Roberto Zargani (1934-2022)

Dopo una lunga malattia che da tempo lo teneva isolato in casa, Roberto Zargani se n’è andato lasciando un grande vuoto. Un vuoto legato innanzitutto alla sua umanità, al calore amichevole che avvolgeva coloro che entravano in contatto e poi facilmente in amicizia con lui. Roberto ti conquistava con la sua verve, con la sua esuberanza, con la curiosità insaziabile del suo sguardo sul mondo. Questo bisogno di vedere e di capire animava anche la sua vena pittorica, che ci ha donato opere di grande originalità creativa e di profondo significato, molte delle quali inscindibilmente vincolate alla sua radicata identità ebraica e a un sentimento biblico dell’esistenza. Molti di noi, stranamente ma indubitabilmente, conoscono Roberto sin da quando era bambino, attraverso le memorabili pagine di Per violino solo. La mia infanzia nell’aldiqua (1938-1945), lo splendido romanzo autobiografico del suo fratello maggiore Aldo z.l. E crescendo, il vivacissimo ragazzino descritto negli anni della guerra non perse la briosità del suo temperamento. La formazione artistica lo vide frequentare l’atelier di Casorati dal 1952 al 1956 e poi realizzare una personale di opere informali presso la Galleria d’Avanguardia Cras di Torino nel 1968. Artista ormai affermato, vinse il 1° Premio alla Mostra “Arte della Resistenza” organizzata ad Alpette Canavese nel 1971. Il suo vorace interesse per la natura lo spinse in seguito ad abbandonare provvisoriamente la pittura per lo studio della creatività bonsai e dell’entomologia: stimoli non pittorici destinati tuttavia ad avere un riflesso sulla sua immaginazione d’artista. Tornato a dipingere con continuità negli anni Duemila, seppe coniugare in modo originale la matrice ebraica/biblica propria della sua visione del mondo con l’impulso materico/naturalistico consono ai suoi stimoli e ai suoi approfondimenti. Le esposizioni di suoi lavori al Café Procope di Torino (aprile-maggio 2001), alla Galleria Tikkun di Milano (ottobre 2001), presso la Comunità ebraica di Torino (novembre 2000, settembre 2003) documentano questo sviluppo artistico, capace di trovare la sua cifra espressiva in una forma nuova: aggregati pittorici e plastici, pitture con rilievo scultoreo in cui la creatività si esprime anche attraverso l’inesauribile versatilità e la fantasia nell’impiego di materiali quotidiani ma desueti per l’uso artistico, spesso anch’essi di origine naturale. Un’importante ciclo di quadri dalle grandi dimensioni è custodito oggi alle Carceri Le Nuove di Torino: il ciclo rappresenta le diverse fasi della deportazione degli ebrei.
Roberto Zargani fu salvato con il fratello Aldo dalla persecuzione nazifascista grazie a don Vincenzo Barale, segretario del cardinale di Torino, Maurilio Fossati. Anche il papà, primo violinista dell’EIAR di Torino, e la mamma furono salvati da Suor Giuseppina Demuro, che li aiutò ad evadere dal carcere “Le Nuove” ove erano stati rinchiusi per motivi razziali. Roberto perse diciotto familiari nei campi di sterminio nazisti.
In ricordo di Roberto Zargani, sarebbe significativo riproporre la bellissima mostra “Makot” dedicata alle piaghe d’Egitto. Rileggo da una mia recensione su “Ha Keillah” dell’aprile 2003: “Su tutto, grava un impalpabile ma quasi visibile silenzio, segno della morte e dell’assenza, espressione della sympátheia e del dolore dell’artista: una pietas che pare tuttavia, a tratti, celare un umano, quasi ironico sorriso”. Sia il suo ricordo in benedizione.
David Sorani

(31 marzo 2022)