Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui     31 Marzo 2022 - 28 Adar 5782

LA NUOVA ONDATA DI ATTACCHI E LA TELEFONATA TRA BIDEN E BENNETT

"Lotta al terrore, gli Usa accanto a Israele"

“Mio fratello era un eroe, ha svolto il suo lavoro con onore e ha perso la vita con onore. Continuerò il mio lavoro con la polizia per proseguire il suo percorso. Voglio che sia orgoglioso di me”. È la promessa di Michael, fratello di Amir Khoury, l’agente della polizia israeliana ucciso nell’attentato terroristico a Bnei Brak. In queste ore la famiglia e i colleghi si sono raccolti per l’ultimo saluto, mentre il paese rimane in stato d’allarme davanti ai ripetuti attacchi terroristici. L’ultimo in mattinata, quando un ventottenne israeliano è stato accoltellato da un terrorista palestinese ed è ora ricoverato in ospedale in gravi condizioni a Gerusalemme. L’aggressione è avvenuta a bordo di un autobus: l’attentatore era salito a una fermata nei pressi dell’insediamento di Neve Daniel, in Cisgiordania. Poco dopo ha attaccato la sua vittima con un cacciavite. Un altro passeggero è subito intervenuto, sparando e uccidendo il terrorista. L’autista, Muhammad Said, ha raccontato a ynet di aver fatto subito “una fermata d’emergenza: ho aperto le porte e ho chiesto ai passeggeri di scendere”. “Non avrei mai pensato – ha aggiunto – di trovarmi in un evento del genere”. La preoccupazione delle autorità è che gli attacchi si intensificheranno nelle prossime settimane. Per questo è stato incrementato il dispiegamento di forze nel paese e sono state avviate diverse operazioni di contrasto alle organizzazioni terroristiche, tra cui Hamas e Jihad islamica, ma anche simpatizzanti dell’Isis (come i terroristi di Beer Sheva e Hadera). A dare il proprio sostegno a Israele in questa delicata fase è stato anche il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden. In una telefonata con il Premier Naftali Bennett (nell’immagine durante la visita alla Casa Bianca dello scorso settembre), Biden ha sottolineato “che gli Stati Uniti stanno fermamente e risolutamente con Israele di fronte a questa minaccia terroristica e a tutte le minacce al suo Stato”, come si legge in una nota della Casa Bianca. Biden, si aggiunge, “ha offerto tutta l’assistenza appropriata ai nostri alleati israeliani mentre affrontano le minacce contro i loro cittadini”.

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INDIMENTICABILE LA SUA BATTAGLIA PER RIPORTARE IL FIGLIO GILAD A CASA

Noam Shalit (1954-2022)

“Quando ne parliamo in casa, quando ne parliamo con lui, ci diciamo che il 18 ottobre è il suo secondo compleanno”.
Noam Shalit esprimeva con queste parole cosa ha significato, per lui e per la sua famiglia, quel 18 novembre del 2011 in cui suo figlio Gilad fu liberato dalle mani dei terroristi di Hamas dopo cinque anni e mezzo di prigionia a Gaza. Indimenticabile il suo impegno per la liberazione di Gilad, catturato da un commando il 25 giugno del 2006 e restituito alla libertà dopo uno scambio con 1027 detenuti palestinesi (molti dei quali affiliati a gruppi terroristici e responsabili di gravi crimini). “Abbiamo imparato ad apprezzare la sua determinazione, la sua dedizione, la sua fede incrollabile nel riuscire, alla fine, a convincere chi di dovere a riportare a casa Gilad. La battaglia che ha condotto era al di là della lotta di un padre per il figlio. Era una battaglia per i valori della società israeliana” ha dichiarato Shimshon Liebman, amico di famiglia al fianco di Noam e della moglie Aviva nei cinque anni e mezzo senza Gilad. Un ricordo, quello di Liebman, in un momento di dolore. Noam è infatti scomparso nelle scorse ore: aveva 68 anni.
Da tempo combatteva una battaglia contro la leucemia. Nelle ultime settimane le sue condizioni di salute si erano significativamente aggravate, tanto da portarlo a un ricovero urgente in ospedale. “Immagino che cinque anni e mezzo di stress non abbiano giovato in alcun modo alla mia salute” aveva raccontato Shalit in un’intervista andata in onda per i dieci anni dal ritorno del figlio. Una rara occasione pubblica per una famiglia che ha scelto la riservatezza dopo una lunga ed estenuante campagna per poter riabbracciare Gilad. “Cerco di non tornare indietro e ricordare il periodo in cui era in prigionia, ma a volte riemerge”, aveva spiegato Noam nell’intervista all’emittente N12. Davanti a lui allora diversi raccoglitori in cui la moglie Aviva aveva accumulato decine, centinaia di articoli di giornale, manifesti, appelli. Una cronostoria in carta di cinque anni e mezzo passati ad attendere il figlio. Un passato, spiegava Noam, che Gilad preferisce lasciare alle spalle. Cercando piuttosto di rimanere concentrato sul futuro e lontano dall’attenzione mediatica. 

