PAGINE EBRAICHE APRILE 2022 - IL DOSSIER UCRAINA

"I russi attaccano le nostre vite e la nostra cultura
Il mondo si mobiliti per difenderle" 

Bucha, Irpin, Borodyanka. Questi luoghi sono diventati tragicamente famosi in queste ore perché teatro della più efferata violenza russa contro il popolo ucraino. “In molte città delle zone intorno a Kiev, Chernihiv e Sumy, gli occupanti hanno fatto cose che la gente del posto non aveva visto nemmeno durante l'occupazione nazista ottant'anni anni fa. Gli occupanti si assumeranno sicuramente la responsabilità di tutto ciò”, ha dichiarato il presidente ucraino Volodomyr Zelensky in riferimento ai massacri commessi dai russi. In questo quarantunesimo giorno dall'inizio dell'invasione, parlando all'emittente nazionale, Zelensky ha chiesto giustizia. “Verrà il momento in cui ogni russo saprà tutta la verità su chi dei suoi concittadini ha ucciso. Chi è stato quello che ha dato l'ordine di uccidere. Chi ha chiuso gli occhi di fronte all'omicidio. Lo faremo sapere a tutto il mondo. Siamo nel 2022 e abbiamo molti più strumenti di quelli che avevano a disposizione quelli che hanno inchiodato alle loro responsabilità i nazisti dalla seconda guerra mondiale”. Inchiodare dunque Mosca per i suoi crimini commessi contro civili inermi così come per il tentativo di distruggere un intero paese, la sua umanità come la sua storia. “Stiamo affrontando non solo un attacco all'Ucraina, ma un attacco alla nostra cultura” ricordava all'inizio dell'invasione la direttrice del museo dell'Arsenale Mystetskyi Olesia Ostrovska-Liuta. Anche i luoghi della cultura sono infatti stati presi di mira dagli attacchi dei soldati di Vladimir Putin.

A Mariupol da metà marzo teatri, musei, edifici storici sono stati sbriciolati, insieme all’umanità che vi cercava rifugio. A fine mese ad essere colpita è stata la Memoria della strage di Drobytsky Yar, nei pressi di Kharkiv, dove la grande menorah che la ricorda è stata danneggiata. Stessa sorte negli stessi giorni per la sinagoga corale di Kharkiv, i cui vetri sono stati distrutti da una granata. I membri della comunità hanno cercato di proteggere l’edificio per quanto possibile e posizionato attorno sacchi di sabbia. “La Sinagoga Corale è riuscita in qualche modo a sopravvivere alle macchinazioni di uno stato ateo antisemita (come quello sovietico), ma ora affronta una nuova minaccia esistenziale: il bombardamento indiscriminato dei ‘liberatori’ russi” scrive il critico d’arte Konstantin Akisha, che a Pagine Ebraiche lancia un accorato appello: “salviamo il patrimonio culturale ucraino, è un patrimonio che appartiene all’umanità intera”. Lo dice con voce strozzata, mentre pensa ai suoi concittadini e rievoca la sua infanzia a Kiev. Ricorda il quartiere Podil, “dove è nata Golda Meir”, dove sorge una delle principali sinagoghe della capitale. Con dolore e frustrazione, da Budapest dove lavora, afferma che “di fronte a questo orrore a noi lontani non resta che gridare” per chiedere aiuto per l’Ucraina. E mantenere alta l’attenzione sui tanti distruttivi effetti di un’invasione che sta cancellando migliaia di vite umane e allo stesso tempo i loro luoghi e le loro radici. Tra cui quelle ebraiche, profondamente legate alla storia ucraina, come si racconta nel dossier di Pagine Ebraiche di aprile, attualmente in distribuzione, dedicato all'Ucraina ebraica.
Nel bene, con la vitalità espressa da una comunità che ha saputo produrre dal Baal Shem Tov a Isaac Babel, da Nachman di Breslav a Sholem Aleichem. E nel male, con i pogrom, la collaborazione con i nazisti, l’oppressione antisemita del regime sovietico. Una violenza che il mondo ebraico non ha dimenticato. Anzi ha trovato modi diversi per esorcizzarla, come testimoniano i versi richiamati da Joann Sfar in una sua recente illustrazione. Il fumettista francese, ucraino per parte materna, disegnando una donna con i colori dell’Ucraina, le fa cantare la canzone yiddish In Odes af a shteyn (A Odessa su una pietra). Una canzone sul terribile pogrom del 1905. “A Odessa, su una roccia, siede una ragazza sola. / Siede e piange. Siede e piange, / il suo cuore è diventato di pietra / Chiede l’elemosina a tutti”. Parole che allora erano la voce di una minoranza oppressa, oggi risuonano come la voce di una nazione che chiede di non essere lasciata sola. A difendere la propria vita e la propria cultura.

