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LA RIFLESSIONE DI RAV GIUSEPPE MOMIGLIANO  

"Noi e Israele, la giusta mobilitazione
e una profondità da recuperare"

“È tempo di sventura per Giacobbe, ma ne uscirà salvo” (Geremia 30,7). Giorni di dolore si stanno succedendo per il popolo ebraico: dopo la tragedia di Meron assistiamo ora con crescente angoscia ai drammatici eventi di guerra che vedono i nostri fratelli in Israele sottoposti a cruenti, incessanti attacchi missilistici da parte di Hamas e di altre organizzazioni terroristiche insediate a Gaza mentre un altro fronte si apre purtroppo all’interno d’Israele, con le reazioni violente e altri gesti di inaudita gravità, come episodi di linciaggio e l’incendio di una sinagoga, compiuti da gruppi di popolazione araba in varie città. Lo Stato d’Israele sta affrontando la situazione con la fermezza e la forza necessarie ma sempre tenendo presenti i criteri di umanità che la Torà ci insegna: verso gli attacchi dall’esterno, avendo come primo obiettivo la protezione della propria popolazione e l’impegno a colpire il nemico per neutralizzarlo, limitando per quanto possibile le vittime; verso l’interno, ristabilendo l’ordine con i provvedimenti di autorità e polizia necessari ma al tempo stesso facendo giungere, per bocca delle autorità politiche e di autorevoli rabbini, stringenti appelli alla popolazione ebraica ad evitare assolutamente di rispondere alle violenze di parte araba con iniziative personali di vendetta e di giustizia sommaria. Al contempo gli ebrei di tutto il mondo manifestano solidarietà e si fanno portavoce della realtà dei fatti e delle situazioni che hanno preceduto e determinato questa deflagrazione di violenza, che sappiamo spesso travisate in funzione ostile ad Israele dalle fonti di informazione.
Al di là di tutti questi diversi ambiti di reazione ai drammatici eventi, ricordiamo che i nostri Maestri ci sollecitano ad affrontare i momenti di sofferenza e di particolare difficoltà non solo intervenendo sulle cause dirette ma anche riflettendo sulle possibili implicazioni di carattere spirituale e sulle iniziative che dobbiamo attivare dal punto di vista ebraico.
Ora siamo quasi alla vigilia di Shavuot e sicuramente questi giorni solenni ci indicano delle linee di pensiero e di azione riguardo alla difficile situazione che stiamo vivendo. Innanzitutto consideriamo che l’evento del Monte Sinai, che si ricorda a Shavuot, rappresenta un momento fondamentale di unità del popolo ebraico. Unità che si è determinata e cementata nell’istante in cui abbiamo risposto affermativamente alla proposta del Patto con il Signore e ci siamo preparati per ricevere la Torà “Tutto il popolo con voce unanime rispose – Tutto ciò che ha detto il Signore, noi lo eseguiremo”. Nel concreto del presente, penso significhi che dobbiamo ricordare che cosa ci unisce più profondamente e cercare di riscoprirlo innanzitutto nella Torà. Nei fatti, la realtà è molto diversa, le parole della Torà ci dividono molto più che unirci mentre andiamo piuttosto a cercare cosa ci unisce nella lotta contro l’antisemitismo e nel sostegno ad Israele. Ovviamente cause validissime. Ma anche, forse proprio per questo, almeno in parte ci deviano e distolgono dal problema principale; la difesa d’Israele, la difesa del popolo ebraico sono argomenti tanto importanti che ci occupano e impegnano ma non ci fanno avvertire che ci manca qualcosa di sostanziale. Mentre infatti ci impegniamo a