RAV SZOLT BALLA SI RACCONTA A PAGINE EBRAICHE
"Primo rabbino militare da oltre un secolo,
per la Germania una svolta e una opportunità"
“Mi avvicino a questo appuntamento con emozione, ma anche consapevolezza del ruolo e del compito che mi sono richiesti. Un momento di svolta. Per gli ebrei tedeschi, ma anche e soprattutto per la Germania. E una grande opportunità per tutti. Farò del mio meglio per cercare di essere d’aiuto, per costruire qualcosa di nuovo e duraturo”.
Tra due settimane esatte rav Zsolt Balla, rabbino capo di Lipsia e della Sassonia, scriverà una delle pagine più importanti della storia recente degli ebrei di Germania. Nell’ambito di una solenne cerimonia in sinagoga, che si svolgerà alla presenza di alte cariche dello Stato e dell’esercito, oltre che della dirigenza ebraica nazionale, diventerà il primo rabbino militare tedesco dopo oltre un secolo. Una sfida affascinante sulla quale si è confrontato con la redazione di Pagine Ebraiche, per una intervista di prossima pubblicazione nella quale il rav, 42 anni, nato e cresciuto in Ungheria, affronta le sensazioni con le quali si appresta ad entrare in servizio, la sua storia personale, il valore di una vita ebraica nella Germania di oggi.
“Il lavoro da fare è tanto. Ciascuno di noi – afferma – può fare molto”.
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PAGINE EBRAICHE GIUGNO 2021 - IL PROGETTO DEL CENTRO PERES
I bambini di Gaza e la medicina al servizio della pace
Quali strade di dialogo si possono costruire con i palestinesi? Come evitare l’ingerenza violenta dei terroristi di Hamas? Come ricucire le ferite interne a Israele dopo il trauma degli scontri tra ebrei e arabi? Sono alcuni degli interrogativi su cui si sofferma il dossier di Pagine Ebraiche “Gaza, oltreconfine”, pubblicato sul numero attualmente in distribuzione. Di seguito un esempio concreto di relazioni positive costruite con Gaza tra israeliani e palestinesi con lo scopo di salvare vite umane: il progetto Saving Children del Peres Center for Peace and Innovation di Tel Aviv (l’iniziativa sarà presentata il 9 giugno alle 20.45 nel corso dell’incontro “La medicina al servizio della pace: il progetto Saving Children” – per partecipare, inviare una mail a segreteria@torinoebraica.it entro le ore 14.00 del 9 giugno).
“Stiamo vivendo un momento molto strano, prima la pandemia, poi la guerra, gli scontri interni. Non abbiamo fatto in tempo a rifiatare, che già eravamo catapultati in un’altra difficoltà. Da una chiusura a un’apertura ad un’altra chiusura: una fisarmonica estenuante di emozioni”. È una Israele un po’ frastornata, quella che si presenta oggi davanti agli occhi di Manuela Dviri. Le difficoltà della vita l’hanno abituata a confrontarsi con i conflitti, ma questo ultimo periodo – tra la fine dell’emergenza pandemica e il nuovo ciclo di violenze con Gaza – sembra aver colto di sorpresa anche lei. “Dei razzi di Hamas nessuno si stupisce. Ma di questa guerra urbana scoppiata in tutto il paese tra arabi ed ebrei, questa sì è una strana novità a cui prima nessuno pensava. Credevamo che il problema fosse fuori, ma invece oggi ci rendiamo conto che dobbiamo lavorare anche all’interno del paese, nelle nostre città miste e non solo”. Serviranno nuovi progetti da realizzare, nuove strade di incontro da costruire, spiega Dviri, che ha già in cantiere alcune idee. E nel mentre porta avanti un progetto nato su suo impulso ormai diciotto anni fa: Saving children, un’iniziativa realizzata dal Peres Center for Peace and Innovation di Tel Aviv, grazie al quale in questi anni otre 12.500 bambini palestinesi sono stati curati negli ospedali di Israele.
“Noi ci occupiamo di seguire e gestire tutto l’iter che porta i bambini da Gaza o dalla Cisgiordania a farsi curare in Israele – spiega Rachel Hadari, direttrice del Dipartimento Medicina e Salute del Peres Center for Peace – I casi da trattare ci vengono segnalati dal servizio sanitario palestinese. Sono situazioni per cui sono richieste cure immediate per il bambino. Operazioni complesse che non possono essere fatte negli ospedali palestinesi. Una volta ricevuta e verificata la segnalazione, noi troviamo i medici che possono eseguire l’operazione o il trattamento. Devo dire che le risposte degli ospedali israeliani sono sempre state immediate. Fissata la data, ci occupiamo anche di tutte le questioni logistiche per portare il bambino e i genitori in Israele, dai permessi di ingresso, al trasporto fino alle sistemazioni per il pernottamento”. Una macchina rodata ma complessa e che, evidenzia Dviri, richiede finanziamenti.
