Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui    9 Febbraio 2021 - 27 Shevat 5781
LA SENTENZA SUL LAVORO DEGLI STORICI ENGELKING E GRABOWSKI

Polonia, processo alla Storia.
Un verdetto con molte ombre

Alla sbarra a Varsavia in queste ore c'era la libertà di ricerca storica in Polonia. In particolare quella legata al periodo della Shoah. E il verdetto, per il momento, non ha chiarito chi sono vincitori e vinti, dimostrando soprattutto che i tribunali non sono luoghi adatti a stabilire verità storiche. Il caso riguarda gli storici Barbara Engelking e Jan Grabowski e il loro libro Notte senza fine. Il destino degli ebrei in alcune contee della Polonia occupata. I due studiosi sono stati citati in giudizio per diffamazione dalla nipote di Edward Malinowski, menzionato nel libro come implicato in un crimine avvenuto durante la Shoah. La giudice Ewa Jonczyk ha stabilito che gli studiosi devono porgere delle scuse scritte alla ricorrente per "aver fornito informazioni inesatte" sul fatto che il defunto zio, Malinowski, avesse derubato una donna ebrea durante la guerra e avesse contribuito alla morte di un gruppo di ebrei nascosti in una foresta a Malinowo nel 1943, nella Polonia occupata. La giudice ha posto l'accento sulle discrepanze nella testimonianza, resa in tempi diversi, della donna ebrea citata in un breve paragrafo del libro.
I due storici hanno dichiarato che ricorreranno in appello. In attesa della motivazione della sentenza, sui siti dell'ultradestra polacca si parla già di una vittoria "per l'orgoglio nazionale polacco".
“Ognuno di noi ha il diritto di chiedere un risarcimento giudiziario o di altro tipo per la perdita dell'onore. Va da sé, in ogni democrazia è diritto di ogni essere umano. Ma qui ovviamente non è questo il punto, - ha spiegato Grabowski in un'intervista a Gazeta Wyborcza precedente la sentenza - perché questo processo è stato organizzato, innescato, animato, finanziato e pubblicizzato da un'organizzazione che è direttamente sovvenzionata dallo stato, cioè la Lega polacca contro la diffamazione”. L'obiettivo di questo gruppo, spiegava Grabowski, è silenziare la ricerca storica sulle responsabilità dei singoli polacchi che collaborarono con i nazisti durante l'occupazione del paese. La Lega contro la diffamazione sosteneva che gli autori hanno calunniato un uomo innocente e privato la nipote dei suoi diritti, incluso il diritto all'orgoglio e all'identità nazionale. E volevano sostanzialmente delegittimare tutto il lavoro di Engelking e Grabowski.
Yad Vashem ha definito il processo come “un grave attacco alla ricerca libera e aperta", definendo “inaccettabile” il tentativo di porre limiti allo studio accademico “attraverso la pressione giudiziaria o politica”. Il processo, come segnalava su queste pagine la storica Anna Foa, si innesta in un tentativo più generale delle autorità polacche di intervenire sulla narrazione della storia nazionale. In particolare si inserisce nel solco della norma approvata nel 2018 da Varsavia, su iniziativa del partito ultraconservatore Diritto e Giustizia, che vietava di accusare la Polonia di complicità con i crimini nazisti. Una norma contestata a livello internazionale, sostenuta invece da movimenti come la Lega polacca contro la diffamazione.

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L'ANALISTA POLACCO KONSTANTY GEBERT SUL PROCESSO ENGELKING-GRABOWSKI 

"Non possiamo affidarci ai tribunali
per decidere la verità storica"

Il processo per diffamazione contro gli storici Barbara Engelking e Jan Grabowski “non doveva neanche essere fatto perché non c’è reato”. Lo sottolinea a Pagine Ebraiche il giornalista polacco Konstanty Gebert, rappresentante della comunità ebraica locale, parlando del procedimento per diffamazione a carico dei due studiosi, terminato con una sentenza che lascia aperti molti interrogativi. La Corte ha chiesto a Engelking e Grabowski di scusarsi con la donna che li aveva querelati per diffamazione per aver citato lo zio nel loro saggio e averlo considerato tra i responsabili dell’assassinio di un gruppo di ebrei durante la Shoah. L'uomo è citato dai due studiosi nel libro Notte senza fine: Il destino degli ebrei in alcune contee della Polonia occupata, che secondo Gebert è il vero oggetto del processo. “È evidente che dietro a questo procedimento c’è dell’altro”.

Che cosa?
Questo processo è chiaramente parte di una campagna del governo di revisione della verità storica. Il caso non sarebbe mai dovuto arrivare in un’aula di Tribunale. Per la semplice ragione che non c’è delitto. L’accusa di diffamazione ha merito soltanto se riguarda informazioni false e diffuse con l’intenzione di danneggiare una reputazione. Qui non si tratta di informazioni false, ma sono citate opinioni di testimoni. Qui chiaramente l’intento non ha niente a che vedere con la tutela della reputazione di un capo di un piccolo villaggio della Polonia orientale di 75 anni fa. Ma con una presentazione della verità storica sulla situazione degli ebrei nella Polonia occupata. E questo il tema della monografia di 1600 pagine dalla quale è stato estratto il breve paragrafo al centro del caso di diffamazione. La Corte secondo me avrebbe dovuto rifiutare di considerare questa causa perché non c’è fondamento legale. Il problema è che questo non è l’unico caso.