controbattere le infamie dell’antisemitismo e a difendere le cose care che ci vogliono sottrarre, quanto invece ci dedichiamo a conoscere e comprendere ciò che veramente siamo come popolo ebraico e come attraverso la Torà possiamo realizzarlo? Ovviamente non si possono dare risposte in questa breve riflessione, però un piccolo richiamo che può aiutare: il testo della Torà ci dice che tutto il popolo d’Israele era assolutamente unito ai piedi del Sinai nell’ascolto dei Dieci Comandamenti (le Dieci Parole, Aseret ha-Dibberot). Però i Maestri ci insegnano anche che la Voce del Signore – quindi le medesime Parole – giunsero a ciascuno dei figli e delle figlie d’Israele nella forza e nella misura corrispondente alla loro capacità di ricezione e comprensione. Forse possiamo intendere che dobbiamo trovare nella Torà al tempo stesso ciò che ci unisce tutti, che rappresenta la nostra anima, i nostri doveri, le nostre mete, ma al tempo stesso anche quello che esprime la sensibilità, la mente e il cuore differente di ogni ebreo.
Un altro aspetto di Shavuot che ci richiama all’idea di unità del popolo d’Israele è dato dal fatto che è parte delle solennità ricordate come “Shalosh Regalim”: le tre feste – Pesach Shavuot e Sukkot – in cui la Torà prescrive il pellegrinaggio nel luogo prescelto per il Santuario. Nel tempo in cui esisteva il santuario, Gerusalemme diveniva luogo d’incontro per tutti gli ebrei che giungevano da ogni parte d’Israele e anche per coloro che già vivevano in diaspora. Proprio in quanto ripropone il tema della centralità d’Israele e di Yerushalaim, penso che questa ricorrenza sia per noi una delle occasioni in cui riflettere sul senso delle nostre scelte di vita nella diaspora. Si tratta di una riflessione che ha risvolti personali, individuali, ma anche di identità ebraica collettiva. Penso che uno dei temi su cui si costruisce il futuro del popolo ebraico, per lo meno nella prospettiva più vicina, sia proprio capire se e come abbia senso l’ebraismo della diaspora e conseguentemente come questo si articoli con Israele ben al di là delle parole e dei gesti di solidarietà, per quanto importanti e necessari. Questo aspetto di Shavuot si ricollega al precedente: l’obiettivo è riscoprire nella Torà quello che può essere – se c’è – il senso della presenza ebraica in mezzo ai popoli in quanto scelta compiuta e non, come per il passato, in quanto condizione subita. Anche in questo caso il senso della diaspora non può essere solo il combattere l’antisemitismo e il sostegno ad Israele.
Gli eventi drammatici che colpiscono Israele in questi giorni ci ricordano, forse, che la sua forza non potrà mai essere riposta solo nelle risorse materiali, di protezione e di controffensiva, la forza più grande è nel legame di tutto Am Israel con questa terra, nei valori ebraici che in questa terra si devono realizzare e in ciò che questa terra rappresenta per noi tutti nel nostro legame con il Signore. Il nostro sostegno per Israele si deve pertanto esprimere non solo negli eventi, nelle manifestazioni e sui mezzi d’informazione, ma nel ricercare tutto ciò che nel profondo ci caratterizza come ebrei, ci unisce come popolo e ci dà modo di realizzare in Israele, da vicino e da lontano che noi si sia, un paese e una terra realmente diversi da ogni altro luogo del mondo: “Una terra della quale il Signore si prende cura, sulla quale continuamente si posano gli occhi del Signore, dal principio alla fine dell’anno” (Deut. 11,12).

