Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui     28 Aprile 2021 - 16 Iyar 5781

IL RABBINO CAPO D'OLANDA A PAGINE EBRAICHE

“Non basta condannare, bisogna agire:
ecco perché incontrerò gli ultrà”

“Condannare a parole è doveroso, ma non sufficiente. Vorrei cercare di capire cosa passa nella testa di chi odia, e di chi lo fa servendosi di un gioco molto amato come il calcio. Preciso che non ne sono un fan. Non lo seguo, non tifo nessuna squadra. Ma non mi sfugge il suo impatto, la sua enorme valenza sociale”. 
Rav Binyomin Jacobs è il rabbino capo d’Olanda. Qualche giorno fa, davanti all’ennesima intemperanza del mondo ultrà, un orribile coro antisemita dei supporter del Vitesse che evocava sia i campi di sterminio nazisti che il gruppo terroristico Hamas, ha deciso di passare all’azione. Ha chiamato il sindaco di Arnhem, la città di cui il Vitesse è espressione, e gli ha proposto: incontriamo una rappresentanza della curva, confrontiamoci con loro. Aiutiamoli ad uscirne rafforzati, più consapevoli.
“Il sindaco, che si chiama Ahmed Marcouch, è musulmano ed è un mio buon amico, ha subito accettato. Non c’è ancora una data ufficiale per l’incontro. Ma presto si farà”, racconta rav Jacobs a Pagine Ebraiche. Difficile farsi delle aspettative precise: “Non so esattamente cosa accadrà, può essere che emergano della tensione e del rancore, ma penso sia stato importante gettare questo sasso. Vorrei che questo incontro, che si svolgerà nella sede del Comune e ha il sostegno della dirigenza del Vitesse, ci portasse verso un nuovo inizio. Dobbiamo essere costruttivi e propositivi, lavorare insieme per muovere la leva più importante: quella educativa”. 

L’antisemitismo che pervade certi ambienti del tifo non è una novità per l’Olanda. Rav Jacobs, che è anche parte del board della European Jewish Association, lo sa bene. L’attenzione è in questo senso catalizzata dalla squadra più gloriosa del Paese, l’Ajax, la cui storia si è spesso intrecciata con le vicende degli ebrei olandesi e in particolare con quelli di Amsterdam. 
Negli Anni Venti e Trenta del secolo scorso i tifosi sognano con Eddy Hamel, fortissima ala statunitense. Il “jewish boy”, il ragazzo che ce l’ha fatta. Un nome che diventa proibito con l’avvento della guerra, l’occupazione e la persecuzione nazista. Hamel stesso ne farà le spese, venendo deportato e ucciso ad Auschwitz. A salvarsi sarà invece Jaap Van Praag, negoziante di dischi che si nascose nel retrobottega di un negozio. Sarà lui a guidare la ricostruzione del club negli Anni Sessanta, assieme tra gli altri a Maup Caransa, anch’egli ebreo, e ai fratelli Wim e Freed Van Der Mejiden, che con i nazisti si erano invece compromessi. 
Un controverso e complesso incastro. L’Ajax, da allora, diventa comunque la “squadra ebraica” per eccellenza. Una fama che avvolgerà anche il suo giocatore più rappresentativo, il leggendario Johan Cruyff, che ebreo non era ma che mostrò un certo apprezzamento per il titolo di “ebreo onorario” che gli fu assegnato da alcuni. Su questo argomento scherzerà tra gli altri anche con l’ex presidente israeliano Shimon Peres, grande appassionato di calcio, che incontrerà nella sua residenza.
Il coro antisemita è stato cantato alla vigilia di un incontro di campionato tra l’Ajax, saldamente in testa alla classifica, e il Vitesse, quarta forza del torneo. “Un episodio gravissimo, avvenuto in un momento storico in cui l’antisemitismo bussa con forza e in molti modi nelle nostre vite. Ma lavoreremo – sottolinea Jacobs – affinché si possa voltare pagina”.