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L'INIZIATIVA "VIRALE" SUI SOCIAL NETWORK

La protesta silenziosa che mette in difficoltà Putin 

Mettere fantasia nelle forme di protesta è cosa quasi tradizionale, che sta prendendo sempre più piede, in Russia, ma questa volta l’amplificazione sui social network sta spingendo i piccoli manifestanti verso il successo. Era già successo in Siberia, quando per rispondere al divieto di manifestare gli abitanti di una cittadina non lontana dalla Mongolia avevano mandato in strada omini Lego, personaggi giocattolo e orsacchiotti – tutti attrezzati con i loro piccoli striscioni – ma visto che il permesso di scendere in piazza non arriva facilmente anche altre manifestazioni avevano preso forme alternative. Contro l’abuso delle macchine con sirene e lampeggianti in molti hanno girato con un secchiello blu sul tetto, o sono stati organizzati picchetti composti da una persona sola, soluzioni inventate per rendere difficile e motivare un arresto. Ora un account Instagram, @malenkiy_piket, piccolo picchetto, sta pubblicando fotografie dell’ultima via trovata a San Pietroburgo per continuare a manifestare il dissenso per l’occupazione nonostante l’ondata di arresti delle scorse settimane. Omini di plastilina, personaggi ritagliati nella carta, o lavorati all’uncinetto compaiono ovunque, sempre più frequentemente, e finiscono su malenkiy_piket. Hanno tutti il loro piccolo cartello, o una bandiera giallo azzurra, e stanno avendo sempre più successo. Più di tremila follower su instagram, frequenti citazioni su Twitter e un seguito di simpatizzanti che da tutto il mondo manda fotografie simili. Nella neve, sui tetti, fra le uova al supermercato, arrampicati su una grondaia… nulla può fermarli, la piccola protesta silenziosa cresce ogni ora. Dalla Norvegia sino a Milano, con preoccupazione, e fantasia.

a.t. social @ada3ves

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PALERMO EBRAICA, LA SCOMPARSA DI UNA PROTAGONISTA

Evelyne Aouate (1941-2022)

Commozione a Palermo e in tutta l’Italia ebraica per la scomparsa di Evelyne Aouate, fondatrice dell’Istituto siciliano di studi ebraici e referente della sezione locale della Comunità di Napoli.
Nata in Algeria nel 1941, costretta poi ad emigrare in Francia assieme ai suoi cari, aveva messo radici a Palermo ormai da molti anni e legato il suo nome a progetti dall’enorme impatto e significato. Come la riapertura, cinque secoli dopo la cacciata degli ebrei dalla Sicilia, di una sinagoga nei locali dell’ex Oratorio di Santa Maria del Sabato concessi in comodato gratuito dall’arcivescovado attraverso uno storico accordo formalizzato nel 2017. Una sfida, come raccontavamo appena pochi giorni fa, che sembra finalmente a un punto di svolta. 
“Esprimo tanto, profondo dolore e affettuosa vicinanza ai familiari di Evelyne Aouate, rappresentante esemplare della comunità ebraica nella nostra città e presidente dell’Istituto siciliano di studi ebraici” il cordoglio espresso dal sindaco Leoluca Orlando, che in passato l’aveva insignita della Tessera preziosa del mosaico Palermo. La sua figura, era stato evidenziato allora, “rappresenta la storia dell’ebraismo, il suo essere collegato a tanti luoghi e il suo essere fedele a una tradizione millenaria”.
“Non si è sottratta mai ai suoi impegni e non ha mai avuto timore di affermare con caparbietà le proprie idee” il ricordo di Lydia Schapirer, la presidentessa della Comunità di Napoli. Che aggiunge poi: “Ci ha lasciato troppo presto per vedere realizzato un suo grande sogno, quello di una sinagoga a Palermo. Ma i sogni, soprattutto quelli a cui si tiene di più, molte volte necessitano di tempi lunghi per realizzarsi e anche particolari condizioni che da alcuni anni vedono la Comunità di Napoli e l’UCEI impegnate faticosamente per crearle”.
Nel corso della sua missione della scorsa settimana a Palermo il vicepresidente UCEI Giulio Disegni aveva spiegato come l’intenzione sia ora quella “di lanciare una raccolta fondi internazionale per portare a termine la ristrutturazione” del sito, segnalando un grande interesse al riguardo “non solo in Italia, ma anche in Israele e fino agli Stati Uniti”.
Un progetto oggi più che mai nel nome di Evelyne Aouate. 

