L'IMPEGNO DEI FRATELLI KNOLL DOPO LA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI PARIGI
“Giustizia è stata fatta, adesso agiamo sulle scuole"

Dopo l’accumulo di emozioni delle scorse ore oggi, per Daniel Knoll, è un giorno buono per staccare la spina. Dopo la snervante attesa un’occasione, finalmente, per rallentare e rifiatare. “Ho bisogno di un po’ di riposo”, confessa a Pagine Ebraiche.
La soddisfazione però è tanta. Il Tribunale di Parigi ha infatti capito e, davanti all’evidenza, imboccato l’unica strada possibile: quella della giustizia. E così ha disposto il carcere a vita per l’assassino di sua madre Mireille, l’estremista islamico Yacine Mihoub autore nel marzo del 2018 di un crimine efferato che aveva suscitato orrore nel Paese e di cui è stato riconosciuto, in modo inconfutabile, il movente antisemita. Quindici anni di reclusione invece per Alex Carrimbacus, colpevole di furto aggravato. “Due mostri sono stati condannati” il primo commento di Daniel, che ha atteso l’esito del processo insieme a suo fratello Allan. “Aspettavo questo verdetto da tempo” ha detto tra le lacrime quest’ultimo, non riuscendo ad aggiungere altro.
Una svolta, ma non un punto d’arrivo. “Un’altra lotta – spiega Daniel – inizia adesso: quella per una migliore educazione nelle scuole. Serve un impegno deciso contro razzismo, antisemitismo ed estremismo affinché non ci si trovi più a piangere persone come mia madre o come Sarah Halimi, Ilan Halimi, padre Jacques Hamel, Samuel Paty”.
Una lotta che passa anche da iniziative di impegno istituzionale come la recente intitolazione di una strada di Parigi, nel quartiere dove Mireille abitava. A Pagine Ebraiche Daniel confessa un sogno: far sì che analoga istanza sia accolta dall’israeliana Netanya, una delle città dove più forte è la presenza di connazionali. “Gli ebrei francesi sono molto vicini a Israele. Potrebbe essere un’opzione per ricambiare questa solidarietà”, sottolinea l’uomo.
Giustizia stavolta è stata fatta. Diversamente dal caso di Sarah Halimi, uccisa nell’aprile del 2017 da un suo vicino di casa islamico ad oggi impunito perché la Corte di Cassazione l’ha ritenuto incapace di intendere e volere a causa della precedente assunzione di droghe. La famiglia, con il supporto delle istituzioni ebraiche e dei tanti che nel mondo hanno gridato il loro sconcerto, continua a battersi perché quest’esito non sia ineluttabile. Una strada che si annuncia in salita ma da parte dei suoi cari nessuna voglia di gettare la spugna, come più volte raccontato a Pagine Ebraiche dal figlio Yonathan.
Il 21 novembre una toccante cerimonia sarà l’occasione per ricordare la madre nel modo più consono per chi ha dedicato tutta la sua vita agli altri. Un giorno di festa e identità, segnato dall’inaugurazione di un Sefer Torah a suo nome che servirà il centro comunitario Ohel Sarah che sta nascendo in Israele. Uno dei tanti frutti, forse il più significativo, di una raccolta fondi internazionale promossa a tal fine anche dall’UCEI.
“Più di 40 anni fa mia madre ha costruito un asilo nido in cui ha accolto centinaia di bambini parigini. Educazione, trasmissione e unione – afferma Yonathan – erano i valori che la guidavano”.
