Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui     8 Ottobre 2021 - 2 Cheshvan 5782
VERSO LA GIORNATA EUROPEA DELLA CULTURA EBRAICA  

Dialogo, una sfida antica per il presente

Incontri, visite guidate, concerti, passeggiate in bici, dibattiti. L'Italia ebraica si prepara ad aprire le porte per il grande appuntamento di domenica 10 ottobre: la XXII edizione della Giornata Europea della Cultura Ebraica. Parola chiave quest'anno, “Dialoghi”, un tema pensato come un invito e come un auspicio con eventi aperti al pubblico in 108 località e 16 regioni. Città capofila, Padova (clicca qui per il programma).
“Quella del dialogo è una sfida antica. - ricordava la Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni, presentando il tema di quest'anno - Attraversa i secoli e porta con sé vittorie e sconfitte. Sfida che riguarda le diverse dimensioni del nostro essere: con il D-O unico e i suoi imperativi, come fu per Abramo e Mosè, che con l’Onnipotente avevano un dialogo costante, talvolta anche aspro; con i nostri Maestri, con i correligionari, con altre minoranze e altri popoli, nella nostra vita come singoli e nella dimensione collettiva e unitaria”.
Dialoghi dunque declinati sotto diverse prospettive e possibilità, come dimostrano i programmi delle tante realtà coinvolte, da Milano a Roma, da Torino a Trieste. “Ci auguriamo che la XXII Giornata Europea della Cultura Ebraica sia un ulteriore tassello per favorire un dialogo interculturale sempre più necessario. - l'augurio della Presidente UCEI - Un momento in cui condividere momenti di approfondimento sui temi più profondi, di svago per i momenti più semplici e quotidiani, nella convinzione che questa sia la strada maestra per un fattivo e positivo accrescimento di tutta la società”.

(Clicca qui per accedere al sito della Giornata Europea della Cultura Ebraica, con tutti i programmi relativi alle 108 località coinvolte)

L'INTERVISTA DI PAGINE EBRAICHE DI OTTOBRE 

"Un libro ebraico, tante storie da svelare"

“Le biblioteche italiane sono luoghi meravigliosi che custodiscono inestimabili collezioni di libri, manoscritti e documenti che sono ancora poco conosciute e valorizzate. Ecco perché servono nuove occasioni che avvicinino le persone a questo patrimonio”. Così il ministro della Cultura Dario Franceschini, lanciando nelle scorse ore un progetto per la valorizzazione delle biblioteche italiane e del loro patrimonio librario. Un patrimonio di cui fanno parte anche molti importanti volumi della tradizione ebraica. Basti pensare alla Biblioteca Palatina, che custodisce una delle collezioni di manoscritti e volumi ebraici più importanti al mondo.
Nell'epoca del digitale dunque la carta stampata non viene dimenticata. Anzi, è sempre più al centro di progetti di catalogazione che permettono di riscoprirne il valore storico, culturale, identitario. Tra questi, in ambito ebraico, il progetto UCEI I-Tal-Ya Books, che ha l'ambizioso obiettivo di costruire, per la prima volta in assoluto, un catalogo unificato di tutti i libri ebraici in Italia. Oppure, il progetto americano Footprints: Jewish Books Through Time and Place, che ricostruisce itinerari e passaggi di mano dei volumi legati al mondo ebraico nel corso dei secoli. Uno dei suoi ideatori, Adam Shear, racconta, su Pagine Ebraiche di ottobre attualmente in distribuzione, perché è importante ricostruire le impronte lasciate nel tempo e nello spazio dai libri.

Seduti a un tavolo quattro esperti di libri ebraici per anni si sono trovati per aggiornarsi sui propri studi e ricerche, ma anche per porsi una domanda: cosa mancava nel loro lavoro? Qual è l’informazione che spesso non avevano a disposizione quando prendevano in mano volumi secolari stampati in Polonia, in Italia, in Germania? La risposta comune era stata una: non si sapeva abbastanza dei percorsi che queste pagine avevano fatto nel corso dei decenni. Quale itinerario ad esempio aveva portato un libro stampato a Mantova nel 1556 il Sefer HaBahur fino ad essere custodito dal 1892 nella biblioteca dell’americano Columbia College?
Così, racconta Adam Shear, docente dell’Università di Pittsburgh, è nata l’idea di “Footprints: Jewish Books Through Time and Place”, un database per tracciare la circolazione dei “libri ebraici” stampati. Ricostruendo i passaggi di mano di questi volumi, spiega Shear a Pagine Ebraiche, è possibile capire meglio i legami interni al mondo ebraico, così come quelli con la società circostante. “Sappiamo ancora poco dei principali modelli di scambio culturale e intellettuale tra gli ebrei di diverse regioni e tra gli ebrei e i loro vicini, delle abitudini di lettura delle comunità ebraiche e del ruolo di determinati centri nel dirigere la cultura della stampa”, aggiunge lo studioso. Footprints si propone di comprendere meglio proprio questi elementi, seguendo le impronte lasciate in giro per la storia dai volumi stampati e dai loro possessori. E intrecciandosi anche con altre iniziative dedicate al Libro ebraico, in particolare con il progetto promosso dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane I-Tal-Ya Books e presentato al grande pubblico proprio in questo inizio autunno in cui, con il Salone Internazionale di Torino, la carta stampata è assoluta protagonista.