Rav Giuseppe Momigliano

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DOPO GLI SCONTRI INTERNI A ISRAELE

"Seguiamo la lezione della Torah,
non la strada della vendetta"

Di fronte alla violenza indiscriminata non si risponde con altra violenza indiscriminata. Serve giustizia, non vendetta. È il messaggio diffuso in queste ore dal rabbino capo di Kiryat Ono, rav Ratzon Arusi, per cercare di arginare gli scontri interni alla società israeliana. Di fronte alle violenze dei manifestanti arabi in diverse città, sottolinea rav Arusi, non si può rispondere con ritorsioni indiscriminate e cieca vendetta. “È necessario punire il criminale. È invece assolutamente vietato attaccare l'innocente. Questa è una grande regola in tutti gli aspetti della vita”. Ed è maggior ragione valida, prosegue il rav, quando “i nostri nemici cercano di distruggerci. Cercano di causare conflitti tra noi e gli arabi che vivono al nostro fianco in questo paese, di creare tensioni interne ed esterne”. Il riferimento del rav è ai fatti che hanno segnato in questi giorni città come Haifa, Akko, Umm al-Fahm, Bat Yam, Giaffa, Be'er Sheva. Da nord a sud del paese, le rivolte arabe hanno creato disordini, aprendo una ferita profonda nella convivenza interna alla società israeliana. E ponendo molti interrogativi sulla condizione della minoranza araba. Particolarmente gravi le immagini arrivate da Lod, dove il sindaco della città ha parlato di un clima da “Notte dei cristalli” e dove i rivoltosi sono arrivati ad incendiare una sinagoga (nell'immagine in alto). Nella città, la situazione è diventata tanto grave da costringere le autorità a ordinare un coprifuoco e il dispiegamento di forze dell'ordine è stato ingente. “Siamo in un momento di emergenza”, le parole del ministro della Difesa Benny Gantz, in relazione all'invio di uomini in diverse aree del paese. “In questo momento è necessaria una risposta massiccia delle forze sul terreno”. Gantz ha aggiunto che l'attività di polizia e l'applicazione della legge non sostituiscono “una leadership responsabile e la riduzione delle tensioni”.
Scene di incedi, scontri, sassaiole, vetri rotti si sono verificate in altre località d'Israele.
Ad Akko, nel nord del paese, Elad Barzilay, 31 anni, padre di quattro figli, voleva impedire ai suoi studenti di partecipare ai disordini. È stato linciato per strada, con pietre e bastoni, fino a fargli perdere i sensi. Ora è sedato e attaccato a un respiratore. A Bat Yam, - e a questo caso fa riferimento l'intervento di rav Arusi - una folla di estremisti ha tirato fuori da un'auto un uomo arabo e lo ha picchiato fino a farlo giacere a terra immobile. Ora è ricoverato in gravi condizioni, ma è stabile, hanno spiegato i medici senza rivelarne l'identità. Yedioth Ahronoth, il principale quotidiano israeliano, ha deciso di aprire la sua edizione odierna (a sinistra) con l'immagine di questa aggressione. E per descrivere in generale la situazione del paese, il titolo scelto in apertura è "Anarchia". 
In un'intervista televisiva a tarda notte, il presidente Reuven Rivlin ha detto che il paese è in preda alla guerra civile e ha esortato i cittadini a “fermare questa follia”. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha invitato sia ebrei che arabi a cessare gli attacchi reciproci: “Non mi importa che il vostro sangue stia ribollendo. Non potete prendere la legge nelle vostre mani”, ha detto.

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IL GABINETTO DI SICUREZZA AVVERTE HAMAS E JIHAD ISLAMICA

"Israele colpirà i terroristi di Gaza
fino a che non si arrenderanno"

