Un secolo di rabbinato d’Israele
“Un passato di grande autorevolezza,
ma è tempo di una riforma”

Il Gran Rabbinato fu la prima istituzione dell’Yishuv, l’insediamento ebraico precedente alla nascita d’Israele, ad essere riconosciuta ufficialmente dai britannici nell’aprile del 1921. In teoria, spiegava la studiosa israeliana Shulamit Eliash, la suddivisione tra rabbino capo ashkenazita e sefardita decisa allora sarebbe dovuta essere temporanea e sostituita poi da una struttura definitiva. Sono passati cento anni, ma il Gran rabbinato d’Israele (o Rabbinato centrale) ricalca ancora quel sistema. Alcune modifiche sono state fatte, il modello però è ancora quello. E, a un secolo di distanza, in Israele si torna a parlare del suo ruolo e di eventuali riforme. A maggior ragione alla luce dei diversi sondaggi (quello dell’autorevole Israel Democracy Institute, per esempio) che parlano di una certa diffidenza da parte della maggior parte degli israeliani nei confronti del Rabbinato centrale. Secondo un sondaggio del 2019, solo il 20 per cento riporrebbe fiducia in questa istituzione dello Stato. “E dobbiamo ricordarci la sua importanza nella vita delle persone – spiega a Pagine Ebraiche il demografo Sergio Della Pergola, docente dell’Università Ebraica di Gerusalemme – La popolazione ebraica israeliana dipende per buona parte da ciò che legato al ciclo della vita – nascita, matrimoni, conversioni, morte – al Rabbinato centrale. Questo monopolio ha generato opposizioni, tanto è vero che ci sono oggi tentativi di creare matrimoni alternativi, cimiteri alternativi, e così via. Il tutto per trovare il modo di non passare sotto questa istituzione”.
Della Pergola ricorda anche le differenze con il passato e l’autorevolezza costruita dai primi rabbini capo d’Israele. A partire da rav Abraham Isaac Kook, rabbino capo nella Palestina mandataria (1921-1935). “La sua importanza è nota a tutti. Lo possiamo definire come una figura di rabbino ortodosso, un haredi dell’est Europa, molto attento e aperto al sionismo pionieristico. Poi, nel dopo indipendenza, si sono succedute varie figure importanti come rav Ben-Zion Uziel (rabbino capo sefardita) da una parte, e rav Yitzchak haLevi Herzog, primo rabbino capo ashkenazita d’Israele, padre del futuro presidente dello Stato e nonno dell’attuale capo della Sochnut (Agenzia ebraica)”. A proposito di rav Uziel, Della Pergola racconta poi un particolare della propria storia familiare. “Mio nonno, rav Raffaello Della Pergola z.l., era il rabbino capo d’Alessandria d’Egitto. Gli fu offerto di guidare la Comunità ebraica di Salonicco, che all’epoca, nei primi del Novecento, era una delle più importanti del Mediterraneo. Lui spiegò di non poter lasciare l’Egitto, ma scrisse una lettera di raccomandazione per il giovane rabbino capo di Yaffo, rav Uziel appunto”. Un esempio delle tante connessioni del mondo ebraico, al di là di ogni confine. “Rav Uziel – aggiunge il demografo – divenne poi un’autorità e come rabbino capo sefardita fu apprezzato per la sua apertura e moderazione”. Tra le figure che hanno lasciato un segno in questo secolo di rabbinato centrale, per Della Pergola non si può poi non menzionare rav Shlomo Goren. “Fu lui a suonare simbolicamente lo Shofar al Kotel HaMaravi (Muro Occidentale) durante la guerra dei Sei giorni (1967), con l’ingresso dell’esercito nella città vecchia di Gerusalemme. Rav Goren era molto attivo, era stato rabbino capo dell’esercito ed era in grado di comprendere le esigenze delle persone normali. Attorno a lui c’era molto consenso, così come attorno al suo contemporaneo rav Yitzchak Nissim (rabbino capo sefardita)”. Poi l’analisi di Della Pergola sull’operato dei rabbini capo successivi si fa molto critica. “Quello che è avvenuto nei decenni successivi è stata una radicalizzazione progressiva dovuta alla politica. – afferma – e cioè al crescente peso dei partiti haredim nella Knesset (parlamento israeliano) e soprattutto nel governo. Con il loro peso politico hanno imposto di nominare (alla guida del rabbinato centrale) o dei rabbini haredim o delle figure con poco carisma e privi dell’autonomia necessaria per poterli poi soverchiare”.
In questo quadro, Della Pergola apre una parentesi su rav Ovadia Yosef. “Era un grande intellettuale, ha preso decisioni importantissime in termini di Halakha, cioè di legislazione ebraica, soprattutto per quel che riguarda le comunità sefardite e ha avuto una enorme influenza. Più tardi ha deciso di entrare in politica, inventando il partito Shas”. Un errore, secondo Della Pergola, perché con la politica ci si sporca le mani tra compromessi e intrighi. “Il capo di Shas, Arieh Deri, per i suoi giochi politici è finito persino in carcere. E questo credo abbia danneggiato anche la figura del rav Yosef, che nel corso del suo rabbinato aveva dimostrato di essere molto aperto alle necessità della gente. È stato lui ad esempio a dare la patente definitiva agli ebrei etiopici per le conversioni. In generale, ha preso molte decisioni controcorrente che oggi non credo passerebbero. Questo è proprio il punto su cui insisto – aggiunge Della Pergola – credo che un grande rabbino sia una persona con la capacità di prendere decisioni. Un piccolo rabbino è uno che non decide nulla, che dice no su tutto, e si fa influenzare dagli altri”. Al momento, il giudizio del demografo, nel Rabbinato centrale d’Israele mancano i grandi rabbini.
Un punto fondamentale, aggiunge, sono oggi le conversioni. “Il rabbinato ufficiale ha una posizione estremamente restrittiva al riguardo. Ci sono stati vari tentativi di creare un sistema di conversioni unificato che possa accomodare anche le necessità delle correnti americane moderne senza rinunciare all’ortodossia. Esistono due piani: uno di Yaakov Neeman, defunto ex ministro della Giustizia e l’altro di Moshe Nissim, altro ex ministro della Giustizia e figlio del rav Nissim. Sono due piani su cui c’è assolutamente grande consenso. Perfino già discussi al governo. Poi però sono stati ficcati in un cassetto e dimenticati. – spiega il professore – Perché? Perché c’è chi non vuole deroghe al controllo assoluto sulle conversioni (operato dal Rabbinato centrale)”. Anche il tentativo di delegare le conversioni a rabbini delle singole città, aggiunge, è naufragato nonostante nel 2013 il governo Netanyahu l’avesse approvato. “Su questo tema il Premier aveva poi fatto cadere il suo stesso governo. Per tornare al potere nel 2015, con dentro i haredim, e questa riforma è stata annullata. Se ne riparla ora, ma chissà. E intanto la gente cerca strade diverse e lontane dai percorsi del Rabbinato centrale. Come può essere un sistema che funziona questo?”.

dr