Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui              28 Ottobre 2021 - 22 Cheshvan 5782
L'APERTURA DELLA NUOVA ESPOSIZIONE DEL MUSEO DELL'EBRAISMO DI FERRARA

"Oltre il ghetto. Dentro e Fuori",
inaugura la terza grande mostra del Meis

Dall'emblematico dipinto “Ester al cospetto di Assuero” al quadro, mai esposto prima, "Il rapimento di Edgardo Mortara". Dalle chiavi del ghetto di Ferrara alla rara tavola decorata della sukkah di Praglia. Opere di grandissimo valore storico e artistico, ma anche chiavi per raccontare e comprendere secoli di storia dell'ebraismo italiano. Sono le opere protagoniste della terza grande mostra del Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara Oltre il ghetto. Dentro&Fuori  a cura di Andreina Contessa, Simonetta Della Seta, Carlotta Ferrara degli Uberti e Sharon Reichel. Allestita dallo Studio GTRF Giovanni Tortelli Roberto Frassoni, l'esposizione apre i battenti al pubblico in queste ore e si presenta come un complesso racconto dell'esperienza degli ebrei italiani dall'epoca dei ghetti (a partire dal 1516 con l'istituzione del primo, quello di Venezia) fino allo scoppio della Prima guerra mondiale. 
Il nuovo capitolo che si apre copre una delle fasi più emblematiche della bimillenaria presenza degli ebrei in Italia e lo fa accostando opere d'arte, documenti d'archivio, multimediali di approfondimento, oggetti rituali e di uso quotidiano, tramandati da secoli di famiglia in famiglia.
“La mostra rappresenta una straordinaria occasione per vedere riunite al Meis opere di grande valore artistico” ha sottolineato il presidente del Meis Dario Disegni, evidenziando come nell'esposizione siano raccolte le esperienze e i vissuti di tutta l'Italia ebraica. Da Torino a Roma, da Casale Monferrato a Padova. 
“Questa mostra è pensata per accogliere chiunque, - ha ribadito il direttore del Meis rav Amedeo Spagnoletto, nella presentazione alla stampa a cui ha preso parte la Presidente UCEI Noemi Di Segni - ma la nostra sfida principale sarà quella di raggiungere gli studenti di tutta Italia e far loro vivere l'esperienza di una visita al Meis. Il tema del ghetto, i concetti di inclusione ed esclusione, di integrazione e scambio culturale, non sono solo una pagina ingiallita della storia, ma risultano di stringente attualità per le nuove generazioni. Apriamo le porte del museo per raccontare quanto l'identità di ciascuno sia importante e la diversità una ricchezza; e sono certo che i primi a coglierne la potenzialità e a comprendere il messaggio della mostra saranno proprio i ragazzi”. 
Sia Disegni che Spagnoletto hanno evidenziato “lo straordinario lavoro portato avanti dalle nostre quattro curatrici”. Sono loro a spiegare il filo conduttore della mostra, quel dentro e fuori – dai ghetti e non solo – rappresentazione del complesso rapporto tra minoranza ebraica e maggioranza, tra ebrei e società civile e religiosa. “Quello che è accaduto agli ebrei, resistere e crescere dentro una propria cultura cercando sempre di dialogare con quella circostante, anche quando essa ha posto dei limiti e perfino delle barriere, è oggi un percorso comune. – spiegano le quattro curatrici – I dilemmi dei ghetti tornano, e anche quelli dell’integrazione. Al Meis pensiamo che molte storie vissute dagli ebrei italiani, e più in generale europei, trasmettano valori universali e offrano strumenti per l’oggi. Da questa riflessione, che è uno dei cardini della missione del Museo, nasce lo spirito con il quale è stata organizzata la terza mostra storica sugli ebrei italiani. Il Meis apre con queste premesse la terza grande esposizione che studia, prefigura e prepara l’ultima parte del percorso espositivo del Museo. Oltre il ghetto. Dentro&Fuori è dunque un percorso concepito per completare l’offerta al visitatore, ma soprattutto come un viaggio attraverso gli snodi identitari che hanno visto gli ebrei in Italia, e in Europa, rimanere prima limitati nei ghetti, poi integrarsi sempre di più nella società circostante, credendoci fortemente e partecipando a tutti i movimenti di liberazione nazionale, fino al forte coinvolgimento nella Prima guerra mondiale”. 