(Nelle immagini, dall’alto in basso: rav Binyomin Jacobs, la curva del Vitesse)

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I 100 ANNI DEL RABBINATO CENTRALE D'ISRAELE - PARLA SERGIO DELLA PERGOLA

"Un passato di grande autorevolezza,
ma è tempo di una riforma"

Il Gran Rabbinato fu la prima istituzione dell’Yishuv, l’insediamento ebraico precedente alla nascita d’Israele, ad essere riconosciuta ufficialmente dai britannici nell’aprile del 1921. In teoria, spiegava la studiosa israeliana Shulamit Eliash, la suddivisione tra rabbino capo ashkenazita e sefardita decisa allora sarebbe dovuta essere temporanea e sostituita poi da una struttura definitiva. Sono passati cento anni, ma il Gran rabbinato d’Israele (o Rabbinato centrale) ricalca ancora quel sistema. Alcune modifiche sono state fatte, il modello però è ancora quello. E, a un secolo di distanza, in Israele si torna a parlare del suo ruolo e di eventuali riforme. A maggior ragione alla luce dei diversi sondaggi (quello dell’autorevole Israel Democracy Institute, per esempio) che parlano di una certa diffidenza da parte della maggior parte degli israeliani nei confronti del Rabbinato centrale. Secondo un sondaggio del 2019, solo il 20 per cento riporrebbe fiducia in questa istituzione dello Stato. “E dobbiamo ricordarci la sua importanza nella vita delle persone – spiega a Pagine Ebraiche il demografo Sergio Della Pergola, docente dell’Università Ebraica di Gerusalemme – La popolazione ebraica israeliana dipende per buona parte da ciò che legato al ciclo della vita – nascita, matrimoni, conversioni, morte – al Rabbinato centrale. Questo monopolio ha generato opposizioni, tanto è vero che ci sono oggi tentativi di creare matrimoni alternativi, cimiteri alternativi, e così via. Il tutto per trovare il modo di non passare sotto questa istituzione”.
Della Pergola ricorda anche le differenze con il passato e l'autorevolezza costruita dai primi rabbini capo d'Israele. A partire da rav Abraham Isaac Kook, rabbino capo nella Palestina mandataria (1921-1935).
 

(Nell'immagine, Heichal Shlomo, la struttura a Gerusalemme che fino al 1992
è stata la sede del Rabbinato centrale d'Israele)

LA NOMINA DOPO LO SCONTRO CON IL PREMIER NETANYAHU

Israele, la Giustizia nelle mani di Gantz

Sono state 24 ore di fuoco per la politica israeliana con diversi colpi di scena. L'ultimo, di poche ore fa, con il Premier incaricato Benjamin Netanyahu, leader del Likud, protagonista di una clamorosa marcia indietro. Dopo aver nominato un membro del suo partito – Ofir Akunis – come nuovo ministro della Giustizia, in contrasto con il parere dell'avvocato generale dello Stato Avichai Mandelblit, Netanyahu è infatti tornato sui suoi passi. E ora ha annunciato che accetterà di riconfermare alla guida del ministero in questione il leader di Kachol Lavan Benny Gantz. Questo dopo una giornata di scontri e accuse reciproche tra il Likud e Kachol Lavan, al momento ancora legati dall'accordo di coalizione siglato nella primavera del 2020, che si scioglierà solo con la formazione di un nuovo esecutivo. Secondo quell'intesa, la nomina del ministro della Giustizia deve avvenire con il via libera di entrambi i leader della coalizione: Netanyahu da una parte, Gantz dall'altra. E in ogni caso il ruolo spetta a un rappresentate di Kachol Lavan. Il Premier incaricato ha invece forzato la nomina, scavalcando i voti di Gantz e compagni, e scegliendo il likudnik Ofir Akunis. Il tutto contro il parere del procuratore Mandelblit, che aveva apertamente definito illegittima la nomina. A quel punto era intervenuta l'Alta Corte di Giustizia, congelando tutto e dichiarando che sarebbe intervenuta in queste ore in via definitiva sulla questione.