(Nell'immagine in alto, il disegno del fumettista francese Joann Sfar, che in queste settimane ha raccontato con i suoi lavori l'aggressione russa dell'Ucraina)

 

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CINQUE ANNI SENZA SARAH HALIMI, IL RICORDO DEL FIGLIO A PAGINE EBRAICHE

“Questo periodo è sempre il più duro,
ma la nostra battaglia continua”

A cinque anni dall’assassinio di Sarah Halimi, la donna ebrea parigina uccisa il 4 aprile del 2017 da un suo vicino di casa islamico al grido di “Allah akbar”, giustizia “ancora non è stato fatta”. E questo nonostante “perizie, contro-perizie, la mobilitazione senza sosta di tante associazioni”. È quanto evidenzia in queste ore il Crif, il Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche di Francia, sottolineando come la vicenda resti nel suo insieme, da qualunque punto la si guardi, una ferita aperta. Per l’atto barbaro in sé. Ma anche per l’incapacità del sistema di portare l’assassino dove deve stare – in prigione, per sempre – per via dell’impunibilità sancita dalla Corte di Cassazione con una sentenza in cui si afferma che la precedente assunzione di droghe avrebbe determinato, nell’omicida, una temporanea incapacità di intendere e volere. Una sentenza scandalosa per gli ebrei di Francia e per i tanti (Italia inclusa) che hanno protestato nel mondo.
“La battaglia non è finita: ci sono cose che si stanno muovendo, verità che stanno emergendo”, sottolinea il figlio Yonathan a Pagine Ebraiche. “È però ancora prematuro parlarne: tra pochi giorni ci saranno le elezioni, bisognerà vedere in che direzione andrà la Francia. Questa vicenda è infatti non soltanto un dramma familiare ma, oramai, anche un caso politico che coinvolge tutti: nessuno escluso”.
I giorni attorno all’anniversario, prosegue figlio, “sono sempre i più duri dell’anno; per superarli ci aggrappiamo a tutte le emozioni positive che mia madre ci ha lasciato in eredità: il suo amore per la vita, i giovani, i valori spirituali e morali che rendono più ricche le nostre esistenze”. Una sensibilità che ha cercato di trasferire anche in uno dei progetti che sta sviluppando nel suo nome: Ohel Sarah (Tenda di Sarah). Un centro di studi e aggregazione con sede a Haifa e rivolto a chi dalla Francia ha appena scelto di emigrare in Israele. “Sono una trentina le famiglie servite da Ohel Sarah, più varie decine di studenti. Diversi dei quali frequentano il Technion, con cui abbiamo un rapporto stretto di cooperazione. Il nostro scopo – spiega Yonathan – è quello non farli sentire soli, di assisterli nel loro percorso di integrazione in questa nuova realtà”.
Dalla Francia arrivano intanto nuove notizie drammatiche: la morte in febbraio di un giovane ebreo parigino travolto da un tram, Jeremy Cohen, avrebbe avuto origine dal suo tentativo di mettersi in salvo da un’aggressione. Di stampo antisemita, sostengono i suoi cari. Circola in tal senso un un video terribile, che la famiglia ha chiesto di rimuovere con urgenza dai media e dalla rete.