(Nell’immagine, il presidente del Meis Dario Disegni, il direttore del Meis rav Amedeo Spagnoletto con Sharon Reichel, Carlotta Ferrara degli Uberti e Simonetta Della Seta, curatrici assieme ad Andreina Contessa della mostra “Oltre il ghetto. Dentro&Fuori” - foto di Bruno Leggieri)

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L'INTERVISTA DI PAGINE EBRAICHE AL MINISTRO DARIO FRANCESCHINI

"Dialogare nonostante le avversità,
la lezione degli ebrei italiani"

Una mostra che “tiene alta l’attenzione” sulla capacità degli ebrei italiani “di dialogare, nonostante le avversità” con la società circostante, mantenendo la propria identità. Ma anche, guardando al presente, un appuntamento simbolo per la ripartenza della cultura in Italia dopo mesi di difficoltà dovuti alla pandemia. Così il ministro della Cultura Dario Franceschini descrive in un’intervista a Pagine Ebraiche la mostra “Oltre il ghetto. Dentro&Fuori” del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara. 

Rinviata a causa della pandemia, apre ora la terza grande mostra del Meis “Oltre il ghetto. Dentro&Fuori”. Che significato ha per lei ministro questa inaugurazione?
L’inaugurazione ha un duplice significato. Da un lato essa avviene nel momento in cui, grazie agli incessanti progressi della campagna vaccinale e all’introduzione del green pass, i musei riaprono alla massima capienza, accogliendo i visitatori in piena sicurezza con la prosecuzione delle misure di prevenzione quali la misurazione della temperatura e le mascherine. La mostra del MEIS si inserisce così in quell’insieme di iniziative culturali che sta trainando la ripresa economica e sociale del Paese. Dall’altro lato, “Oltre il ghetto. Dentro&Fuori” ha il merito di tenere alta l’attenzione sulle discriminazioni e le persecuzioni subite dagli ebrei e sulla capacità di dialogo che, nonostante tutto, il mondo ebraico ha saputo mantenere con le altre culture.

L’esposizione sin dal titolo suggerisce la capacità del mondo ebraico di dialogare con la società circostante nonostante il tentativo di confinarlo entro un perimetro definito e opprimente. Può essere una lezione anche per il presente?
La memoria della pervicace costanza del mondo ebraico nel voler mantenere il proprio ruolo in una società ostile costituisce un grande insegnamento, al quale dobbiamo guardare con profondo rispetto e spirito di emulazione.

Quanto è importante ricordare, come fanno le tre mostre del Meis, che storia e cultura ebraica sono parte integrante della storia e cultura italiana?

Il varo delle leggi razziali nel 1938 è una vergogna che lo Stato italiano porterà sempre su di sé. L’Italia ha dolorosamente amputato una parte integrante del corpo della propria nazione, una ferita profonda. Per questo è bene da un lato continuare a ricordare a noi stessi cosa è avvenuto e dall’altro riconoscere nella cultura ebraica uno dei pilastri fondanti dell’Italia e dell’intera Europa.


 

Lei ha sostenuto sin dall’inizio il Meis, quale pensa sia il ruolo di questa istituzione all’interno del panorama culturale italiano? E per il territorio in cui si trova?

Come ho sempre voluto ricordare, sono stato il promotore dell’atto di iniziativa parlamentare che ha dato vita al Meis nel 2003. Ho sempre creduto nell’importanza di una istituzione culturale che, come il Museo della Shoah a Berlino, ricordasse nel nostro Paese, l’unico oltre alla Germania in cui le leggi razziali furono introdotte prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, il valore, l’importanza e il ruolo di una cultura che si è tentato invano di cancellare. E farlo a Ferrara, dove risiedeva una delle più numerose e vivaci comunità ebraiche della nazione, è stata la conseguenza naturale di questa scelta.