Le sirene antimissile continuano a fare da colonna sonora della vita degli israeliani. Da Beersheva a Tel Aviv, sono oltre 1300 i missili sparati dai terroristi di Gaza contro le diverse città israeliane. E intanto sale il bilancio delle vittime e dei feriti. Tra loro, Ido Avigal, di soli cinque anni, ucciso da un razzo di Hamas sparato contro la sua abitazione a Sderot, nel sud d'Israele. “Piangiamo per la tua vita breve, pura e innocente, spezzata dall'abominevole mano di Hamas”, le parole di cordoglio del Presidente d'Israele Reuven Rivlin, in queste ore in cui lo scontro non accenna a diminuire d'intensità.
Per salvaguardare la vita di chi arriva in Israele, le autorità nelle scorse ore avevano momentaneamente dirottato gli aerei in arrivo all'aeroporto Ben Gurion verso quello di Eilat. E così i terroristi di Hamas hanno puntato contro contro quest'ultimo, nel chiaro intento di colpire civili. “Sparare su Tel Aviv, Dimona e Gerusalemme è più facile per noi che bere un bicchier d'acqua, abbiamo altre sorprese che renderanno felice il nostro popolo”, le dichiarazioni di un portavoce di Hamas riprese dalla stampa israeliana. “La vostra tecnologia e i vostri assassinii non ci spaventano. Non ci sono linee rosse nella nostra risposta. Abbiamo solo la spada e il fuoco”, le sue parole. Il riferimento è all'uccisione mirata di alcuni dei vertici di Hamas e Jihad Islamica. Sedici sono i leader dei due gruppi del terrore che le forze di sicurezza hanno eliminato nelle ultime 24 ore, secondo quando dichiarato dall'esercito. E nella notte il gabinetto di sicurezza, guidato dal Premier Benjamin Netanyahu, ha approvato un piano per intensificare questi attacchi. Nella riunione è anche stata annunciata la decisione di respingere una proposta di Hamas per un cessate il fuoco. L'operazione “Guardiano delle Mura”, ha dichiarato a ynet un membro del gabinetto, “è ancora lontana dalla fine. Qualsiasi cosa non si faccia ora, dovremo farla tra sei mesi o tra un anno”.  Il rappresentante del governo ha spiegato che Israele per il momento non ha interesse a fermare la risposta all'aggressione dei terroristi di Gaza.

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LE MANIFESTAZIONI ORGANIZZATE IN DIVERSE CITTÀ

Solidarietà a Israele, l’Italia ebraica si mobilita

A Roma leader e rappresentanti delle principali forze politiche hanno partecipato al presidio organizzato dalla Comunità ebraica di fronte al Tempio maggiore. Non solo il principale punto di riferimento dell’ebraismo romano ma anche il luogo che ricorda una ferita atroce e insanabile: l’attentato palestinese del 9 ottobre del 1982 in cui restò ucciso il piccolo Stefano Gaj Taché, di due anni appena. “Il nostro bambino, un bambino italiano” avrebbe detto Sergio Mattarella in un indimenticabile intervento che ha segnato una svolta nel lungo e faticoso cammino di consapevolezza.

“La Jihad, Hamas, i terroristi, minano un modello di coesistenza. E noi non possiamo accettare chi il mina il nostro diritto ad esistere, chi mina la pace e il futuro” le parole di Ruth Dureghello, presidente degli ebrei romani, le cui riflessioni hanno aperto la maratona di testimonianze.
Ad intervenire, accolti sul palco dal vicepresidente della Comunità ebraica Ruben Della Rocca, sono stati Matteo Salvini (Lega), Enrico Letta (Pd), Antonio Tajani (Forza Italia), Andrea Cioffi (Movimento Cinquestelle), Francesco Lollobrigida (Fratelli d’Italia), Carlo Calenda (Azione), Maria Elena Boschi (Italia Viva) e Giovanni Toti (Cambiamo). Hanno concluso la cerimonia la Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni, che ha letto i nomi delle vittime, espresso preoccupazione per gli ultimi angoscianti sviluppi e invitato il mondo occidentale “a non legittimare i terroristi di Hamas”, e il rabbino capo rav Riccardo Di Segni, con la lettura di un salmo, il 120, che ha molto da dire riguardo al significato autentico di pace.

Manifestazioni si sono svolte anche a Milano, davanti alla sinagoga di via della Guastalla, e Trieste, in piazza Unità d'Italia. Domani a Napoli sit-in con ritrovo in piazza dei Martiri.

