Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui       12 Luglio 2021 - 3 Av 5781
L'ITALIA SULLA VETTA D'EUROPA

L'impresa azzurra e il witz inglese
rimasto nel libro dei sogni

E così invece di “tornare a casa”, come auspicavano gli inglesi cantando "It's coming home", il calcio è “andato a Roma”. Posto più appropriato in fondo non c’è.
Già ci siamo soffermati, alla vigilia della gara di Wembley, sulla primogenitura del pallone. Su quella secolare radice fiorentina, a sua volta ispirata all’harpastum degli antichi romani, che Arnaldo Momigliano svela a una attonita platea di eruditi di Oxford nel romanzo Calcio!.
I suoi colleghi della prestigiosa università inglese restano senza parole: come osa, quell’intellettuale ebreo senza patria che l’Italia ha rinnegato e perseguita per la sua origine, offendere orecchie così sensibili e sicure della verità. Il football è affar loro. Solo loro ne sono gli indiscutibili pionieri e Maestri.
“Football is coming to Rome”, gridava ieri beffardo Bonucci nel dopo gara. Chissà che non possa esser da lezione per la nazionale di casa, forse più ricca di talento ma scesa in campo, come i suoi tifosi sugli spalti, con la certezza di una vittoria in realtà tutta da conquistare.
E chissà che non abbia da imparare qualcosa anche sul piano del fair play: pessima infatti la scena dei calciatori che si sfilano la medaglia d’argento dal collo un secondo dopo averla ricevuta. Un’immagine anti-sportiva che va a macchiare il senso di una manifestazione significativa a prescindere dal suo esito finale. Preziosa e indimenticabile per il solo fatto di esserci stata.
“Southgate e i suoi ragazzi hanno portato al Paese orgoglio e gioia. E soprattutto ci hanno fatto stare tutti più vicini” il messaggio di un grande appassionato di calcio come il rabbino capo d’Inghilterra rav Ephraim Mirvis. Lo spirito giusto per elaborare una sconfitta comunque bruciante per i sudditi di sua Maestà.
Che lo scenario non fosse nemmeno contemplato è noto. Anche l’ebraismo inglese, in questo contesto euforico, si è fatto un po’ trascinare dal clima baldanzoso che ha preceduto la finale. Addirittura la dirigenza di una sinagoga di Londra, la Cockfosters and N Southgate Synagogue, aveva proposto, in caso di vittoria, un cambio di denominazione in Cockfosters and Gareth Southgate Synagogue. Con grande apprezzamento anche di illustri membri del governo, come il Segretario di Stato Oliver Dowden.
Forse solo un witz. In ogni caso, come noto, la questione non sussiste più.
Grazie Azzurri!

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IL DOSSIER SU PAGINE EBRAICHE DI LUGLIO 

Musei ebraici, luoghi vivi

Protagonisti di queste settimane di ripartenza, i musei ebraici italiani sono al lavoro per riformulare i loro spazi e la loro offerta. Ciascuno con le proprie specificità da valorizzare, ma anche la consapevolezza di far parte di una rete più ampia.
Lo dimostra la recente iniziativa #ItaliaEbraica, il network che li riunisce e che dall’inizio della pandemia ha proposto al pubblico del web una serie di interessanti incontri online. Adesso però, per fortuna, anche gli spazi fisici e non solo quelli virtuali sono a disposizione di tutti. Un’occasione, in alcuni casi, di ripensamento e rilancio.
È il caso di Firenze, con la Comunità ebraica che ha colto l’occasione delle riaperture di fine primavera per favorire un incontro con la città dedicato a questi temi. Nel giardino della sinagoga c’era tra gli altri il direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt.
Festeggiato intanto un primo traguardo: la nuova “camera immersiva”, dedicata ad alcune grandi figure della Firenze ebraica dall’Ottocento ad oggi. Racconta Enrico Fink, il presidente della Comunità ebraica fiorentina: “La cosa più importante è la prospettiva, da costruire negli anni, di uno spazio che è allo stesso tempo un di più e un di meno rispetto a un museo tradizionale. Il nostro museo, nato come una piccola esposizione e oggi molto apprezzato dai turisti, si trova infatti in un luogo vivo, dentro una comunità e dentro una struttura che respira”.
Un nuovo volto lo avrà anche il museo ebraico di Venezia, interessato da un progetto di ampio respiro con il supporto anche di sponsor internazionali. Un restauro strutturale, che ha preso il via da vari mesi, nell’area dove sorge il più importante complesso di sinagoghe rinascimentali al mondo. “La parola chiave sarà apertura verso l’esterno. Una sfida che declineremo in vari modi”, annuncia la direttrice Marcella Ansaldi a Pagine Ebraiche. Il primo lotto dei lavori, uno dei più importanti cantieri in Laguna, dovrebbe concludersi per il gennaio del 2022. Nel frattempo è possibile visitare il museo, in una sistemazione provvisoria “che non ha comunque ridotto l’interesse nei suoi confronti”.