La direttrice del Museo ebraico di Francoforte Mirjam Wenzel, parlando con Pagine Ebraiche, ha evidenziato come i musei siano anche “presidi di cittadinanza e di partecipazione” dove porsi domande sulla società. Condivide questa impostazione?
La condivido pienamente. Per questo è stato particolarmente doloroso chiudere i musei nel corso dell’emergenza pandemica ed è stato importante battersi per riaprirli al 100% non appena si sono verificate le condizioni minime di sicurezza.

Tornando alla mostra del Meis, sono esposte opere di altri musei, anche internazionali. Quanto è importante questa capacità di fare rete all’interno del sistema museale?
È fondamentale, si può dire che è parte costitutiva di un’istituzione museale degna di questo nome.

In generale, la pandemia ha messo in grave difficoltà la realtà dei musei, qual è il loro stato di salute e quali strumenti ha messo a disposizione il governo per aiutarli? 
Sin dall’inizio della pandemia il Ministero ha messo in campo tutti gli strumenti necessari per consentire ai musei di compiere la traversata nel deserto, destinando risorse straordinarie sia a quelli statali che a quelli privati o di altri enti pubblici. Sebbene chiusi al pubblico, i musei hanno proseguito nelle attività di studio e ricerca, oltre che nel restauro del loro patrimonio, e si sono preparati alla riapertura nella consapevolezza di doversi far trovare pronti al ritorno di visitatori assetati di cultura e di bellezza.

Sul fronte internazionale, in occasione del G20 della Cultura lei ha sottolineato il ruolo della Cultura come strumento di dialogo tra i popoli. E in un’intervista su questo tema lei ha auspicato il rientro di Usa e Israele all’interno dell’Unesco, perché è importante? Israele è uscita denunciando un atteggiamento anti-israeliano all’interno dell’Unesco, perché dovrebbe rientrare?
Perché credo che le politiche si determinino meglio all’interno delle istituzioni. Il mondo ebraico, come ricorda la mostra “Oltre il ghetto. Dentro&Fuori”, seppe proseguire a esercitare la propria influenza anche quando fu attorniato da mura. Auspico possa continuare a farlo ora, affermando le proprie ragioni dentro il massimo organismo internazionale dedicato alla cultura.

(Nelle immagini: il ministro Dario Franceschini all’inaugurazione della prima mostra del Meis “Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni”, assieme alla storica Anna Foa, curatrice dell’esposizione assieme a Giancarlo Lacerenza e Daniele Jalla – foto di Marco Caselli Nirmal. Sotto: il quadro “Ester al cospetto di Assuero” di Sebastiano Ricci (1733), prestito del Quirinale, foto di Corradino Janigro e Francesco Mancin)

Daniel Reichel

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L'INTERVENTO DEL PRESIDENTE DEL MEIS DARIO DISEGNI

"Integrazione e identità, una mostra
che pone interrogativi"

