ISRAELE AL VOTO - IL MESSAGGIO DEL PRESIDENTE RIVLIN 

"Continue elezioni generano sfiducia,
ma solo con il voto si lascia il segno"

Dalle sette del mattino Israele è tornata a votare. Per la quarta volta in due anni milioni di cittadini sono chiamati ad eleggere i propri rappresentanti alla Knesset, il Parlamento. Una certa stanchezza e sfiducia si respirano nell’aria. Tanto che il Presidente d’Israele Reuven Rivlin ha sottolineato come il continuo ritorno alle urne abbia danneggiato “la fiducia dell’opinione pubblica nel processo democratico”. Non per questo però non si deve esercitare il diritto di voto. “Anche in mezzo alle grandi difficoltà in cui ci troviamo, le elezioni per la Knesset restano l’elemento più sacro della nostra democrazia” le parole del Presidente, che ha ricordato agli elettori che “il potere di influenzare (il destino del paese) è solo nelle vostre mani: non c’è altro modo”. Rivlin ha inoltre ricordato che questa è la sua ultima volta alle urne in qualità di Presidente. A giugno scadrà infatti il suo mandato. “Per l’ultima volta, dal cuore di un presidente ai vostri cuori: andate a votare”, il suo appello in ebraico e in arabo.
A causa della pandemia e delle sue limitazioni è stato creato un ampio sistema che possa garantire a tutti gli elettori di votare. Le urne sono state collocate anche negli alberghi, nei reparti degli ospedali, nelle case di cura e per la prima volta anche all’aeroporto Ben Gurion. Molti partiti sono preoccupati da possibili cali nell’affluenza che per il momento tiene: alle 12 ora locale si registrava un’affluenza al 25,4%, di poco superiore all’ultima tornata elettorale.

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UN ANNO DI COVID - IL DOSSIER DI PAGINE EBRAICHE 

"Dobbiamo recuperare il senso di vicinanza"

Un anno fa rav Elia Richetti era praticamente solo nel Tempio di via Eupili, a Milano. Era la festa di Purim e le restrizioni anti-Covid cominciavano ad affacciarsi nelle nostre vite. “In sinagoga eravamo solo io e Daniel Schreiber. Lui aveva il computer per riprendere la lettura della Meghillat Esther. È stato stranissimo leggerla con il deserto attorno. Poi paradossalmente l’hanno seguita più persone di quante avrebbero fatto al Tempio. Collegate online c’erano infatti 400 persone. Ma io non lo sapevo ed ero comunque immerso nel totale silenzio. Una sensazione veramente stranissima”, racconta a Pagine Ebraiche.
“Ancor più difficile però è stato Pesach. Ho dovuto pregare in casa perché tutte le sinagoghe erano chiuse. Di festa solenne non poter leggere un Sefer… E poi il Seder (la cena rituale di Pesach): avevamo sempre tante persone a tavola, stavolta eravamo solo io e mia moglie”. Mesi di grande solitudine e di quotidianità stravolta in cui rav Richetti racconta di aver studiato la letteratura rabbinica più recente “che affrontava proprio il problema relativo a come comportarsi nei confronti del virus, degli ammalati, dei decessi”. Nel Talmud, sottolinea il rav, c’è già enunciato un principio fondamentale: “Di fronte a una malattia che colpisce tanta gente, il comportamento corretto e responsabile è di evitare i contatti, isolarsi e chiudersi in casa”. Un lockdown dunque.

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VERSO PESACH 

Venezia, la nuova Haggadah nel segno degli artisti

Otto artisti. Diverse storie, molteplici background. Un obiettivo comune: dar vita con la propria sensibilità e il proprio estro a una Haggadah di Pesach con radici salde nella tradizione, ma anche un proprio timbro peculiare. Un ponte, nel segno della creatività, tra passato e presente.
Era una delle proposte più affascinanti sviluppate da Beit Venezia – Casa della cultura ebraica in occasione del 500esimo anniversario dall’istituzione del Ghetto, scandito in Laguna da una serie di eventi dal respiro internazionale che hanno permesso di affrontare la particolarità di questa esperienza di segregazione e separazione forzata ma anche la capacità dimostrata in risposta, all’interno dei suoi angusti spazi, di volare alto. Di essere un baluardo di identità e cultura. “Pur confinati, gli ebrei veneziani riuscirono a sviluppare la propria vena artistica, a studiare e a produrre libri importanti” ricordava Shaul Bassi, che di Beit Venezia è il presidente.
Una realtà che gli otto artisti coinvolti – Andi Arnovitz (USA/Israele), Josh Baum (UK), Yael Cohen (Israele/UK), Nathan Gotlib (Belgio), Sophie Herxheimer (UK), Kyra Matustik (Svezia), Jacqueline Nicholls (Inghilterra), Hillel Smith (USA) – hanno respirato a pieni polmoni, condividendo per una settimana gli stessi spazi e le stesse opportunità di confronto con la città e la sua Comunità ebraica (partner dell’iniziativa in collaborazione con la Scuola Internazionale di Grafica).
Sotto i loro occhi l’Haggadah qui stampata nel 1609, tra le più celebri e affascinanti al mondo. Il punto di partenza su cui si è innestato il loro contributo.
“The New Venice Haggadah” (ed. Damocle), disponibile in lingua inglese con la traduzione di Marc Michael Epstein, direttore di Beit Venezia, è il risultato di questo felice incontro tra linguaggi differenti ma complementari. Un primo traguardo, con il coordinamento editoriale dello stesso Bassi e di Pierpaolo Pregnolato, cui dovrebbe seguire il prossimo anno un’edizione anche in italiano.

(Nell'immagine in alto gli artisti a Venezia nel 2016) 

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La lezione di Feuerstein
Sono passati sette anni dalla scomparsa di Reuven Feuerstein. La sua voce non si è però spenta in chi ha avuto modo di conoscere e apprezzarne l’impegno scientifico e culturale e l’apertura mentale. Nato nel 1921 da una famiglia di rabbini, il quinto di nove figli, Feuerstein crebbe in un ambiente che non disdegnava il socialismo e faceva sua le fede nel sionismo religioso. A tre anni aveva appreso a leggere e a scrivere. A otto gli era stato affidato un allievo di quindici a cui insegnare a leggere le preghiere in ebraico.
 
David Meghnagi, psicanalista
L'apologo di Menenio Agrippa 
Alle elementari, tanto tempo fa, un momento educativo chiave della formazione del fanciullo era l’apologo di Menenio Agrippa. La maestra raccontava che un bel giorno le membra dell’uomo, seccate che lo stomaco aspettasse il cibo senza fare alcuno sforzo, scesero in sciopero. 
Dario Calimani
La differenza tra democratico e inclusivo
Leggo che l’ebraismo è pluralista e, su questo punto, lascio ad altri la parola; però non leggo da nessuna parte che l’ebraismo è basato sul dibattito, non sull’unanimità di pareri, così come non leggo che per esercitare il cervello serve la dialettica. 
Emanuele Calò
La violenza del rifiuto e le proposte costruttive
Nell’ultima settimana mi hanno colpito due fatti oltremodo “istruttivi” circa la carenza di condivisione umana e sociale intorno ai temi emergenti, brucianti del rifiuto dell’altro. 
David Sorani
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