Intende l’interrogatorio della giornalista Katarzyna Markusk?
Esatto. La Markusk ha scritto un saggio nel quale dice che è evidente che c’è stata una partecipazione polacca alla Shoah. È stata interrogata per questo dalla polizia. Qualcuno l’ha denunciata per avere insultato la nazione polacca. Si tratta di una interrogazione della polizia prima ancora dell’apertura di una inchiesta. Che non si sa se sarà aperta. Ma l’idea che esprimere un parere e soprattutto un parere storicamente valido significa insultare la nazione polacca, qui cadiamo nell’assurdo, in un concetto pericoloso e sinistro. Per questo oggi sedici personalità ebraiche – dal rabbino capo di Polonia, fino al sottoscritto – hanno pubblicato una lettera aperta dicendo che se dovesse esserci un’inchiesta a carico di questa giornalista, chiediamo di essere inclusi. Vedremo quale sarà la reazione delle autorità.

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QUI ROMA

Palatucci, un ulivo per non dimenticare

Nei mesi drammatici delle persecuzioni il suo ruolo si rivelò decisivo per il salvataggio di un gran numero di ebrei dalla deportazione. Per questo motivo Giovanni Palatucci è, dal 1990, un “Giusto tra le nazioni”.
In ricordo dell’eroico questore di Fiume, deportato e ucciso dai nazisti a Dachau, si è svolta quest’oggi una cerimonia commemorativa presso l’omonima scuola primaria e dell’infanzia situata nel quartiere San Basilio a Roma.
A ricordarne la vita e le scelte di coraggio sono stati tra gli altri il capo della Polizia Franco Gabrielli, l’ambasciatore israeliano Dror Eydar, la sindaca Virginia Raggi, la presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni, il presidente del Keren Kayemeth Lelsrael Italia Onlus Sergio Castelbolognesi. Tra i partecipanti anche il rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, intervenuto con la lettura di un salmo. 

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IL CORDOGLIO DEL MONDO EBRAICO 

Rina Lattes (1930-2021)

La prima scintilla scoccò sui banchi della scuola ebraica fiorentina, negli anni delle leggi razziste. Tra Nedo Fiano e Rina Lattes detta Rirì quel primo approccio si sarebbe poi trasformato, nel dopoguerra, nel complesso periodo della ricostruzione, in progetto di vita.
“Aveva le stesse trecce che mi piacevano un tempo” avrebbe in seguito raccontato il marito, sopravvissuto all’inferno della deportazione ad Auschwitz. L’unico della sua famiglia a fare ritorno. Un lungo amore segnato dalla benedizione di tre figli e molti nipoti.
Della loro unione scrive uno dei figli, Emanuele, nel suo recente libro “Il profumo di mio padre”. È stato proprio Emanuele, quest’oggi, a dare la notizia della scomparsa.

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Elogio e dismissione dell’incompetenza
Ci è stato fatto l’elogio dell’incompetenza e ci è stato sfoderato l’epitaffio della professionalità e dell’autorità. L’esperienza, ci è stato detto, la si acquisisce sul campo, dal nulla; basta l’onestà. In molti, anche solo per disperazione, ci hanno voluto credere, pensando che ci si sarebbe liberati così di corruzione, giochi di palazzo, interessi privati e via dicendo. Ai tangentari e ai doppiogiochisti si sono invece semplicemente sostituiti profittatori e falsi idealisti, attaccati alla poltrona e ai privilegi del ‘tu non sai chi sono io’ come i loro colleghi precedenti.
Dario Calimani
Competenti al governo
Il primo maggio 1923, a pagina 51, “La Rivoluzione Liberale”, diretta da Piero Gobetti, pubblicava un articolo di Tullio Ascarelli (1903-1959), intitolato “Competenti”, ripreso da “Studi Politici”. Ascarelli è stato il più illustre giurista italiano e, soprattutto, il più moderno e colto, capace di elaborare ragionamenti sulla base di Sofocle, Hegel, Shakespeare ed il Talmud: tempi migliori.
Emanuele Calò
La democrazia debole 
Nel tepore delle nostre case, dove soggiorniamo più a lungo anche per proteggerci dal virus, tramite la tv l’attenzione si posa inevitabilmente su quel che accade nel mondo. Ecco, in rapida successione, le ultime istantanee di ingiustizia globale. Dalla Russia le riprese in diretta dell’oppositore Navalny sotto processo e delle percosse della polizia contro la folla di manifestanti in suo sostegno. Dal Myanmar le foto di Aung San Suu Kyi in manette mentre, appena arrestata per ordine dei generali al potere, incita il popolo ad opporsi. 
David Sorani
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Una vita più felice 
La Treccani definisce l’ottimismo come “la disposizione psicologica che induce a scegliere e considerare prevalentemente i lati migliori della realtà, oppure ad attendersi uno sviluppo favorevole del corso degli eventi”. 
Essere ottimisti di questi tempi è una fatica. In Israele siamo in un vortice di conflitti: il virus imperversa inarrestabile mentre gruppi politici si affrontano senza sosta in vista delle prossime elezioni. 
Angelica Edna Calò Livne
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