Footprints in una certa misura rovescia l’attenzione classica sul libro: non vi concentrate sul suo contenuto, ma sui segni lasciati da chi lo possedeva. Come è nata questa idea e qual è il suo significato?
L’idea è venuta nel corso degli incontri periodici con alcuni amici: Marjorie Lehman (Jewish Theological Seminary of America), Michelle Chesner (Columbia University Libraries) e Joshua Teplitsky (Stony BrookUniversity). Dalle nostre conversazioni è emerso un dato: non sappiamo abbastanza del modo in cui i libri si sono spostati nel corso del tempo. Ma è un elemento che ci permette di capire molto delle dinamiche interne alle comunità ebraiche. Per questo abbiamo avviato Footprints: iniziato come un piccolo progetto, abbiamo poi coinvolto alcuni ricercatori nelle biblioteche e anche studenti che lavoravano su diversi materiali, cataloghi d’asta e così via.
Oggi l’iniziativa coinvolge diverse grandi istituzioni e può contare su una collaborazione internazionale. L’obiettivo è creare un database di informazioni relative alla circolazione delle copie di edizioni stampate di libri ebraici, libri in altre lingue ebraiche o in latino e altre lingue che abbiano un significativo contenuto ebraico. Il periodo di riferimento va dalla nascita della stampa fino alle seconda metà dell’Ottocento. Nel database si trovano le impronte che rendono unico ciascun volume. Impronte che raccogliamo noi e che ci vengono inviate.

Quali sono queste impronte?
Marginalia, iscrizioni scritte a mano, timbri dei censori, trasferimenti di proprietà, firme, annotazioni, ma anche cartoline o stralci di giornale, e altri segni che caratterizzano ogni singolo volume che diventa così un artefatto a sé. Un artefatto che ci apre a mille domande: è stato venduto a qualcun altro? È stato confiscato? È stato rovinato in un incendio? È stato perso in un naufragio? Perché i proprietari l’hanno rilegato con altri libri? Ci hanno preso appunti? Vi hanno conservato dentro i documenti di famiglia? Hanno prestato il libro ai loro amici?
Il progetto esamina tutto, oltre al testo vero e proprio, per tracciare la vita di un libro. Ora abbiamo circa diciassettemila impronte nel nostro archivio, quelli che chiamiamo pezzi di prova
che ci raccontano di un volume che cambia di mano o che si trova in un particolare luogo e tempo. Anche la censura da parte della Chiesa ci aiuta in questa percorso.

Daniel Reichel

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QUI ROMA, L'IMPEGNO DEI LEADER RELIGIOSI

“Futuro, responsabilità comune”

“In tempi di divisione è necessario ristabilire il bene comune”.
Le parole del rav Jonathan Sacks sono spesso riecheggiate tra i corridoi e nelle sale che hanno ospitato “Popoli fratelli, terra futura”, il meeting internazionale organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio conclusosi con un momento di riflessione davanti al Colosseo, dove vari leader religiosi convenuti a Roma si sono uniti a papa Bergoglio per lanciare un messaggio di impegno, condivisione, unità. Ad intervenire anche il fondatore della Comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi e la cancelliera uscente di Germania Angela Merkel. 
Tra i protagonisti dell’incontro finale rav Pinchas Goldschmidt, il presidente della Conferenza dei rabbini europei che già nel corso della sessione inaugurale del meeting aveva ricordato quanto la pandemia ci abbia fatto riscoprire un concetto spesso dimenticato: l’interdipendenza dell’umanità intera, a prescindere da appartenenze e provenienze. 