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EVELYNE AOUATE (1941-2022)

L'anima della rinascita, a Palermo e in Sicilia

Non si fermava mai e non si fermava davanti a nulla. Forte, determinata, elegante, coraggiosa, Evelyne Aouate ha rappresentato con fermezza e con classe l’ebraismo a Palermo. Ci ha lasciati ieri nella sua città, in punta di piedi, dopo aver combattuto l’ultima di tante battaglie della sua vita. Nata in Algeria nel 1941 da famiglia con forti sentimenti e radici ebraiche, fu costretta a lasciare il paese d’origine con padre, madre e due fratelli e a rifugiarsi dapprima a Parigi, per approdare poi a Palermo, la sua nuova “patria”. Dopo lunghi anni di vita siciliana in cui credeva di essere l’unica ebrea di Palermo, venne casualmente a conoscerne altri e in questo modo iniziò a crescere anche il suo interesse per approfondire la storia della presenza ebraica in Sicilia e le tracce di un passato antico, ma di cui molti erano ancora i segni.
Da quel momento Evelyne Aouate non si ferma più: fonda l’Istituto Siciliano di Studi Ebraici, di cui diviene presidente, organizza lezioni con i rabbini, riunioni conviviali e di preghiera in occasione delle principali festività ebraiche, accoglie nel suo salotto di via Wagner chiunque mostri interesse per il mondo ebraico, dialoga con tutti – ebrei, cristiani e musulmani – facendo del dialogo interreligioso uno dei capisaldi della sua militanza ebraica. Incontra e accoglie autorità religiose e uomini politici, giornalisti italiani e stranieri, ambasciatori: è di casa dal sindaco di Palermo, come dall’arcivescovo, o dal rettore dell’Università, è l’anima di numerosi convegni e giornate di studio in occasione del Giorno della Memoria e per ricordare la cacciata degli ebrei dalla Sicilia il 12 gennaio 1493.
Palazzo Steri, sede del Tribunale dell’Inquisizione e la Sala Almeyda, sede dell’archivio storico comunale di Palermo, diventano i luoghi da lei prescelti per incontri e convegni sull’ebraismo in Sicilia, attraverso cui i palermitani riscoprono l’identità ebraica locale, riconciliandosi con la propria storia. Ed è ancora lei, insieme a un piccolo gruppo di docenti universitari e amici palermitani, che la seguono in ogni sua iniziativa, a strutturare i primi itinerari nell’antico quartiere un tempo ebraico, la Meschita, e ad accompagnarvi scolaresche e visitatori italiani e stranieri. È lei a contribuire alla riscoperta del miqveh, il bagno rituale ebraico, nei sotterranei di Palazzo Marchesi, luogo ove ebbe la prima sede l’Inquisizione spagnola in Sicilia, il Tribunale di Fede, che, ironia della sorte, si accanì sugli ebrei, per cancellarne la memoria. E poi il grande sogno della sua vita: riavere dopo 525 anni una sinagoga a Palermo.

(Nell’immagine, da sinistra a destra: il vicepresidente UCEI Giulio Disegni; Evelyne Aouate; il sindaco Leoluca Orlando; il rav Gadi Piperno)

Giulio Disegni, vicepresidente UCEI

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LA SCOMPARSA DELL'ARTISTA TORINESE

Roberto Zargani (1934-2022)

