Ebrei negli Emirati

Gli accordi di Abramo stanno delineando nuovi scenari nel mondo arabo, o mettendo in luce realtà rimaste finora nell’ombra.
Una di queste è la presenza di fiorenti comunità ebraiche negli Emirati. Me lo racconta Andrea Dicenzo, fotografa e giornalista americana che, dopo anni di reportage in prima linea sui luoghi dei conflitti in Medio Oriente, si è stabilita a Dubai e, pur non essendo ebrea, si è appassionata alle comunità ebraiche locali.
“Sono arrivata a Dubai pochi mesi prima degli accordi di Abramo – racconta – per un servizio per il Sunday Times e mi colpì la folla dei turisti israeliani. Si calcola che ne siano arrivati 80mila nei primi mesi”.
Seguendone le tracce, Andrea scoprì che a Dubai viveva una comunità ebraica piuttosto consistente -si calcola tra gli 800 e 1500 individui- anche se poco vistosa. D’altronde, in un Paese in cui le donne girano velate e coperte da lunghe tuniche e gli uomini portano la papalina in testa, anche gli ebrei ortodossi possono facilmente “ammacchiarsi”, come dicono a Napoli con una colorita metafora. “Inizialmente gli uomini tendevano a nascondere le payot, ma ora le esibiscono senza problemi” sostiene Andrea, che li sta fotografando per l’archivio online Getty Images.
Da otto anni a Dubai vive un rabbino chabad, rabbi Levi-Duchman, che già dal 2014 aveva ottenuto dalle autorità locali il permesso di praticare in case private adibite a sinagoga. Ora i rabbini sono quattro e sia a Dubai che a Abu Dhabi è iniziata la costruzione di templi veri e propri, visto l’afflusso continuo di famiglie ebree, centinaia, soprattutto dagli Stati Uniti, da Parigi e da Bruxelles. “Molti mi hanno raccontato che si sentono più sicuri qui che in Europa, possono camminare tranquillamente per strada con i simboli della loro appartenenza religiosa senza il terrore di essere presi di mira e aggrediti” sostiene Andrea.” È arrivato anche uno schochet per la macellazione rituale – peraltro molto simile alla macellazione halal dei musulmani – e si stanno aprendo ristoranti kasher, frequentati anche dagli arabi, con chef israeliani di origine mediorientale. I bambini ebrei frequentano la nursery internazionale Mini Miracle insieme ai figli degli expat da tutto il mondo e anche della aristocrazia locale, e poi scuole private di ottimo livello, dove si insegna la cultura araba ma anche quella ebraica. “Mi hanno detto che le autorità scolastiche stanno pianificando un Jewish awareness day”, racconta Dicenzo.
Le famiglie ebree sono perlopiù giovani, e di origine askenazita – forse per i sefarditi il ricordo delle persecuzioni nei Paesi arabi è ancora troppo vicino. Sono attratti ovviamente dalle facilitazioni fiscali e dalla ricchezza di questi Paesi, che offrono molte possibilità imprenditoriali.
Sono segnali di una nuova svolta destinata a durare e a incidere sul quadro politico del Medio Oriente? Non c’è che da augurarselo, e sperare in una pace duratura che contribuisca anche a risolvere il problema palestinese.

Viviana Kasam

(12 luglio 2021)