Questa importante mostra che apriamo oggi con grande gioia segna il ritorno a una situazione che potremmo definire di “quasi normalità” dopo il terribile periodo della pandemia, che ci ha costretti a rinviarne l’apertura di un anno e mezzo dalla data a suo tempo prevista, nell’aprile 2020.
Una gioia che questa sera si accompagna tuttavia anche a un momento di commozione, nel ricordo, a un anno dalla scomparsa, di Renzo Gattegna, grande Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, che si impegnò strenuamente per la nascita e lo sviluppo di questo Museo, di cui fu anche per anni apprezzato Consigliere di Amministrazione “Oltre il Ghetto. Dentro&Fuori” rappresenta il terzo capitolo della narrazione della storia della comunità ebraica in Italia, iniziato con l’esposizione “Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni”, curata da Anna Foa, Giancarlo Lacerenza e Daniele Jalla, inaugurata nel dicembre 2017 alla presenza del Capo dello Stato, e proseguito nel 2019 con “Il Rinascimento parla ebraico” a cura di Giulio Busi e Silvana Greco, consentendo al Meis di avviarsi verso il completamento del proprio percorso espositivo permanente.
Dopo aver riportato alla luce le prime attestazioni della presenza ebraica in Italia, riunendo oltre duecento oggetti preziosi e reperti archeologici provenienti da importanti Musei italiani e stranieri, e dopo avere rivelato il rapporto osmotico tra Rinascimento e lingua ebraica attraverso codici miniati e quadri di pittori del calibro di Andrea Mantegna e Vittore Carpaccio, “Oltre il Ghetto. Dentro&Fuori” focalizza l’attenzione su un periodo determinante della storia degli Ebrei italiani: quello che va dall’istituzione dei ghetti a partire dal 1516 alla graduale estensione dei diritti civili e politici agli Ebrei della Penisola e alla loro intensa partecipazione prima ai moti risorgimentali, poi alla Prima Guerra Mondiale.
Un percorso espositivo che offre ora al visitatore l’opportunità di confrontarsi con le tracce e il carattere della più che bimillenaria presenza ebraica in Italia, che ha visto l’alternarsi di momenti di incontro e scambio con quelli più difficili di scontro e persecuzione, narrati utilizzando molteplici strumenti: dagli oggetti quotidiani e rituali alle opere d’arte; dalle installazioni multimediali alla musica. “Oltre il Ghetto” segna anche una significativa evoluzione nella progettazione espositiva del Meis, dal momento che, accanto a due studiose di grande valore come Andreina Contessa e Carlotta Ferrara degli Uberti, sono state impegnate nella curatela in prima persona anche il Direttore del Museo nel periodo di costruzione della mostra Simonetta Della Seta e la conservatrice Sharon Reichel.
Ma mi preme sottolineare anche un ulteriore importante aspetto: l’esposizione, il cui allestimento è stato realizzato dallo studio GTRF Giovanni Tortelli Roberto Frassoni, vede la fattiva e proficua collaborazione del Meis con molte Comunità ebraiche italiane, che hanno prestato alcuni degli straordinari oggetti esposti.
Uno degli obiettivi istituzionali del Museo Nazionale è infatti quello di mostrare la ricchezza culturale dell’Ebraismo italiano nelle sue diverse sfumature, poiché ogni Comunità nel corso del tempo ha sviluppato una propria identità e una inclinazione artistica peculiare. Mantova, Venezia, Torino, Livorno, Casale Monferrato; ecco alcuni dei luoghi di cui il Meis racconta un tassello.
Significativa è stata poi la scelta di dare spazio alla Roma ebraica e alla sua evoluzione: dal ghetto creato dai Papi nel 1555, con il suo carico di dolore e restrizioni, alla scelta di lottare strenuamente per la vita, lo studio e la libertà, e, conquistata faticosamente quest’ultima, di partecipare alla costruzione della Capitale d’Italia. La mostra rappresenta una straordinaria occasione per vedere riunite al Meis preziose opere pittoriche come la “Ester al cospetto di Assuero” di Sebastiano Ricci, splendido dipinto prestato del Quirinale, l’“Interno di Sinagoga” di Alessandro Magnasco delle Gallerie degli Uffizi, “Il rapimento di Edgardo Mortara” di Moritz Oppenheim, battuto all’asta qualche anno fa da Sotheby’s e finora mai esposto in pubblico: una conferma, credo si possa affermare, della crescita della rilevanza del Meis nel panorama culturale e museale italiano e internazionale.
Agli insigni curatori, agli Enti prestatori, ai collezionisti privati, ai progettisti, agli autori e all’editore del catalogo, a tutti i creativi e gli artigiani che hanno contribuito alla realizzazione di “Oltre il Ghetto. Dentro&Fuori” va il più sentito ringraziamento del Meis e mio personale.
Desidero inoltre rinnovare la più viva gratitudine al Ministero della Cultura, dal quale il Meis trae le risorse fondamentali per la propria attività, e che, grazie al sostegno convinto sempre assicurato dal Ministro Dario Franceschini, non cessa di riconoscere il ruolo fondamentale che il Museo è chiamato a rivestire per la cultura e la civiltà del nostro Paese.
Un caloroso ringraziamento intendo inoltre rivolgere alla Città di Ferrara, alla Regione Emilia-Romagna e all’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, che hanno condiviso passo dopo passo la crescita e il consolidamento del Meis, del quale ora sono divenuti fondamentali Enti Partecipanti.
La mostra non si sarebbe potuta realizzare senza il generoso contributo di partner privati, in primis Intesa Sanpaolo, che dall’imponente esposizione inaugurale è a fianco del Meis e dei suoi progetti, e di altri sostenitori italiani e stranieri, tra i quali una menzione particolare spetta alla David Berg Foundation di New York e alla Fondazione Guglielmo De Lévy di Torino.
In un periodo storico così complesso, in cui i fantasmi dell’antisemitismo, del razzismo e dell’intolleranza hanno ripreso un inquietante vigore, il Meis, attraverso la narrazione della storia degli Ebrei d’Italia, che prosegue con questa terza essenziale esposizione e con le occasioni di riflessione e di dibattito che essa saprà suscitare, intende riconfermare il suo ruolo di grande polo culturale ed educativo dove ciascuno dei visitatori possa guardare consapevolmente al futuro da costruire senza dimenticare o mistificare il passato.