(Nelle immagini, dall'alto in basso, le manifestazioni a Roma, Milano e Trieste)

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ISRAELE SOTTO ATTACCO - IL RACCONTO DAL CENTRO DEL PAESE 

Il tornado sopra di noi

Il cielo azzurro sopra di noi in questa stagione è pieno di uccelli e api e calabroni e ogni altro animaletto dotato di ali, che viene a visitare gli alberi in fiore tutto intorno a casa. Tutti indaffarati, ciascuno con il suo volo, veloce o lento, con o senza tuffi improvvisi o ronzii a diverse intensità. Oggi invece, e già da alcuni giorni, i voli e rumori prevalenti, sia di giorno che di notte, sono altri: il rombo di vari tipi di aerei, il giro delle pale degli elicotteri, un ronzio speciale particolarmente acuto, probabilmente di droni, e poi tutta una gamma di echi di esplosioni di varia natura. Ci sono quelli che sanno perfino distinguerli, gli echi: questo è dei nostri, questo è dei loro, questo è un missile dell’Iron Dome che spappola a mezz’aria un missile in arrivo da Gaza, evviva!
Quando si vive ad una manciata di chilometri da Gaza, il terrorismo di Hamas e della Jihad islamica, e la sua espressione sotto forma di lanci di missili magari fatti in casa ma perfettamente funzionanti e potenzialmente mortali, oppure di palloncini con legato l’esplosivo con lo stesso intento assassino, sono cose da mettere in conto. Non dovrebbero, è ovvio, ma da troppi anni fanno parte delle vite degli israeliani che vivono qui e sono diventati endemici.
Quello che è successo fra lunedì e martedì di questa settimana, però, è stata una escalation assolutamente verticale. I commentatori locali dicono che Zahal sapeva che la potenza di fuoco da Gaza (firmata Hamas o Jihad, o insieme, è irrilevante ai fatti) aveva la possibilità di scatenarsi come un tornado di attacchi simultanei su tutto il paese. E se Zahal sapeva, allora anche il governo era al corrente, ma con quasi due anni di elezioni ricorrenti e nuovi governi che non si riesce a formare, non può stupire il fatto che non si sia saputa evitare.
Mentre la crisi continua sopra le nostre teste con rumori di esplosioni e aerei in volo in ogni direzione, sono due i punti di grave preoccupazione. Il primo è la conseguenza di quello che ho chiamato il “tornado” di martedì sera e poi notte, rappresentato bene alla televisione israeliana dalle strisce arancioni che siamo abituati a veder comparire sugli schermi quando da Gaza partono missili verso il territorio israeliano. Ciascuna striscia porta il nome di un quartiere di una città, di solito parti di Ashkelon o Ashdod, oppure nomi di centri più piccoli come Sderot, Netivot, e dei kibbutzim e moshavim stretti intorno a Gaza, i più abituati a ricevere le attenzioni esplosive di Hamas. Martedì sera, invece del normale numero di due, tre o quattro strisce di luoghi attaccati, che trova posto in alto a destra sul teleschermo, abbiamo visto comparire liste senza fine che si ripetevano tanto velocemente da non lasciare il tempo di leggerle. I giornalisti hanno dovuto specificare che non si trattava di un guasto del sistema, e che i nomi che comparivano e venivano immediatamente sostituiti da altri erano in effetti tutti e ciascuno punti in Israele nei quali i cittadini dovevano correre ai rifugi all’istante.

Daniela Fubini

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LA SERATA PROMOSSA DALL'ASSET 