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PAGINE EBRAICHE - LO SPECIALE SULLA NUOVA MOSTRA DEL MEIS
Edgardo Mortara, la pittura come denuncia

Davanti al quadro Il rapimento di Edgardo Mortara (1862) è importante soffermarsi sui dettagli. Il tallit katan con cui è vestito il piccolo Edgardo, il padre con la kippah che si protende per proteggerlo, la madre svenuta dal dolore, la presenza di una folta rappresentanza della Chiesa - un francescano, un gesuita e una suora e persino le guardie papali sullo sfondo - che strappa il bambino alla famiglia. Impossibile non interpretare le scelte iconografiche dell’artista Moritz Daniel Oppenheim come una denuncia forte e chiara contro le sopraffazioni da parte ecclesiastica. Nella tragica scena non c’è infatti una fedele ricostruzione di quanto avvenne, ma una sottolineatura del sopruso subito. Il piccolo, battezzato in segreto da una cameriera, fu sì strappato alla famiglia a Bologna, scatenando un terremoto politico in tutta Italia e non solo, ma non nei termini dipinti da Oppenheim. Ma questo non toglie nulla al quadro, anzi. E vederlo dal vivo al Meis di Ferrara, protagonista della nuova mostra “Oltre il ghetto. Dentro & fuori” (29 ottobre – 15 maggio), non può che generare forti emozioni. A maggior ragione se si pensa che il quadro di Oppenheim per 150 anni è rimasto celato agli occhi del pubblico e ora, per la prima volta dopo un secolo e mezzo, torna visibile a tutti grazie al prestito della famiglia Schottenstein che lo ha acquistato nel 2013. “L’arrivo di questo quadro è un evento da celebrare per l’intera Italia ebraica e non solo. Nel dipinto c’è il racconto di un evento che ha segnato la storia dell’ebraismo italiano” evidenziava Elèna Mortara, pronipote di Edgardo, contemplando da pochi passi e per la prima volta l’opera dal vivo. Al caso del lontano parente la studiosa, già docente di Letteratura anglo-americana, aveva dedicato il libro Writing for Justice.
Nel catalogo della mostra ricostruisce con grande attenzione la storia della sottrazione del bambino alla famiglia e le sue ripercussioni. Di seguito proponiamo uno stralcio del suo brano, in particolare il passaggio dedicato alla reazione del mondo ebraico italiano che in quegli anni si sta emancipando (l’editto di Carlo Alberto è di dieci anni precedente) e comincia a rivendicare con forza i propri diritti, così come la reazione sulla stampa internazionale.

In “secoli credenti”, il sequestro di Edgardo operato dalle guardie pontificie sarebbe passato sotto silenzio. Ma, nel nuovo clima liberale dell’epoca, e grazie alla forte reazione della famiglia che non accettò in silenzio il sopruso, il fatto non era apparso più così “semplicissimo” e aveva suscitato, al contrario, grande eco, dibattito e scandalo internazionale.
Protagonista della battaglia per il ritorno del bimbo in famiglia fu fin dall’inizio il padre, Momolo Mortara, sostenuto da altri membri della famiglia e della piccola comunità ebraica di Bologna: una comunità allora di poche decine di persone (gli ebrei erano stati espulsi da Bologna per decisione papale nel 1593, in piena Controriforma, e avevano cominciato a farvi ritorno solo in età napoleonica), molte delle quali, come gli stessi Mortara, di recente provenienza dalle vicine città di Modena e Reggio Emilia, facenti parte del confinante Ducato asburgico-estense di Modena e Reggio. Essendo Edgardo ormai rinchiuso nella Casa dei Catecumeni in Roma, si imponeva la necessità di perorare per il ritorno del piccolo in famiglia, rivolgendosi, con petizioni ben argomentate, non più solo all’inquisitore di Bologna ma anche al pontefice, il papa-re Pio IX, sotto la cui giurisdizione si trovava ormai il bimbo sequestrato. Un primo tentativo di contatto diretto con l’autorità pontificia fu compiuto il 4 luglio 1858, allorché da Bologna furono inviate due lettere firmate dal padre Momolo Mortara, una all’inquisitore Feletti in Bologna e l’altra al pontefice in Roma, per il tramite del potente segretario di stato cardinale Giacomo Antonelli, a sua volta destinatario di una ossequiosa lettera di accompagnamento (il tentativo era destinato a rimanere senza risposta). Iniziarono poi subito i contatti epistolari con i dirigenti della