Dario Disegni, presidente Meis

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L'INTERVENTO DEL VICEPRESIDENTE UCEI GIORGIO MORTARA

"Ebrei e società, rapporto profondamente attuale"

Porto il saluto di tutte le comunità italiane per le quali questa mostra ha un particolare rilievo essendo lo specchio di quanto avvenuto in ciascuna di esse, molto più numerose allora delle 21 che vi sono oggi.
Nella lingua ebraica non c’è il termine storia che viene tradotto con “toledot” che letteralmente significa “generazioni”. 
Non vi è dunque Storia se non attraverso ciò che una generazione riesce a tramandare alla successiva. In questo risiede l’imperativo morale di ricordare. Nella tradizione ebraica, la narrazione delle vicende del popolo d’Israele avviene, tramite il racconto degli eventi, accaduti ai singoli protagonisti di vicende e storie che, assommate, hanno la funzione di disegnare il quadro composito e complessivo della Storia.
La nostra sopravvivenza o resilienza ci consente oggi di narrare e condividere questo periodo storico non solo per conoscere il passato ma perché la sfida del rapporto con il mondo circostante è oggi più impegnativa che mai. Non siamo chiusi nei ghetti e godiamo di libertà affermate nella costituzione, ma non sono poche le voci che quel ghetto fisico o ideale lo vorrebbe ripristinare.
La missione dell’UCEI, assieme alla rete delle istituzioni ebraiche – tra cui certamente il MEIS – è proprio quella di arginare questi fenomeni di minaccia e odio attraverso la cultura e la conoscenza.
Permettetemi una considerazione personale.
Il periodo storico oggetto della presente mostra è a noi vicino e ho dei documenti e dei racconti trasmessi dai miei nonni e genitori che hanno vissuto in quegli anni e hanno preso parte attiva o hanno a volte purtroppo subito molte delle vicende illustrate nella mostra.
I vissuti delle mie famiglie di origine Mortara, Donati, Viterbo e Vivanti confermano l’identificazione della minoranza ebraica in Italia durante il risorgimento con il percorso di costituzione dello stato unitario: infatti ogni speranza di emancipazione poteva venire solo dai “novatori”. 
L’assimilazione degli ebrei italiani in questo periodo storico fu un’assimilazione ad un sistema di valori più che a un popolo, a una nazione fisicamente costituita come ha sottolineato la storica Francesca Sofia. 
Il ritrovarmi qui mi fa tornare alla mente l’inaugurazione il 20 dicembre 2011 del primo edificio del Meis che ha ospitato la prima mostra sui codici miniati ebraici organizzata da mia cugina Raffaella zl”. 
In quella occasione con grande emozione e partecipazione abbiamo assistito col presidente R. Gattegna all’accensione pubblica dei lumi di Hannukà da parte di rav L. Caro davanti all’ingresso del museo. 
Non posso terminare il mio discorso senza ricordare due persone, decedute lo scorso anno, che si sono prodigate a vario titolo, a partire dalla legge istitutiva del 2006, alla nascita e allo sviluppo del Museo dell’ebraismo italiano e della Shoah: l’avvocato Renzo Gattegna per il quale stasera si celebra a Roma un Limud a 11 mesi dalla sua morte e Raffaella Mortara.
Che il loro ricordo sia di benedizione
Quindi grazie a tutti voi per essere qui ad attestare questa condivisione di impegno e per come da qui ci aiuterete a portarlo oltre e altrove.