Dall’Italia alla Terra Promessa

Con la proiezione online del film di Daniele Tommaso “Terra Promessa” prodotto nel 2020 da Istituto Luce Cinecittà, con il sostegno del Mibact promosso da As.S.E.T. (Associazione ex allievi e amici della Scuola Ebraica di Torino) e con il Patrocinio di UCEI, Museo Nazionale del Cinema e Comune della Spezia, si svolgerà stasera alle 21 un evento di rilievo nazionale, che ricostruisce un pezzo fondamentale di storia: la storia della nascita dello Stato d’Israele alla vigilia della sua Dichiarazione di Indipendenza.
Stasera prende avvio anche il Premio Exodus, conferito quest’anno alla Presidente dell’Unione Noemi Di Segni, mentre a Daniele Tommaso, purtroppo scomparso di recente, è stata conferita la menzione speciale della Spezia e dal Comitato Scientifico del Premio.
Introdotti da Giulio Disegni, Presidente dell’Asset e VicePresidente UCEI, porteranno il loro saluto in apertura la Presidente Di Segni; Pierluigi Peracchini, sindaco della Spezia; Domenico De Gaetano, direttore del Museo Nazionale del Cinema. E cioè gli enti che hanno sponsorizzato l’evento, oltre a Letizia Monti Tommaso, moglie del regista, e Marina Piperno, produttrice cinematografica, che ha collaborato amichevolmente alla realizzazione del film.
 

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Setirot - Ordine nei pensieri 
Credo e temo che il conflitto stia per giungere a uno dei suoi apici più drammatici. Sento il bisogno – nell’immenso dolore personale e collettivo – di mettere in ordine i pensieri facendomi guidare, nei limiti del possibile, dalla ragione e non dai sentimenti. Vorrei ci provassimo in molti. Separando, per esempio, la questione di Hamas (ovvero la dittatura terrorista che regna a Gaza e che riversa centinaia di razzi sulle popolazioni civili israeliane) dalla quasi quarantennale tragedia israelo-palestinese. Ciò che trovo drammatico sono gli scontri in territorio israeliano, sinagoghe incendiate in cittadine cresciute all’insegna della convivenza: non più intifada, ma vera e propria guerra civile.
Stefano Jesurum
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Pedofilia e neonazismo
È opportuno riportare per intero titolo e sottotitolo di una notizia apparsa alcuni giorni fa sulla pagina regionale di un quotidiano nazionale: Titolo: “Bambini abusati, Hitler e pugnali – Le chat dell’orrore dei 17enni”. Sottotitolo: “Pisa, otto minori denunciati per pedopornografia e odio razziale. Le famiglie ignare”. L’articolo – corredato dalla foto di un pannello, trovato nella casa di uno dei minori, nel quale spiccano le bandiere con la svastica – racconta i particolari delle indagini, tra cui il rinvenimento di spranghe, bastoni, pugnali, e naturalmente i particolari dei contenuti delle chat scambiate.
Valentino Baldacci
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Machshevet Israel - Il peccato d’origine
Non è raro sentirsi porre la domanda se il giudaismo abbia, o no, una dottrina del peccato originale (in riferimento alla trasgressione di Adamo ed Eva narrata in Bereshit/Gn 3). La risposta è semplice e complicata allo stesso tempo. No, non esiste una dottrina ebraica del peccato originale, se con questo concetto si intende la credenza che la prima coppia umana abbia commesso un atto peccaminoso metafisico e metastorico che ha reso ‘lapsa’ per sempre e per tutti la natura umana, caduta in uno status di perdizione tale da poter essere salvata soltanto da un atto di redenzione altrettanto metafisico e metastorico (è l’interpretazione cristiana classica).
Massimo Giuliani
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Spuntino - Acqua e fuoco nel deserto
Perché il brano di questa settimana, che si legge sempre il sabato che precede Shavu'ot, esordisce specificando una data (1/2/2 cioè il primo giorno del secondo mese, Iyiar, del secondo anno dall'uscita dall'Egitto)? Ritroviamo le stesse cifre 2-2-1 espresse in lettere, bet-bet-alef, all'inizio della Torah: *b*e-reshit *b*arà *E*lokim, "in principio D-o creò." Il principio ("reshìt") della sapienza è il timore ("yirà") di D-o, dice il salmo (111:10). Queste iniziali b-b-a ("bava" in aramaico) rappresentano dunque il varco, la soglia attraverso cui si accede alla Torah.
Raphael Barki
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