comunità ebraica, allora detta Università Israelitica, di Roma. Questa comunità aveva antiche, per quanto sofferte, consuetudini di colloquio con il potere pontificio, a causa della secolare sudditanza diretta a tale potere. L’Università Israelitica di Roma dovette, pertanto, farsi tramite dei rapporti con la Santa Sede nella difficilissima trattativa, e fu il giovane segretario dell’Università, Sabatino Scazzocchio, che nei convulsi mesi successivi al rapimento si trovò al centro del turbinio di lettere e sollecitazioni provenienti da Bologna e da altre parti del mondo ebraico, dentro e fuori lo Stato della Chiesa, e che cercò di gestire le trattative col papa e il suo segretario di stato cardinale Antonelli, in un delicato equilibrio tra il desiderio di risolvere il caso e la necessità di non pregiudicare i rapporti con il potente potere supremo del capo dello stato, il papa-re Pio IX. Fin dal luglio 1858 si cominciarono a profilare all’interno del mondo ebraico italiano due diverse strategie di lotta. Da un lato c’era la via propugnata dai dirigenti dell’Università Israelitica di Roma, i membri del Vaad (Consiglio) che, pur dichiarandosi subito pronti “a qualunque sacrificio” (Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma, Decreti del Vaad dell’Università, 20 luglio 1858), cercavano di affrontare il dramma agendo con circospezione e nella massima discrezione rispetto al mondo esterno: fu per il tramite loro e del segretario Scazzocchio che in agosto Momolo Mortara poté per la prima volta essere ricevuto dal segretario di stato pontificio Antonelli, anche se non dal papa, e che poi, in agosto e settembre, poté incontrare alcune volte il figlio, seppur mai da solo, all’interno della Casa dei Catecumeni; e fu una delegazione dell’Università Israelitica che all’inizio di settembre 1858, ricevuta da Antonelli, trasmise per suo tramite la elaborata, rispettosissima nuova petizione rivolta al pontefice, composta da un “Promemoria” preceduto da una lettera dei genitori Mortara, con vari allegati, e da un dotto “Syllabus” in latino, contenente una silloge di documenti ecclesiastici atti a dimostrare la possibilità di derogare dal sequestro di Edgardo. Accanto alla via della trattativa segreta caldeggiata dall’Università Israelitica di Roma, vi era d’altra parte la via propugnata fin dall’inizio dai membri della comunità di Bologna, che già nella prima lettera a Scazzocchio parlavano del caso come di “una persecuzione incompatibile coi tempi che corrono” (lettera di Angelo Padovani, 9 luglio 1858) e che poi a fine luglio, esasperati dalla lentezza delle trattative, lo sollecitavano a mobilitare anche “i più eminenti Israeliti, esteri allo Stato nostro, per interessare la opinione pubblica europea, e nazioni e governi civili, etc.” (Kertzer 1996, pp. 70, 74).
Elèna Mortara
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LA CERIMONIA A PIANGIPANE
“Brigata ebraica, un esempio da ricordare"

C’erano la Comunità ebraica di Ferrara, il sindaco di Ravenna e di altri Comuni dell’area, l’ambasciata d’Israele, i rappresentanti civili e militari. Insieme per ricordare al cimitero di guerra di Piangipane i caduti della Brigata ebraica. Un’occasione voluta dalla Comunità ebraica dopo un anno e mezzo di pandemia in cui cerimonie di questo tipo erano difficili da organizzare. “Temevamo che far trascorrere troppo tempo avrebbe poi fatto scivolare nel dimenticatoio l’importanza di ricordare il contributo della Brigata alla Liberazione dell’Italia dal nazifascismo” spiega il rabbino capo di Ferrara, rav Luciano Caro, presente alla cerimonia insieme tra gli altri al presidente della Comunità ebraica ferrarese Fortunato Arbib. “C’è stata una partecipazione importante da parte delle autorità e di diverse associazioni. Anche il sindaco di Ravenna Michele de Pascale è venuto così come altri sindaci della zona. Un segnale molto importante”, commenta il rav. A ricordare il contributo della Brigata Ebraica anche l’addetto per la Difesa presso l’ambasciata d’Israele in Italia Dror Altman. “Vorrei ricordare tutti caduti – le sue parole – e ringraziare i coraggiosi combattenti della Brigata Ebraica. Il loro spirito e i loro valori saranno sempre una guida per il nostro futuro”.