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IL FILM RIVELAZIONE DELLA REGISTA ISRAELIANA HADAS BEN AROYA 

Conoscersi (davvero) al tempo dei social

 

“E adesso cosa vuoi che faccio?”, dice Max. “Potresti farmi male”, ride Avishag. “Schiaffi?”. “Sì, anche”. “Facciamo mercoledì”. “Va bene, scrivo sul tuo calendario”, taglia corto lei. E scoppiano entrambi a ridere. Sono giovani, carini e a giudicare dallo sfondo, un appartamento pieno di luce e piante, non hanno grossi problemi.
È la prima delle coppie che animano i tre capitoli del nuovo film dell’israeliana Hadas Ben Aroya intitolato Mishehu Yohav Mishehu – All Eyes Off Me. Dopo Avishag incontriamo Danny che a una festa cerca Max per dirgli che è incinta e che il bambino è suo. Intanto, Dror – un uomo di mezz’età – sorprende Avishag, che porta a passeggio il suo cane, addormentata nel suo letto ed è l’inizio di una nuova inaspettata consuetudine.
Ad accomunare i protagonisti del film, presentato con successo all’ultima Berlinale, è il tema dell’intimità. Mishehu Yohav Mishehu porta in scena una generazione libera, trasgressiva e abituata a un costante marketing di sé e delle proprie emozioni. Una generazione che a furia di svelarsi sui social rischia di scoprirsi vuota e incapace di legami autentici. “Promuoviamo in modo ossessivo le nostre vite al mondo, riversando una sorprendente quantità di intimità davanti a centinaia di sconosciuti attraverso degli schermi” spiega la regista, una delle voci più interessanti del nuovo cinema israeliano. “È una vicinanza ingannevole, pericolosa e in sostanza solleva la domanda di cosa sia l’intimità nel nostro tempo e alla nostra età”.

“Volevo scrivere un film sulla sensazione che qualcosa di noi si sia un po’ guastato”, continua. “Mi sembra che il monitor che dovrebbe segnalare il momento in cui superiamo certi limiti sia così bruciato da un eccesso di stimoli dalla pornografia, dai social, da quella falsa intimità, che non si è più in grado neanche di dire cos’è giusto e cos’è sbagliato. Questa frattura fra una totale apertura e una dissociazione emotiva mi affascina e mi spaventa, ed è al centro del film”. Ciascuno dei tre capitoli che compongono Mishehu Yohav Mishehu ha il suo eroe, ma l’unica vera eroina è Avishag, la cui storia attraversa l’intero film. In quest’intreccio prende forma una visione a tutto campo in cui rispecchiano i dolori e le contraddizioni di un’età diversa da quel che appare. L’intimità troppo esibita non corrisponde infatti all’intimità reale, sostiene Ben Aroya.

Daniela Gross
 

(In alto una scena di Mishehu Yohav Mishehu, in basso la giovane regista Hadas Ben Aroya)

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Ticketless - Geel, la città dei matti
Geel è una cittadina fiamminga, isolata nei secoli e ignorata dalla storia. Dal punto di vista della storia delle malattie mentali e della loro cura rappresenta una storia praticamente unica. Già in età medievale vi giungevano da molte parti dell’Europa malati di mente per implorare la guarigione. La Francia laica avvierà un processo di radicale trasformazione, con l’intervento delle istituzioni e il controllo di medici specialisti. Si cercava di dimostrare al mondo che i malati di mente non fossero pericolosi, né contagiosi. Potevano convivere con i “sani” e tornare al lavoro, infine alla loro famiglia d’origine.
Alberto Cavaglion
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Scontro senza precedenti
Degenera fino a raggiungere il piano istituzionale la crisi politica israeliana. Lo scontro in atto fra la Corte Suprema e il governo (sarebbe meglio dire parte di esso) non credo abbia precedenti nella storia dello Stato ebraico. Il blitz di Netanyahu, che ha tentato di imporre come Ministro della Giustizia il fedelissimo Ofir Akunis, è stato bloccato dal Procuratore generale Mandelblit.
Francesco Lotoro
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Periscopio - Talelei razon
Non sono un critico letterario, e tanto meno in campo di poesia, anche se, in quanto figlio e fratello di due poeti, sono sempre cresciuto e vissuto tra poesie di ogni genere. Ma sento di dovere formulare alcune considerazioni sull’ultimo libro di versi di Ariel Viterbo (nato a Padova, e ora residente a Gerusalemme), in quanto la sua lettura mi ha colpito, al di là del pregio letterario, anche per quelli che mi sembrano un approccio innovativo e anche un notevole coraggio nell’affrontare temi forti e difficili, quali i legami tra le generazioni, la solitudine, l’invecchiamento, il senso della paternità e della figliolanza, la preghiera e il rapporto tra l’uomo e l’Altissimo.
Francesco Lucrezi
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