Noi e Israele, la giusta mobilitazione
e una profondità da recuperare

“È tempo di sventura per Giacobbe, ma ne uscirà salvo” (Geremia 30,7). Giorni di dolore si stanno succedendo per il popolo ebraico: dopo la tragedia di Meron assistiamo ora con crescente angoscia ai drammatici eventi di guerra che vedono i nostri fratelli in Israele sottoposti a cruenti, incessanti attacchi missilistici da parte di Hamas e di altre organizzazioni terroristiche insediate a Gaza mentre un altro fronte si apre purtroppo all’interno d’Israele, con le reazioni violente e altri gesti di inaudita gravità, come episodi di linciaggio e l’incendio di una sinagoga, compiuti da gruppi di popolazione araba in varie città. Lo Stato d’Israele sta affrontando la situazione con la fermezza e la forza necessarie ma sempre tenendo presenti i criteri di umanità che la Torà ci insegna: verso gli attacchi dall’esterno, avendo come primo obiettivo la protezione della propria popolazione e l’impegno a colpire il nemico per neutralizzarlo, limitando per quanto possibile le vittime; verso l’interno, ristabilendo l’ordine con i provvedimenti di autorità e polizia necessari ma al tempo stesso facendo giungere, per bocca delle autorità politiche e di autorevoli rabbini, stringenti appelli alla popolazione ebraica ad evitare assolutamente di rispondere alle violenze di parte araba con iniziative personali di vendetta e di giustizia sommaria. Al contempo gli ebrei di tutto il mondo manifestano solidarietà e si fanno portavoce della realtà dei fatti e delle situazioni che hanno preceduto e determinato questa deflagrazione di violenza, che sappiamo spesso travisate in funzione ostile ad Israele dalle fonti di informazione.
Al di là di tutti questi diversi ambiti di reazione ai drammatici eventi, ricordiamo che i nostri Maestri ci sollecitano ad affrontare i momenti di sofferenza e di particolare difficoltà non solo intervenendo sulle cause dirette ma anche riflettendo sulle possibili implicazioni di carattere spirituale e sulle iniziative che dobbiamo attivare dal punto di vista ebraico.
Ora siamo quasi alla vigilia di Shavuot e sicuramente questi giorni solenni ci indicano delle linee di pensiero e di azione riguardo alla difficile situazione che stiamo vivendo. Innanzitutto consideriamo che l’evento del Monte Sinai, che si ricorda a Shavuot, rappresenta un momento fondamentale di unità del popolo ebraico. Unità che si è determinata e cementata nell’istante in cui abbiamo risposto affermativamente alla proposta del Patto con il Signore e ci siamo preparati per ricevere la Torà “Tutto il popolo con voce unanime rispose – Tutto ciò che ha detto il Signore, noi lo eseguiremo”. Nel concreto del presente, penso significhi che dobbiamo ricordare che cosa ci unisce più profondamente e cercare di riscoprirlo innanzitutto nella Torà. Nei fatti, la realtà è molto diversa, le parole della Torà ci dividono molto più che unirci mentre andiamo piuttosto a cercare cosa ci unisce nella lotta contro l’antisemitismo e nel sostegno ad Israele. Ovviamente cause validissime. Ma anche, forse proprio per questo, almeno in parte ci deviano e distolgono dal problema principale; la difesa d’Israele, la difesa del popolo ebraico sono argomenti tanto importanti che ci occupano e impegnano ma non ci fanno avvertire che ci manca qualcosa di sostanziale. Mentre infatti ci impegniamo a controbattere le infamie dell’antisemitismo e a difendere le cose care che ci vogliono sottrarre, quanto invece ci dedichiamo a conoscere e comprendere ciò che veramente siamo come popolo ebraico e come attraverso la Torà possiamo realizzarlo? Ovviamente non si possono dare risposte in questa breve riflessione, però un piccolo richiamo che può aiutare: il testo della Torà ci dice che tutto il popolo d’Israele era assolutamente unito ai piedi del Sinai nell’ascolto dei Dieci Comandamenti (le Dieci Parole, Aseret ha-Dibberot). Però i Maestri ci insegnano anche che la Voce del Signore – quindi le medesime Parole – giunsero a ciascuno dei figli e delle figlie d’Israele nella forza e nella misura corrispondente alla loro capacità di ricezione e comprensione. Forse possiamo intendere che dobbiamo trovare nella Torà al tempo stesso ciò che ci unisce tutti, che rappresenta la nostra anima, i nostri doveri, le nostre mete, ma al tempo stesso anche quello che esprime la sensibilità, la mente e il cuore differente di ogni ebreo.
Un altro aspetto di Shavuot che ci richiama all’idea di unità del popolo d’Israele è dato dal fatto che è parte delle solennità ricordate come “Shalosh Regalim”: le tre feste – Pesach Shavuot e Sukkot – in cui la Torà prescrive il pellegrinaggio nel luogo prescelto per il Santuario. Nel tempo in cui esisteva il santuario, Gerusalemme diveniva luogo d’incontro per tutti gli ebrei che giungevano da ogni parte d’Israele e anche per coloro che già vivevano in diaspora. Proprio in quanto ripropone il tema della centralità d’Israele e di Yerushalaim, penso che questa ricorrenza sia per noi una delle occasioni in cui riflettere sul senso delle nostre scelte di vita nella diaspora. Si tratta di una riflessione che ha risvolti personali, individuali, ma anche di identità ebraica collettiva. Penso che uno dei temi su cui si costruisce il futuro del popolo ebraico, per lo meno nella prospettiva più vicina, sia proprio capire se e come abbia senso l’ebraismo della diaspora e conseguentemente come questo si articoli con Israele ben al di là delle parole e dei gesti di solidarietà, per quanto importanti e necessari. Questo aspetto di Shavuot si ricollega al precedente: l’obiettivo è riscoprire nella Torà quello che può essere – se c’è – il senso della presenza ebraica in mezzo ai popoli in quanto scelta compiuta e non, come per il passato, in quanto condizione subita. Anche in questo caso il senso della diaspora non può essere solo il combattere l’antisemitismo e il sostegno ad Israele.
Gli eventi drammatici che colpiscono Israele in questi giorni ci ricordano, forse, che la sua forza non potrà mai essere riposta solo nelle risorse materiali, di protezione e di controffensiva, la forza più grande è nel legame di tutto Am Israel con questa terra, nei valori ebraici che in questa terra si devono realizzare e in ciò che questa terra rappresenta per noi tutti nel nostro legame con il Signore. Il nostro sostegno per Israele si deve pertanto esprimere non solo negli eventi, nelle manifestazioni e sui mezzi d’informazione, ma nel ricercare tutto ciò che nel profondo ci caratterizza come ebrei, ci unisce come popolo e ci dà modo di realizzare in Israele, da vicino e da lontano che noi si sia, un paese e una terra realmente diversi da ogni altro luogo del mondo: “Una terra della quale il Signore si prende cura, sulla quale continuamente si posano gli occhi del Signore, dal principio alla fine dell’anno” (Deut. 11,12).

Rav Giuseppe Momigliano

(13 maggio 2021)