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NOMINA ALL'UNANIMITÀ
Musei e memoriali, Simonetta Della Seta
alla guida del gruppo di lavoro dell'Ihra

Musei e memoriali hanno un ruolo importante nel contrasto all’antisemitismo e alle distorsioni della Shoah. Un ruolo che li impegna nel quotidiano con un rapporto costante con il pubblico dei rispettivi paesi. Coordinare a livello internazionale questi sforzi e lavorare a strategie comuni sarà una chiave per il futuro. Ed è questo uno degli obiettivi del gruppo di lavoro che si occupa di Musei e Memoriali dell’International Holocaust Remembrance Alliance, che nel 2023 sarà guidato da Simonetta Della Seta. Una nomina, all’unanimità, arrivata nel corso dell’ultima plenaria. “La nomina di Simonetta Della Seta è un risultato significativo per l’Italia. La sua esperienza alla direzione del Museo nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah sarà preziosa” sottolinea a Pagine Ebraiche l’ambasciatore Luigi Maccotta, capo delegazione italiana all’Ihra. “Non solo le scuole – aggiunge Maccotta – ma credo anche le istituzioni museali e memoriali hanno e avranno sempre più un ruolo centrale rispetto all’educazione alla Memoria. E l’Italia può vantare esempi di valore su questo fronte, dal Meis alla Fondazione Museo della Shoah di Roma, al Memoriale di Milano”. Esempi che saranno un punto fermo per elaborare nuove strategie per il futuro, rileva l’ambasciatore. “Ci sarà tempo ora per Della Seta, che ha tutta la nostra fiducia, per delineare le linee programmatiche e costruire un piano comune per i paesi membri dell’Ihra”.
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LA TESTIMONIANZA DEL PRIMARIO DI TERAPIA INTENSIVA
“Trieste e i No Vax nelle piazze, reparti al limite"

“Trieste è una comunità di persone razionali, responsabili e consapevoli che possiamo uscire dalla tempesta soltanto tutti assieme. Ciascuno con un’assunzione di responsabilità verso gli altri”.
A dieci giorni dalla sua diffusione in rete la raccolta firme per Trieste città della scienza e che della scienza si fida in risposta alle follie di No Vax e No Green Pass che hanno monopolizzato la piazza per settimane ha raccolto diverse decine di migliaia di adesioni.
Un appello fatto proprio anche dalla Comunità ebraica triestina, in primis dal suo presidente Alessandro Salonichio e dal rabbino capo rav Alexandre Meloni che, come raccontato a Pagine Ebraiche, l’hanno entrambi sottoscritto con piena convinzione invitando gli iscritti a fare altrettanto.
Il prezzo di quelle sciagurate manifestazioni e dei numerosi assembramenti in spregio alle regole è sotto gli occhi di tutti: un tasso di contagio a livelli allarmanti, con corsie di nuovo sotto pressione come ai tempi della seconda ondata. Un’autorevole conferma è arrivata quest’oggi da un altro ebreo triestino: Umberto Lucangelo, primario della Terapia intensiva dell’ospedale Cattinara.
“Stiamo tornando ai periodi più bui della pandemia, con un’impennata vertiginosa di contagi, reparti al limite, spostamento di risorse, doppi turni. E con l’amarezza di assistere all’atteggiamento scellerato di chi non si vaccina credendo alla fantascienza”, la sua testimonianza al Corriere della sera. “Cosa dicono i pazienti no vax?”, viene chiesto a Lucangelo. “Alcuni – risponde – si pentono. Mi è capitato di assistere a scene emblematiche, come una videochiamata ai figli di un paziente appena estubato: diceva che il Covid è una cosa seria e consigliava il vaccino. Altri sono invece negazionisti irriducibili ed escono dal reparto ancora convinti che il Covid non esista. C’è chi dice che noi iniettiamo dei microchip e che siamo tutti pagati da big pharma”. È gente, l’amara riflessione del primario, “che sta mettendo un peso enorme sulla nostra società”.