Dopo una lunga malattia che da tempo lo teneva isolato in casa, Roberto Zargani se n’è andato lasciando un grande vuoto. Un vuoto legato innanzitutto alla sua umanità, al calore amichevole che avvolgeva coloro che entravano in contatto e poi facilmente in amicizia con lui. Roberto ti conquistava con la sua verve, con la sua esuberanza, con la curiosità insaziabile del suo sguardo sul mondo. Questo bisogno di vedere e di capire animava anche la sua vena pittorica, che ci ha donato opere di grande originalità creativa e di profondo significato, molte delle quali inscindibilmente vincolate alla sua radicata identità ebraica e a un sentimento biblico dell’esistenza. Molti di noi, stranamente ma indubitabilmente, conoscono Roberto sin da quando era bambino, attraverso le memorabili pagine di Per violino solo. La mia infanzia nell’aldiqua (1938-1945), lo splendido romanzo autobiografico del suo fratello maggiore Aldo z.l.
Crescendo, il vivacissimo ragazzino descritto negli anni della guerra non perse la briosità del suo temperamento. La formazione artistica lo vide frequentare l’atelier di Casorati dal 1952 al 1956 e poi realizzare una personale di opere informali presso la Galleria d’Avanguardia Cras di Torino nel 1968. Artista ormai affermato, vinse il 1° Premio alla Mostra “Arte della Resistenza” organizzata ad Alpette Canavese nel 1971. Il suo vorace interesse per la natura lo spinse in seguito ad abbandonare provvisoriamente la pittura per lo studio della creatività bonsai e dell’entomologia: stimoli non pittorici destinati tuttavia ad avere un riflesso sulla sua immaginazione d’artista. Tornato a dipingere con continuità negli anni Duemila, seppe coniugare in modo originale la matrice ebraica/biblica propria della sua visione del mondo con l’impulso materico/naturalistico consono ai suoi stimoli e ai suoi approfondimenti.

David Sorani

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LA PRESENTAZIONE DEL NUOVO LIBRO DI MASSIMILIANO BONI

Gaetano Azzariti, una storia da conoscere 

“Se dovessi descriverlo indicando un animale direi che è stato un camaleonte. Se dovessi parlarne come di uno sportivo direi che è uno che partecipa alle Olimpiadi e vince sempre: vince nella magistratura, vince nella sua carriera al vertice dell’amministrazione, vince come numero uno della Corte costituzionale. Se fosse un marchingegno, infine, lo paragonerei a una macchina del tempo. Ma a doppia velocità”. Doppia perché attraverso Azzariti non si va in un’unica direzione, ma anche al suo esatto inverso. Leggerlo, rileggerlo, ci permette infatti di capire anche “chi siamo noi oggi”.
Così Massimiliano Boni nel presentare l’oggetto del suo ultimo libro “In questi tempi di fervore e di gloria, edito da Bollati Boringhieri. Al centro la parabola di Gaetano Azzariti, il magistrato “senza toga” che passò dalla presidenza del Tribunale della razza d’epoca fascista a quella della Corte costituzionale nell’Italia democratica e repubblicana. Una sconcertante quanto rivelatrice traiettoria ripercorsa durante un incontro organizzato dall’Associazione Italiana Avvocati e Giuristi Ebrei insieme all’UCEI e all’editore. In dialogo con l’autore i giuristi Giorgio Sacerdoti ed Edmondo Bruti Liberati, introdotti da Michele Luzzatto.
La conversazione è stata trasmessa in streaming sulle pagine Facebook di UCEI e Bollati Boringhieri, oltre che sull’utenza Telegram di Pagine Ebraiche.
È possibile rivederla cliccando qui.

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LA PRESENTAZIONE IN CAMPIDOGLIO

Studiare la Shoah, un nuovo strumento per i giovani

Online da quest’oggi www.studiarelashoah.it, nuovo sito web a cura della Fondazione Museo della Shoah di Roma che si rivolge a docenti e studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado con l’obiettivo di illustrare “le radici storiche e l’evoluzione della persecuzione antiebraica in Italia”. Presentato presso la Sala della Protomoteca in Campidoglio alla presenza dell’assessora alla Scuola, Formazione e Lavoro Claudia Pratelli e del presidente della Fondazione Museo della Shoah Mario Venezia, è il frutto del lavoro degli storici Amedeo Osti Guerrazzi, Isabella Insolvibile e Marco Caviglia, con il contributo di Roma Capitale.

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Machshevet Israel - Profeti di sventura
Ragionando per generi letterari, non può non stupire nel canone della tradizione ebraica – non solo il Tanakh, ma anche i diversi corpora della Torà orale – la mancanza della tragedia (e, di converso, della commedia), generi diffusi e popolari nel mondo ellenistico. Troviamo narrazioni epico-militari, genealogie, lamenti funebri, poemi epitalamici, meditazioni semi-filosofiche, racconti cosmogonici (ovviamente non teogonie)… ma non abbiamo la tragedia. Non che mancassero temi e attori, non solo biblici. Nel campo delle belle lettere molti non ebrei hanno rimediato: dall’Atalia di Racine allo Shaul dell’Alfieri, come esempi. Vero, una certa storiografia ebraica, quella che Yosef Haim Yerushalmi definì ‘lagrimosa’, si avvicinava al genere tragico. Tuttavia il canone ne è privo. Tendo a pensare che esista un analogo letterario, condiviso a ben vedere da tutte le antiche società semitiche, ed è l’apocalittica.
 
Massimo Giuliani
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