La democrazia debole

Nel tepore delle nostre case, dove soggiorniamo più a lungo anche per proteggerci dal virus, tramite la tv l’attenzione si posa inevitabilmente su quel che accade nel mondo. Ecco, in rapida successione, le ultime istantanee di ingiustizia globale. Dalla Russia le riprese in diretta dell’oppositore Navalny sotto processo e delle percosse della polizia contro la folla di manifestanti in suo sostegno. Dal Myanmar le foto di Aung San Suu Kyi in manette mentre, appena arrestata per ordine dei generali al potere, incita il popolo ad opporsi. Da Istanbul il servizio sulla repressione poliziesca della manifestazione pacifica degli studenti dell’Università del Bosforo contro la nomina dall’alto del nuovo rettore Melih Bulu, membro del partito di governo Akp, e contro il tentativo del presidente Erdogan di portare gli atenei sotto il suo controllo. Sul TG La 7 il volto di Marise Zaki, sorella di Patrick, mentre con grande coraggio lancia un appello per la liberazione del fratello che, accusato senza alcun concreto elemento di propaganda sovversiva, giace da un anno in un carcere egiziano. Dal campo di Lipa, al confine tra Bosnia e Croazia, scene di semi-abbandono e detenzione di migliaia di profughi sotto cumuli di neve; immagini di impenetrabili cordoni di poliziotti croati che chiudono ogni varco a famiglie in cerca di speranza e di futuro. Sono squarci emblematici della vittoriosa arroganza del potere, della sconfitta crescente dei diritti umani, civili, politici. E molti altri potremmo enumerarne, se avessimo a disposizione documentazione visiva delle repressioni di minoranze etniche: dei Rohingya tra Bangladesh, Thailandia e Birmania (Myanmar), degli Uiguri nello Xinjiang cinese, degli Armeni nel Nagorno Karabakh azero. In tante regioni la democrazia appare oggi sconfitta, puro apparato formale appannaggio di ben inserite élites o pura enunciazione verbale priva di sostanza. Perché è così debole e incapace di affermarsi nelle linee politiche e nelle scelte di tanti Stati? E perché questa fragilità proprio oggi? Cosa racchiude nel profondo?
La diffusa inconsistenza della prassi democratica in molte aree del pianeta si spiega immediatamente con la ricerca di scorciatoie per l’esercizio forte del potere, per un controllo efficiente e centralizzato capace di evitare le limitazioni all’autorità poste dal diritto di opposizione e di critica. E’ un modo di procedere, quello tipico di varie strutture statali oggi, che non esaspera oltre determinati limiti la repressione e tende anche, in alcuni casi, a preservare basilari ma non sostanziali elementi di libertà individuale recidendo invece i diritti di autonoma organizzazione sociale e politica, capaci se ben coniugati di mettere in forse il dominio centralizzato. Questo accade, per esempio, nella Cina di Xi Jinping e nella Russia di Putin: il termine “democrature” con cui sono spesso qualificati tali regimi ne delinea bene il carattere di falsa democrazia. Certo, in un’epoca in cui gli ideali e le ideologie appaiono da tempo obsoleti o sclerotizzati entro formule ormai prive di contenuto, in Stati i cui vertici ricercano un’autorità immediatamente a disposizione di chi la esercita ma anche accettata dalla maggioranza della popolazione (o almeno dai molti che fanno massa), una simile tipologia del potere appare utile all’immagine della cosa pubblica e funzionale a una politica di potenza.
Non è evidentemente un caso che le “democrature” fioriscano oggi e crescano innanzitutto in grandi Stati che mai hanno conosciuto istituzioni liberali e democratiche nella loro storia: proprio Russia e Cina sono l’esempio emblematico di come sistemi di potere autocratici tendano, in immensi paesi dalle popolazioni sconfinate, a succedersi gli uni agli altri, sia pure attraverso contrasti e rivoluzioni interne che però non lasciano di fatto spazio ad autentiche democrazie. L’esigenza organizzativa/amministrativa d’assieme, la necessità cioè di mantenere tante popolazioni differenti vincolate a un medesimo grande impero ha in quei casi prevalso nel corso della storia sull’impulso verso la libertà; così le esplosioni rivoluzionarie comuniste (quella sovietica bolscevica, quella cinese di Mao Zedong) sono state riassorbite in sistemi di potere autoritari che hanno ucciso ogni parvenza di democrazia. In tali ambiti e confrontate con gli Stati totalitari lì cresciuti nel XX secolo, le attuali false democrazie russa e cinese potrebbero apparire un significativo progresso, se non fosse che, per quanto meno violenti e più raffinati, i mezzi di controllo sulle masse messi in opera da questi due giganti sono altrettanto oppressivi e deprivanti.
La deprivazione della democrazia che più lascia perplessi è quella operante negli Stati oggi semi-autoritari della vecchia Europa, come la Polonia, l’Ungheria, la Repubblica Ceca, la Slovacchia. Avremmo potuto pensare che la loro uscita dal blocco sovietico sarebbe sgorgata in un fiorire democratico, mentre ora dopo una breve stagione paiono ripiombare nel controllo dall’alto, seppure di segno opposto. È il nazionalismo sovranista e antieuropeo ad accentuare in questo caso un tradizionalismo chiuso e conservatore forse ancora figlio di una vecchia ostilità verso il mondo sovietico.
Ma perché questo svuotamento della democrazia avviene proprio ai nostri giorni? Perché la democrazia sostanziale è purtroppo avvertita da molti come “inutile”, come un orpello o un servizio accessorio da mantenere esteriormente, non come coinvolgimento e partecipazione reali nella vita delle istituzioni. È il concetto stesso di attivismo democratico a essere oggi più debole, sgretolato come è dalla crisi di una dimensione politica sempre più sentita come corrotta e segno di privilegio personale, quindi quasi messa al bando da un settore crescente dell’opinione pubblica. Questa situazione non fa che restringere lo spazio utile a “fare politica” in senso costruttivo, attraverso gruppi capaci di mobilitarsi attorno a temi sociali/politici significativi. Si indebolisce così la democrazia praticata e concreta.
Dietro alla comune difficoltà dell’elemento politico emergono certo le specifiche situazioni nazionali. Tutte le debolezze delle democrazie paiono però ruotare, come era per i totalitarismi del secolo scorso, attorno alla ricerca del potere in sé, quale ente organico privo di veri limiti; e attorno al disprezzo, all’uccisione dei diritti dell’uomo. I regimi e le democrature attuali dicono sì al potere fine a se stesso e no all’uomo.
E’ difficile sottrarsi al fascino anche tecnologico che emana dai colossi contemporanei. Ma a livello di informazione e di comunicazione internazionale occorre forse recuperare l’orizzonte fattivo della condivisione, del coinvolgimento, dell’agire sociale aggregante, della protesta attiva come avviene tra i giovani a Mosca, a Hong Kong e altrove. Mentre è dannoso restare inerti, adagiarsi di fronte allo spettacolo del potere anche mediaticamente dominante. E tutto ciò non può non riguardare anche noi ebrei, minoranza da sempre e per secoli vittima di ingiustizie e persecuzioni.

David Sorani