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LO SPETTACOLO TEATRALE IN SCENA A TORINO
Le tenebre e la lezione della Storia

Al Teatro Baretti di Torino un connubio già sperimentato per un precedente spettacolo (Destinatario sconosciuto tratto dal romanzo epistolare di Katherine Kressmann Tayllor) ha dato origine ad un evento teatrale di notevole spessore e rigore: “In quelle tenebre – La verità è un intreccio di voci”, psicobiografia di Franz Stangl, comandante dei campi di sterminio di Sobibór e Treblinka che prestò servizio in Italia a Udine e Trieste, presso la Risiera di San Sabba, per poi essere arrestato nel 1967 e rinchiuso a Düsseldorf. Il connubio, che dà vita allo spettacolo tratto dal libro di Gitta Sereny, è quello tra gli interpreti Rosario Tedesco (che firma anche la regia) e Nicola Bortolotti con il Coro Zemer dell’Associazione ex allievi e amici della Scuola Ebraica di Torino diretto dal Maestro Roberto Duretti.
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LA MOBILITAZIONE NELL'ANNIVERSARIO DELLA NOTTE DEI CRISTALLI
Memoria e luce nell'Italia Ebraica

Luce nelle sinagoghe, negli uffici comunitari, nelle abitazioni private.
Un atto di Memoria consapevole, ma anche di identità viva.
Clicca qui per la gallery dell'Italia ebraica illuminata nell'anniversario della Notte dei Cristalli.
(Nell'immagina: luce a San Nicandro Garganico)
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L'OSSERVATORIO DELLA FONDAZIONE AGNELLI
Eduscopio, i dati premiano le scuole ebraiche
In rete i nuovi risultati di Eduscopio, il progetto di valutazione degli istituti superiori italiani a cura della Fondazione Agnelli.
Primo posto, nella classifica di riferimento, per il liceo scientifico scienze applicate della scuola ebraica di Milano: si tratta della seconda volta al vertice dell'indicatore (analogo risultato era stato conseguito nel 2019).
Sale nella top ten il liceo Renzo Levi della Comunità ebraica di Roma: quinto nella graduatoria degli istituti scientifici, ottavo in quella dei linguistici. Primo posto confermato nella classifica degli istituti paritari.
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Machshevet Israel - Jabès o dell'interrogazione
 Trent’anni fa moriva a Parigi Edmond Jabès. Era nato a Il Cairo, figlio di ebrei italiani ma educato in scuole francesi, e fu attivo nell’antifascismo. Nel 1957 dovette lasciare l’Egitto, come altri ebrei esuli dalle terre arabe, e trovò riparo in Francia, in un nuovo esilio dall’esilio – contrassegno di molta ebraicità europea – che tuttavia acuì la sua appartenenza all’ebraismo e dove scrisse una grande opera, Le livre des questions, una sinfonia letteraria e filosofica in sette ‘libri’ ritmata da un’unica passacaglia: il rapporto ebraismo-scrittura. È stato tradotto integralmente da Bompiani, qualche anno fa, con il titolo Il libro delle interrogazioni, e presentato come “un classico dell’umanesimo ebraico del Novecento”. In un certo senso è pensiero ebraico in forma poetica, nello stile di certi sefarditi medievali (tipo Shlomò Ibn Gabirol).
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Risparmio energetico
 La conferenza COP 26 segue a pochi giorni di distanza il G20 di Roma, ma come dice giustamente Greta si tratta di bla-bla-bla. Cosa sta facendo l’Italia (e non solo)? Dire niente è essere ottimisti. La promozione di autovetture elettriche è velleitaria ed assurda. La corrente prodotta per la carica delle batterie di un’autovettura ibrida è più inquinante della semplice propulsione termica (benzina o diesel). Non dimentichiamo che ogni processo di trasformazione energetica è per definizione parziale.
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