(Nell’immagine l’interno del Museo ebraico di Venezia)

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L'INTERVENTO

I paragoni impropri tra pandemia e Resistenza  

Fra le manifestazioni pubbliche che stanno riprendendo il loro consueto svolgimento dopo l’anno e mezzo di lockdown dovuto al coronavirus vi sono le commemorazioni partigiane. I tempi rinnovati lasciano la propria traccia nelle orazioni ufficiali di queste occasioni in cui testimoni, storici e politici prendono per lo più spunto dalla pandemia per paragonarla alla lotta di liberazione. La banalità di una simile scelta non è solo evidente in alcuni esiti retorici francamente intollerabili: ho udito per esempio mettere sullo stesso piano i partigiani in montagna di ieri e gli scolaretti costretti alla didattica a distanza oggi, come se le due esperienze, con ogni rispetto per tutte le forme di disagio, comportassero lo stesso livello di sofferenza! Credo peraltro che la difficoltà di questo approccio sia di fondo.
C’è infatti almeno una differenza a mio avviso insormontabile che si tende evidentemente a sottacere e che rende improponibile qualsiasi confronto fra liberazione e pandemia. Nella pandemia si combatte tutti da una parte sola della barricata, nella liberazione non era così. Nessuno oggi mette in dubbio la necessità di sconfiggere il virus. Si può discutere sugli aspetti pratici di questa lotta, che sono certamente impegnativi: come potenziare la sanità e gli ospedali, la scuola, i trasporti; come organizzare una campagna di vaccinazione di massa che sia efficace. Non c’è invece necessità di dibattito alcuno sulle motivazioni ideali. Semplicemente perché su queste si è tutti d’accordo.
Ottant’anni fa gli animi erano invece divisi fra dittatura e persecuzione da un lato, resistenza e libertà dall’altro. I cittadini erano chiamati a compiere una precisa scelta morale prima ancora ideale che operativa fra bene e male. La lotta partigiana è stata certamente un’indicibile sofferenza anche fisica, ma non solo. Mettere liberazione e pandemia sullo stesso piano rischia di fare il gioco di chi ha interesse a sorvolare su questa divisione fra buoni e cattivi che purtroppo caratterizzò un periodo importante della recente storia d’Italia.
Ma il rischio di questo ragionamento è più sottile ancora. Nel medesimo contesto si sente spesso invocare l’insegnamento pacifista dei partigiani in contrasto con i nazifascisti guerrafondai. Sacrosanto, ma attenzione. La pace è e resta l’ideale supremo: “se non c’è la pace, non c’è nulla” (Rashì a Wayqrà 26, 6), nella misura in cui è accompagnata ed è essa stessa il risultato della giustizia. L’etica ebraica sostiene che l’ingiustizia non possa essere tollerata in alcun modo: con il male non si scende a compromessi, dal male è imperativo difendersi, in una parola il male va combattuto. Se passiamo sotto silenzio il fatto che i partigiani hanno imbracciato le armi per contrastare il male non solo compiamo un torto nei riguardi della Storia, ma rischiamo di trasmettere alle nuove generazioni un insegnamento falsato. Altre situazioni ancora potrebbero prestarsi a confronti sbrigativi e banalizzanti privi di fondamento nella misura in cui pretendiamo di ridurre principi etici in realtà complessi a semplici slogan. Così facendo si finirebbe per dare dell’attualità una visione capovolta.

Rav Alberto Moshe Somekh

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LA GRATITUTIDINE DEL MUSEO EBRAICO DI BOLOGNA

Emilio Ottolenghi (1932-2021)

Non è stato soltanto il grande imprenditore e il protagonista del mondo della finanza al quale i media hanno reso omaggio in questi giorni ricordando la sua partecipazione a realtà rilevanti come Intesa San Paolo e Credito Romagnolo e il suo ruolo fondamentale nella Petrolifera Italo Rumena. Emilo Ottolenghi, scomparso il 9 luglio scorso, è stato anche uomo di cultura, profondamente legato all’ebraismo e sensibile all’importanza di mantenere vivo, nel presente, l’interesse verso un mondo, quello ebraico, che tanto ha contribuito e continua a contribuire alla crescita generale della società.
Nell’intento di salvaguardare e valorizzare il patrimonio culturale ebraico di Bologna, la sua città, è stato negli anni Novanta tra i fondatori del Museo Ebraico di Bologna, per il quale si è prodigato sempre nella ricerca di sostegno e nell’utile consiglio che non ha mai fatto mancare, né durante i lunghi anni della sua presenza all’interno del CDA (1999-2005), né successivamente, quando, pur ritiratosi dalla sua carica, ha sempre partecipato attivamente fino alla fine alle iniziative del Museo.
La sua vita ricca, non solo di gioia e di successo, ma anche del dolore e dello smarrimento che tutti gli ebrei dovettero attraversare negli anni della persecuzione fascista e nazista, gli ha dato gli strumenti e la generosità necessari per essere parte attiva nella costruzione e nel mantenimento della memoria storica dei nostri territori e del nostro paese anche nel più ampio scenario della seconda guerra mondiale: come non ricordare quando nel 2000 accompagnò Elie Wiesel, a Bologna per un ciclo di lezioni universitarie, a visitare il nostro Museo, nato da appena un anno?