Giorgio Mortara, vicepresidente UCEI

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IL CONVEGNO INTERNAZIONALE IN SVOLGIMENTO

Ostia Antica, 60 anni fa il ritrovamento della sinagoga 
Il confronto su identità dei luoghi e loro fruizione 

Un convegno internazionale, in svolgimento in queste ore, per festeggiare due anniversari: i 60 anni dal ritrovamento della sinagoga di Ostia antica; i 20 anni di attività dell’associazione Arte in Memoria che in quell’area riscoperta anima da allora una biennale d’arte contemporanea giunta all’undicesima edizione.
“Quando venti anni fa proposi all’allora sovrintendente Anna Gallina di ospitare una mostra di arte contemporanea nella rovine della sinagoga lei non ebbe alcuna esitazione: accolse la proposta con entusiasmo e lavorò senza risparmiarsi per la sua buona riuscita. Non smetterò mai di ringraziarla per il suo impegno, coraggio e generosità, condivisi da tutto lo staff ostiense” ha esordito Adachiara Zevi, presidente di Arte in Memoria. “Era la prima volta che archeologia ed arte contemporanea, anziché guardarsi in cagnesco, cercavano un confronto tra mondi solo temporalmente distanti. Da allora 51 artisti si sono avvicendati tra quelle rovine animandole e provocandole con le loro visioni sotto l’occhio, ora benevolo, ora severo, della sovrintendenza”.
Dopo i saluti di Zevi e di Alessandro D’Alessio, presidente del Parco archeologico, il convegno è proseguito con un intervento di rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, sull’importanza della sinagoga nella vita e storia ebraica e sul corretto utilizzo dei suoi spazi. “In una sinagoga attualmente in uso – le sue parole – troverei molto strano organizzare un concerto che non sia rigorosamente liturgico o che si possa fare un’assemblea che non tratti argomenti specificamente religiosi o d’immediato interesse comunitario o che la stessa venga usata per esporre. Non perché non possa essere fatto, ma perché bisogna vedere che cosa si espone”. Sinagoghe come quella di Ostia antica, ha proseguito il rav, sono quindi preziose non soltanto come “documentazione archeologica e storica, ma hanno anche una valenza religiosa”. E pertanto esiste “una sensibilità che non può essere ignorata: non si può dare per scontato che qualsiasi manifestazione artistica in quanto artistica possa essere accolta”.

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IL NUOVO PROGETTO IN GHANA

Roma Club Gerusalemme, da Israele all'Africa
solidarietà e impegno senza confini

La nostra associazione onlus, il Roma Club Gerusalemme, sin dalla sua nascita ha fatto del proprio slogan “Sport Senza Frontiere” un principio alla base delle proprie attività.
Il significato di questo slogan è che la passione e il tifo per la nostra squadra di calcio, la Roma, vanno oltre ogni confine o limite geografico. Ma un secondo concetto è che lo sport non conosce differenze tra le persone: tutti possono giocare e competere insieme, indipendentemente dal colore della pelle, dal sesso, dall’origine, dall’opinione politica o dalla religione. Lo sport va oltre ogni frontiera ed elimina le barriere.
È una sfida che ha lo scopo di includere le persone e non escludere e separare.
In quasi 20 anni di gestione della nostra scuola calcio abbiamo fatto in modo che questo slogan fosse mantenuto attraverso la condivisione tra bambini, ragazze e ragazzi, ebrei, musulmani, cristiani, israeliani e arabi. Ci siamo presi cura di tutti i bambini che venivano da noi, e ci siamo presi cura anche di altri bambini che non sono qui, non a Gerusalemme e nemmeno in Israele.
Qualche settimana fa abbiamo inviato tre pacchi (circa 80 kg) di attrezzatura non nuova ma in ottime condizioni. Attrezzatura usata durante i nostri allenamenti, per gli allenatori, tute da gioco, maglie, pantaloncini che abbiamo raccolto dai bambini negli anni passati (abiti piccoli o non più adatti). Abbiamo inviato l’attrezzatura in Ghana, in Africa, per un progetto chiamato Ten Project. In Ghana c’è un gruppo di israeliani che aiutano e stimolano i bambini africani, insegnano loro cose nuove e danno loro strumenti per una vita diversa che non conoscono, affinché comincino a credere in se stessi e trovino la forza affinché abbiano una realtà diversa e un futuro diverso.

