di minuti spensierati. Oggi come allora, anche se tante
cose, tutto intorno, sono mutate, il miracolo degli undici fratelli che
scendono in campo spalla a spalla, resta una favola ancora capace di
restituire un momento di coraggio.
Guido Vitale, Pagine Ebraiche, luglio 2018
GOAL
Il portiere caduto alla difesa
ultima vana, contro terra cela
la faccia, a non veder l’amara luce.
Il compagno in ginocchio che l’induce,
con parole e con mano, a rilevarsi,
scopre pieni di lacrime i suoi occhi.
La folla – unita ebbrezza – par trabocchi
nel campo. Intorno al vincitore stanno,
al suo collo si gettano i fratelli.
Pochi momenti come questo belli,
a quanti l’odio consuma e l’amore,
è dato, sotto il cielo, di vedere.
Presso la rete inviolata il portiere
– l’altro – è rimasto. Ma non la sua anima,
con la persona vi è rimasta sola.
La sua gioia si fa una capriola,
si fa baci che manda di lontano.
Della festa – egli dice – anch’io son parte.

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