Rifletteva inoltre il rav, evidenziando la portata di certi simboli: “Il Colosseo, importante monumento della cultura romana, è l’istituzione del passato, che nei tempi antichi provvedeva al divertimento delle famiglie mostrando la sofferenza umana, celebrava lo spargimento di sangue e la morte, bestemmiando la santità della vita umana”. È pertanto un vero bene “che la Comunità di Sant’Egidio abbia promosso questo incontro qui a Roma, assieme ad altre notevoli iniziative, essendo all’altezza del richiamo biblico: ‘Sono il custode di mio fratello’ e chiedendo a tutti e a ciascuno di essere responsabili dell’altro, di preservare la vita, di preservare la pace”. 
Le varie delegazioni hanno raggiunto il Colosseo partendo ciascuna da una istituzione religiosa di riferimento. Nel caso di quella ebraica il punto d’incontro è stato la sinagoga spagnola, dove è stata officiata una preghiera e dove c’è stata anche l’occasione per un annuncio da parte dello stesso rav Goldschmidt: l’assegnazione del CER Prize, il riconoscimento annuale della Conferenza dei rabbini europei, al rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni. Un’iniziativa anche nel nome del rav Elio Toaff, alla cui memoria il riconoscimento è stato dedicato. 
 

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QUI FERRARA - L'ESPOSIZIONE SARÀ INAUGURATA IL 29 OTTOBRE

Oltre il ghetto. Dentro e Fuori,
la nuova grande mostra del Meis 

Dal confinamento all'interno dei ghetti fino all'Emancipazione e i primi del Novecento. Circa quattrocento anni di storia ebraica italiana che saranno al centro della grande mostra del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara che aprirà i battenti il prossimo 29 ottobre. "Oltre il ghetto. Dentro&Fuori", il titolo della terza grande esposizione del Meis curata da Andreina Contessa, Simonetta Della Seta, Carlotta Ferrara degli Uberti e Sharon Reichel e allestita dallo Studio GTRF Giovanni Tortelli Roberto Frassoni.
“Quello che si inaugura – spiega il Presidente del Meis Dario Disegni - è il terzo fondamentale tassello concepito dal MEIS, dedicato alla millenaria esperienza ebraica in Italia: nel dicembre del 2017 è stata infatti inaugurata ‘Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni’, curata da Anna Foa, Daniele Jalla e Giancarlo Lacerenza con prestiti provenienti dai più prestigiosi musei, archeologici e non solo, di tutto il mondo e nel 2019 è stata allestita ‘Il Rinascimento parla ebraico’ a cura di Giulio Busi e Silvana Greco all'interno della quale spiccavano opere firmate da Mantegna e Carpaccio. Due mostre temporanee di grande successo, ora condensate nel percorso permanente ‘Ebrei, una storia italiana’, che si arricchirà ulteriormente al termine di ‘Oltre il ghetto. Dentro&Fuori’. Un viaggio nel tempo reso possibile grazie ai musei, alle collezioni private e ai cimeli di famiglia che vengono prestati anno dopo anno al Museo e che esposti assieme raccontano più di duemila anni di storia”.
Il direttore del Meis, rav Amedeo Spagnoletto, ricorda come il ghetto "ha rappresentato per quasi tre secoli uno spazio angusto e ombroso, ma pur sempre corredato di simboliche finestre ora più ora meno aperte verso il mondo esterno, una relazione continua fra il 'dentro' e il 'fuori'. Un filtro culturale e fisico che ha plasmato la vita ebraica a 360 gradi, agendo in profondità, dalla sfera sociale a quella familiare, modellando il lessico, rendendo più resistenti che altrove aspetti della vita religiosa, ma anche soffocando l'energia che in condizioni di libertà sarebbe fiorita più vigorosa in tante discipline. Questa mostra ci narra le letture complesse che di tale esperienza si possono offrire. I delicati rapporti fra le comunità ebraiche e il governo locale, ma anche le storie familiari, gli aneddoti e le tradizioni regionali, i fermenti culturali e artistici, che, nonostante tutto, sono pure fioriti in quella dimensione tanto ristretta".