Samuele Giannetti, Roma Club Gerusalemme

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IL RICONOSCIMENTO DELLA FONDAZIONE WALLENBERG

"Assisi, casa di vita e speranza"

Furono all’incirca 300 gli ebrei perseguitati a trovare rifugio ad Assisi nei locali dei monasteri, della diocesi, dai frati francescani e in alcune parrocchie. Nessun caso di delazione, in tutta la città, a testimonianza di un impegno che fu corale.
A celebrare questa pagina di solidarietà diffusa un nuovo riconoscimento, il titolo di “Casa di vita” conferito non a un singolo edificio ma all’intera Assisi dalla Fondazione che porta il nome del diplomatico “Giusto” Raoul Wallenberg. La cerimonia si è svolta lungo la via Borgo San Pietro: uno dei tanti luoghi simbolo di questo sforzo in quanto sede di uno dei conventi che, nel momento del bisogno, non esitarono ad aprire le porte.
“È un grande onore questa luce per noi cittadini, è un segno di grande orgoglio perché ci fa vedere che anche nel buio si può accendere una speranza”, le parole della sindaca Stefania Proietti. Tra i partecipanti il vescovo Domenico Sorrentino, la vicepresidente della Fondazione Wallenberg Silvia Costantini e Marina Rosati, ideatrice e responsabile del Museo della Memoria, Assisi 1943-1944. Nel corso dell’evento, cui hanno preso parte alcune scolaresche, è stata data lettura dei messaggi di felicitazione inviati dall’ambasciatore israeliano Dror Eydar, dalla presidente UCEI Noemi Di Segni e dalla presidente della Comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello. Apprezzamento e gratitudine nei confronti di una realtà dove, ha ricordato Rosati, sulla morte “ha prevalso la vita”.

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Machshevet Israel - I doveri dei cuori
Della vita di Bachyà Ibn Paquda, che fu filosofo-poeta neoplatonico e dayan ossia giudice in un bet din nella città di Saragozza (ma qualcuno dice a Cordova), si sa ben poco. Si ignorano persino le date di nascita e di morte. C’è chi lo vede attivo nella prima metà del XI secolo (Kaufmann Kohler, che ne descrisse la ‘teologia’) e chi verso la fine di quel secolo (Salomon Munk). Di conseguenza ignoriamo quando sia stato composto il suo capolavoro etico, scritto in arabo, che però ebbe grande diffusione nella traduzione in ebraico, compiuta dai provenzali Tibboniti nel 1160 circa con il titolo Chovot ha-levavot. Nel 1983 rav Sergio Sierra lo tradusse dall’ebraico in italiano: I doveri dei cuori (ed. Carucci, oggi introvabile); qualche anno dopo apparve un’altra versione italiana, tradotta dal francese, in quanto nel 1950 André Chouraqui l’aveva resa in quella lingua direttamente dall’arabo. 
 
Massimo Giuliani
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Dante e gli ebrei
Nel 1847 il giovane e ancor poco noto rabbino di Livorno Elia Benamozegh, rivolgendosi ai correligionari Israeliti (ma non solo a essi) esclamava: “Voi siete italiani! … Chi di voi nelle umane e divine glorie ai portentosi nomi di Mosè e di Dante non inchina reverente la testa?”. Nel nome di Dante, significativamente affiancato a Mosè, avviene quel processo còlto poi dal giovane Arnaldo Momigliano, in una pagina apprezzata da Gramsci (Quaderni dal carcere): “la formazione della coscienza nazionale italiana negli Ebrei è parallela alla formazione della coscienza nazionale nei Piemontesi o nei Napoletani”. Gli ebrei italiani non entrano in una nazione preesistente, acquisendovi la parità, ma sono un’importante e paritaria componente della nascita stessa della nazione.
 
Fabrizio Franceschini
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