Vincenza Maugeri, direttrice del Museo ebraico di Bologna

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UN NUOVO GRUPPO FONDATO A CAMALDOLI 

"Amicizia ebraico-cristiana, i giovani protagonisti"

Da oltre 40 anni il monastero di Camaldoli ospita in dicembre i Colloqui ebraico-cristiani. Una delle più riuscite e longeve esperienze d’incontro interreligioso. Tra i frutti più recenti la nascita di un gruppo giovanile, il primo nella storia deil’Amicizia ebraico-cristiana, riunitosi negli scorsi giorni per rendere le proposte di dialogo “meno saltuarie” e più “condivise”.
Quindici i soci fondatori, che hanno designato come loro presidente Giacomo Ghedini (cattolico) e come vicepresidente David Morselli (ebreo). A partecipare ai lavori anche l’Ugei, l’Unione Giovani Ebrei d’Italia, rappresentata dal suo Consigliere Giulio Piperno.
Una svolta rilevante per l’Amicizia, riflette il suo presidente nazionale Marco Cassuto Morselli (nell’immagine). “È molto importante che questa iniziativa abbia preso il via. E soprattutto che ciò sia avvenuto in un clima positivo e costruttivo. L’inizio – sottolinea – di un percorso”.
Per l’Amicizia ebraico-cristiana molti gli impegni in arrivo. Come l’uscita di una nuova collana con l’editore San Paolo con commenti tardo-antichi su figure bibliche, in collaborazione con il Centro Cardinal Bea (le prime oggetto di attenzione saranno il patriarca Abramo, e a seguire Caino e Abele). E poi a novembre la pubblicazione del terzo volume della Bibbia dell’Amicizia.

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Fine dell'impunità
La giustizia macina lenta, in alcuni casi i suoi tempi sono biblici.
Adolf Eichmann, oltre dieci anni tranquillo in Argentina; Erich Priebke, circa cinquant’anni di libertà; Klaus Barbie, il boia di Lione, 33 anni in libertà. E tanti altri, meno famosi o più fortunati.
Ma poi a volte la resa dei conti arriva. Così è arrivata per 14 ex ufficiali dei servizi segreti sudamericani accusati di aver organizzato all’estero, nel cosiddetto piano Condor, l’uccisione di oppositori delle giunte militari e in particolare degli oppositori di nazionalità italiana. Dopo anni ed anni la Corte di Cassazione ha confermato la loro condanna all’ergastolo per omicidio plurimo. Uno solo di loro vive in Italia da molti anni, Jorge Troccoli, uruguaiano, di 71 anni. È stato arrestato dai ROS. La sua impunità è finita.
 
Anna Foa
Oltremare - Israele sulla luna (di nuovo)
Mentre a terra tutti si agitavano ad ogni gol su poltrone di casa o sedie pieghevoli malsicure mezze affondate nell’erba o nella sabbia, e gli Europei stavano per finire al limitare della vera estate, qui in Israele si è ritornati a guardare al cielo con rinnovata intensità. È vero, non siamo tutti miliardari e non possiamo costruirci la nostra navicella spaziale privata e puntare il navigatore su Marte. Ed è vero, l’ultima volta che abbiamo provato a piantare una bandierina biancoblu sul terreno grigio perla della Luna abbiamo smaterializzato in pochi secondi il lavoro di un decennio con un impatto sgraziato. 
Daniela Fubini
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Ebrei negli Emirati
Gli accordi di Abramo stanno delineando nuovi scenari nel mondo arabo, o mettendo in luce realtà rimaste finora nell’ombra.
Una di queste è la presenza di fiorenti comunità ebraiche negli Emirati. Me lo racconta Andrea Dicenzo, fotografa e giornalista americana che, dopo anni di reportage in prima linea sui luoghi dei conflitti in Medio Oriente, si è stabilita a Dubai e, pur non essendo ebrea, si è appassionata alle comunità ebraiche locali.
Viviana Kasam
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Storie di Libia - Jojo Naim
Jojo Naim ci racconta, con il sorriso sulle labbra, di quando il nonno dichiarava di voler andare all’inferno per poter stare con le figlie che il sabato fumavano di nascosto.
Vive a Miami, ha viaggiato molto, fatto il pilota di aerei per 40 anni. Si ritiene “molto ebreo”, pur non essendo particolarmente osservante.
In Libia non ha mai avuto amici fuori dal mondo ebraico. Doveva anzi ingegnarsi per sfuggire ai gruppetti di facinorosi che erano soliti malmenare lui e gli altri ragazzi ebrei senza motivo.
Se giocando a basket vincevano contro ragazzi arabi, le partite si concludevano con una pioggia di sassi. Jojo non ha subito il trauma di lasciare la Libia: il trauma era viverci senza libertà, da cittadino dhimmi.
 
David Gerbi
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