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SORGENTE DI VITA

Padova, itinerari di ebraismo

Si apre con un itinerario a Padova, città capofila della Giornata Europea della Cultura Ebraica la puntata di Sorgente di Vita in onda su Rai Due domenica 10 ottobre.
Il percorso inizia dal museo ebraico, dove, tra oggetti rituali e antichi documenti, un’installazione multimediale racconta dieci personaggi che hanno reso famosa la città. La storia di Giacomo Levi Civita, che fu anche sindaco e che salvò dalla vendita la Cappella degli Scrovegni e gli affreschi di Giotto, rappresenta un concreto esempio di dialogo tra gli ebrei e la città, centro importante di studi rabbinici e accademici: la sua Università, unica in Europa, fin dal Medioevo accoglieva anche gli studenti ebrei. Il suggestivo itinerario si snoda dalle strade e i vicoli dell’ex ghetto alla sinagoga italiana, fino a uno degli antichi cimiteri.

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Dialoghi 
Il lancio della strategia europea per la lotta all’antisemitismo e per il rafforzamento della vita ebraica ha preceduto di pochi giorni la Giornata Europea della Cultura Ebraica, dedicata quest’anno al tema del dialogo. Non è un caso. Credo debba essere chiaro a tutti che l’ebraismo nelle sue molteplici e plurali sfaccettature è cosa viva e contemporanea. Gli ebrei sono una componente storica essenziale a disegnare un’identità riconoscibile del continente, e l’attenzione delle istituzioni europee e nazionali a questa realtà – che è viva e pulsante – rappresenta una svolta storica. Prima del 1999, cioè prima della Conferenza di Stoccolma che stabiliva la necessità di istituire un organismo internazionale che si occupasse di lotta all’antisemitismo e al negazionismo (quella che sarebbe poi diventata l’IHRA), il tema non era in agenda
Gadi Luzzatto Voghera
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L'uomo e la distruzione del pianeta
"Non maledirò più la Terra a causa dell'uomo, poiché il pensiero dell'animo dell'uomo tende al male fin dalla fanciullezza né colpirò più tutti i viventi come ho fatto. Finché la Terra sussisterà, non cesseranno semina e raccolto, freddo e caldo, estate e inverno, giorno e notte" (Bereshit 8;21-22).
Domani mattina leggeremo la parashà di Noach, il brano di Torah che racconta la storia del diluvio, della distruzione di tutta la Terra e della ricostruzione di una nuova generazione. 
Conclusosi il progetto divino di distruggere il mondo e i suoi abitanti, il Signore affida a Noach il compito di costruire una nuova generazione, ma soprattutto gli promette, e promette a sé stesso, di non distruggere più come fatto precedentemente.
Rav Alberto Sermoneta
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Patriottismo alternato
Il patriottismo (o campanilismo?) dei mass media normalmente si scatena ogni volta che un italiano vince qualcosa, o spera di vincere qualcosa, oppure non vince e si sente defraudato. Quest’estate durante le Olimpiadi nessun telegiornale o giornale radio si azzardava a trattare qualunque altro argomento se prima non aveva debitamente dato conto delle medaglie conquistate dall’Italia nelle ultime ore. Per non parlare degli Europei di calcio in cui si trattava ampiamente non solo delle partite ma anche delle trepidazione in vista delle partite e dei successivi festeggiamenti. Spesso il resoconto della notte degli Oscar o dei festival cinematografici inizia puntualmente non dai premi più importanti ma da quelli vinti (o ingiustamente non vinti) dagli italiani.
Anna Segre
Consigli di lettura ai nostalgici
“Piazza Oberdan era piena di gente che gridava in un alone di luce scarlatta. Attorno al grande edificio invece c’erano uomini in camicia nera che ballavano gridando: ‘Viva, viva!’ Correvano di qua e di là annuendo con il capo e scandendo: ‘Eia, eia. eia!’ E gli altri allora di rimando: ‘Alalà’!
Improvvisamente le sirene dei pompieri cominciarono a ululare tra la folla, ma la confusione aumentò perché gli uomini neri non permettevano ai mezzi di avvicinarsi. Li circondarono e ci si arrampicarono sopra, togliendo di mano ai pompieri le manichette.
“Eia, eia, eia, alalà! Gridavano come dei forsennati e tutt’intorno c’era sempre più gente. Tutta Trieste stava a guardare l’alta casa bianca dove le fiamme divampavano a ogni finestra. Fiamme come lingue taglienti, come rosse bandiere. […] Gli uomini neri intanto gridavano e ballavano come indiani che, legata al palo la vittima, le avessero acceso sotto il fuoco. Ballavano armati di accette e manganelli.”
In questa celebre pagina tratta dal racconto “Il rogo nel porto” lo scrittore triestino di lingua slovena Boris Pahor racconta con gli occhi di due bambini l’incendio della Narodni Dom di Trieste del 13 luglio 1920.
Francesco Moises Bassano
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