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ISRAELE - LA COMPLESSA ALLEANZA ALLA PROVA DEL VOTO
Knesset, il 13 la fiducia al governo Lapid-Bennett
Il 13 giugno Israele saprà se il governo guidato da Naftali Bennett (Yamina) e Yair Lapid (Yesh Atid) avrà un futuro. In quella data, come annunciato dal presidente della Knesset Yariv Levin, i parlamentari israeliani voteranno la fiducia all’esecutivo. E ogni voto sarà fondamentale. Per il momento, Bennett e Lapid possono contare su una maggioranza di 61 seggi contro 59. Un numero sufficiente per sostituire il Primo ministro uscente Benjamin Netanyahu dopo dodici anni consecutivi al potere. Ma domenica bisognerà arrivare senza defezioni, altrimenti l’eterogenea alleanza di otto partiti che sostiene il duo si sfalderà subito.
A far tirare un sospiro di sollievo a Bennett e Lapid, che secondo l’intesa si alterneranno nella guida del governo (a iniziare sarà il primo, sostituito dopo due anni dal secondo), l’annuncio di uno dei parlamentari più scettici sul futuro della coalizione, Nir Orbach. Sotto pressione da giorni da parte del Likud e di altri militanti della destra, Orbach, membro del partito di Bennett Yamina, aveva espresso molti dubbi sull’alleanza formata per sostituire Netanyahu. Aveva dichiarato di non gradire una coalizione costruita sul sostegno della sinistra e del partito islamico Ra’am. Nonostante tutto ciò, in queste ore ha annunciato il proprio voto di fiducia. “Questa non è una decisione semplice, ma è legata a una realtà di instabilità governativa, di crisi civile, di discorsi violenti, a un senso di caos, sull’orlo della guerra civile”.
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LA CAMPAGNA CON IL SOSTEGNO UCEI
Sarah Halimi, nel suo nome la sfida dell'integrazione
Ricordare Sarah Halimi. E farlo attraverso i valori che più aveva a cuore: educazione delle nuove generazioni, educazione al futuro. L’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane partecipa attivamente alla campagna Ohel Sarah (Tenda di Sarah) avviata nei giorni scorsi da Yonathan, il figlio di Sarah Halimi. Ancora oggi sarà possibile effettuare donazioni per favorire la costruzione di un centro comunitario a suo nome nella zona di Haifa, l’acquisto di un Sefer Torah, lo sviluppo di attività socio-educative volte a favorire l’integrazione degli ebrei francesi in Israele.
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Tripoli, 1967: il pogrom
Le avvisaglie del pogrom c’erano state venerdì 2 giugno, quando anche gli ulema avevano invocato nelle moschee la jihad (la guerra santa), tenendo sermoni nella radio contro Israele e gli ebrei. Quasi contemporaneamente era stata indetta per il 5 giugno una settimana in favore della causa palestinese, alla quale, sotto la pressione della propaganda egiziana e siriana, si era associato anche il governo, dichiarando a nome del re che il Paese si considerava “in stato di guerra difensiva”, e si poneva a piena disposizione “per la liberazione della Palestina”. Le radio accese a tutto volume in ogni luogo, affermavano che “l’entità sionista” era ormai senza speranza e i suoi abitanti sarebbero stati sterminati e gettati nel mare. Come ogni anno in occasione della “Giornata della Palestina” i più benestanti avevano dovuto versare il loro obolo per la Palestina. Odiosamente taglieggiati, avevano dovuto fingere di essere contenti, sperando che il male minore proteggesse da quello peggiore. La direzione della Comunità ebraica inviò al Re un telegramma di solidarietà, in cui si riaffermava la fedeltà al re e una posizione di neutralità.
David Meghnagi
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Parlare di antifascismo
Si dice che l’antifascismo non abbia più diritto di cittadinanza al giorno d’oggi: una militanza obsoleta. Oggi, evidentemente, esiste solo il postfascismo. Forse è vero. Il fascismo non è più un partito identificabile con un nome e con una ideologia urlata con i toni roboanti di un tempo. E, tuttavia, il fascismo continua a essere un abito mentale, una visione del mondo e della società che vale la pena saper identificare nel quotidiano delle parole, dei comportamenti e della politica, per sapersene difendere al momento opportuno. Chi lo ha vissuto e patito lo sa riconoscere. Forse, allora, di antifascismo conviene ancora parlare, quanto meno per tener vivo il dibattito e desta l’attenzione. Anche a dispetto di chi ne nega l’attualità.
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Pollak, Freud e Kafka
In un recente saggio David Meghnagi scrive che “Nel dopoguerra è divenuto quasi ovvio associare l’antisemitismo alle destre e ai movimenti reazionari. Nel corso del secolo XIX non si trattò di una conclusione pacifica, e nemmeno oggi, se si pensa alle derive di un nuovo antisemitismo che ha riscoperto una falsa innocenza, proiettando sullo ‘Stato degli ebrei’ le immagini demoniache che un tempo erano riservate agli ebrei...".
Emanuele Calò
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Yeladim
In Italia il calo delle nascite è ormai diventato una emergenza nazionale. Questo almeno indicano i dati e le previsioni di recente pubblicazione; così interpretano la questione le analisi dei nostri maggiori quotidiani; anche il governo mostra preoccupazione in proposito, intervenendo a sostegno di chi mette al mondo figli. Ultimamente passo alcuni mesi in Israele a fare il nonno, una delle attività più belle del mondo insieme a quella di insegnante che ho da poco terminato.
David Sorani
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