L’intervista al ministro Franceschini:
“Dialogare nonostante le avversità,
la lezione attuale degli ebrei italiani”

Una mostra che “tiene alta l’attenzione” sulla capacità degli ebrei italiani “di dialogare, nonostante le avversità” con la società circostante, mantenendo la propria identità. Ma anche, guardando al presente, un appuntamento simbolo per la ripartenza della cultura in Italia dopo mesi di difficoltà dovuti alla pandemia. Così il ministro della Cultura Dario Franceschini descrive in un’intervista a Pagine Ebraiche la mostra “Oltre il ghetto. Dentro&Fuori” del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano di Ferrara.

Rinviata a causa della pandemia, apre ora la terza grande mostra del MEIS “Oltre il ghetto. Dentro&Fuori”. Che significato ha per lei ministro questa inaugurazione?
L’inaugurazione ha un duplice significato. Da un lato essa avviene nel momento in cui, grazie agli incessanti progressi della campagna vaccinale e all’introduzione del green pass, i musei riaprono alla massima capienza, accogliendo i visitatori in piena sicurezza con la prosecuzione delle misure di prevenzione quali la misurazione della temperatura e le mascherine. La mostra del Meis si inserisce così in quell’insieme di iniziative culturali che sta trainando la ripresa economica e sociale del Paese. Dall’altro lato, “Oltre il ghetto. Dentro&Fuori” ha il merito di tenere alta l’attenzione sulle discriminazioni e le persecuzioni subite dagli ebrei e sulla capacità di dialogo che, nonostante tutto, il mondo ebraico ha saputo mantenere con le altre culture.

L’esposizione sin dal titolo suggerisce la capacità del mondo ebraico di dialogare con la società circostante nonostante il tentativo di confinarlo entro un perimetro definito e opprimente. Può essere una lezione anche per il presente?
La memoria della pervicace costanza del mondo ebraico nel voler mantenere il proprio ruolo in una società ostile costituisce un grande insegnamento, al quale dobbiamo guardare con profondo rispetto e spirito di emulazione.

Quanto è importante ricordare, come fanno le tre mostre del Meis, che storia e cultura ebraica sono parte integrante della storia e cultura italiana?
Il varo delle leggi razziali nel 1938 è una vergogna che lo Stato italiano porterà sempre su di sé. L’Italia ha dolorosamente amputato una parte integrante del corpo della propria nazione, una ferita profonda. Per questo è bene da un lato continuare a ricordare a noi stessi cosa è avvenuto e dall’altro riconoscere nella cultura ebraica uno dei pilastri fondanti dell’Italia e dell’intera Europa.

Lei ha sostenuto sin dall’inizio il Meis, quale pensa sia il ruolo di questa istituzione all’interno del panorama culturale italiano? E per il territorio in cui si trova?
Come ho sempre voluto ricordare, sono stato il promotore dell’atto di iniziativa parlamentare che ha dato vita al Meis nel 2003. Ho sempre creduto nell’importanza di una istituzione culturale che, come il Museo della Shoah a Berlino, ricordasse nel nostro Paese, l’unico oltre alla Germania in cui le leggi razziali furono introdotte prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, il valore, l’importanza e il ruolo di una cultura che si è tentato invano di cancellare. E farlo a Ferrara, dove risiedeva una delle più numerose e vivaci comunità ebraiche della nazione, è stata la conseguenza naturale di questa scelta.

La direttrice del Museo ebraico di Francoforte Mirjam Wenzel, parlando con Pagine Ebraiche, ha evidenziato come i musei siano anche “presidi di cittadinanza e di partecipazione” dove porsi domande sulla società. Condivide questa impostazione?
La condivido pienamente. Per questo è stato particolarmente doloroso chiudere i musei nel corso dell’emergenza pandemica ed è stato importante battersi per riaprirli al 100% non appena si sono verificate le condizioni minime di sicurezza.

Tornando alla mostra del Meis, sono esposte opere di altri musei, anche internazionali. Quanto è importante questa capacità di fare rete all’interno del sistema museale?
È fondamentale, si può dire che è parte costitutiva di un’istituzione museale degna di questo nome.

In generale, la pandemia ha messo in grave difficoltà la realtà dei musei, qual è il loro stato di salute e quali strumenti ha messo a disposizione il governo per aiutarli? 
Sin dall’inizio della pandemia il Ministero ha messo in campo tutti gli strumenti necessari per consentire ai musei di compiere la traversata nel deserto, destinando risorse straordinarie sia a quelli statali che a quelli privati o di altri enti pubblici. Sebbene chiusi al pubblico, i musei hanno proseguito nelle attività di studio e ricerca, oltre che nel restauro del loro patrimonio, e si sono preparati alla riapertura nella consapevolezza di doversi far trovare pronti al ritorno di visitatori assetati di cultura e di bellezza.

Sul fronte internazionale, in occasione del G20 della Cultura lei ha sottolineato il ruolo della Cultura come strumento di dialogo tra i popoli. E in un’intervista su questo tema lei ha auspicato il rientro di Usa e Israele all’interno dell’Unesco, perché è importante? Israele è uscita denunciando un atteggiamento anti-israeliano all’interno dell’Unesco, perché dovrebbe rientrare?
Perché credo che le politiche si determinino meglio all’interno delle istituzioni. Il mondo ebraico, come ricorda la mostra “Oltre il ghetto. Dentro&Fuori”, seppe proseguire a esercitare la propria influenza anche quando fu attorniato da mura. Auspico possa continuare a farlo ora, affermando le proprie ragioni dentro il massimo organismo internazionale dedicato alla cultura.

Daniel Reichel

(Nelle immagini: il ministro Dario Franceschini all’inaugurazione della prima mostra del Meis “Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni”, assieme alla storica Anna Foa, curatrice dell’esposizione assieme a Giancarlo Lacerenza e Daniele Jalla – foto di Marco Caselli Nirmal. Sotto: il quadro “Ester al cospetto di Assuero” di Sebastiano Ricci (1733), prestito del Quirinale, foto di Corradino Janigro e Francesco Mancin)