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IL PROGETTO "MEMORIA A PIÙ VOCI"

I pluralismi d’Europa e la musica che unisce

Sensibilizzare la società civile per abbattere preconcetti e pregiudizi sui rispettivi mondi di riferimento è uno degli obiettivi del progetto “Memoria a più voci” avviato da Unione Giovani Ebrei d’Italia e Unione Comunità Romanès in Italia.
Cinque incontri in tutto, con la collaborazione tra le altre dell’Università La Sapienza di Roma sede fisica dell’iniziativa, affinché il ricordo dei drammatici avvenimenti del Novecento “sia sempre più un valore attivo della nostra società, al fine di maturare consapevolezze che si tramutino in azioni concrete, per tessere la trama di un futuro più virtuoso”. Tema dell’incontro odierno, il secondo della serie, è stato “Pluralismi d’Europa”.

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L'INCONTRO CON LE SCUOLE DI LIVORNO

Lotta all’antisemitismo, i ragazzi protagonisti

Cinquecento studenti delle scuole livornesi Bartolena tra i protagonisti del nuovo appuntamento del ciclo di incontri “Un calcio al razzismo e all’antisemitismo” ideato dalle professoresse Anita Monica Leonetti e Silvia Bianchi con il sostegno, tra gli altri, della Comunità ebraica locale.
Al teatro cittadino Goldoni i ragazzi hanno appreso in particolare di Massimo Tosti, carabiniere eroe che al tempo della Shoah si prodigò per salvare la vita a un gran numero ebrei perseguitati e la cui storia è raccontata nel libro “A testa alta” scritto da Giuseppe Altamore attingendo dalle memorie ritrovate di recente dalla nipote Antonella. A portare i saluti della città il sindaco Luca Salvetti, il prefetto Paolo D’Attilio, l’ammiraglio Flavio Biaggi comandante dell’Accademia Navale.
Tra gli intervenuti anche il presidente della Comunità ebraica livornese Vittorio Mosseri, che ha ribadito il valore della Memoria “in funzione di vigilanza su un futuro senza discriminazioni” e consegnato alcuni riconoscimenti per l’impegno profuso alla sensibilizzazione contro l’antisemitismo e in favore del dialogo alla professoressa Leonetti, al colonnello Massimiliano Sole, comandante provinciale dell’Arma dei Carabinieri, e alla famiglia Tosti. 

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LA CERIMONIA A TORINO

Zeved ha Bat, emozioni in sinagoga

Uno Zeved ha Bat, la cerimonia ebraica dell’attribuzione del nome ad una bambina, ha richiamato l’attenzione del pubblico al Tempio di Torino dove si è svolta, sia per la cerimonia in sé, ricca di canti suggestivi, sia per le importanti derashot di cinque rabbini intervenuti per allietare l’evento: rav Alberto Somekh, rav Riccardo Di Segni, rav Ariel Di Porto, rav Luciano Caro e rav Ariel Finzi. L’occasione è stata la nascita, quaranta giorni fa, della piccola Costanza Lia Gaudiano Disegni.
A spiegare tra gli altri il significato e le origini di questa cerimonia è stato il rav Di Porto, che di Torino è il rabbino capo, intervenendo prima che il nome venisse imposto alla piccola e oltre a ciò le venisse anche impartita la benedizione di rito.
“La cerimonia dello zeved ha-bat (dono della figlia) – ha esordito il rav – è stata introdotta in un periodo abbastanza recente (anche se antichi Siddurim ne riportano il testo), e, al pari del bat mitzwah, ha subito una evoluzione significativa nelle ultime generazioni, parallelamente allo sviluppo dell’educazione femminile. Le fonti talmudiche narrano solamente della piantagione di un albero nel momento in cui nasceva una bambina, albero dal quale sarebbero stati ricavati i pali sui quali sarebbe stata stesa la sua chuppah”. 

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IL CORDOGLIO DEGLI ITALKIM

Hanna Sereni (1926-2022)

È scomparsa a 95 anni Hanna Sereni. A darne notizia i Comites di Gerusalemme e Tel Aviv, esprimendo il proprio cordoglio alla famiglia. Sereni era nata a Roma il 4 luglio del 1926. I suoi genitori, Enzo Sereni e Ada Ascarelli, sono stati tra i simboli del sionismo italiano. Nel 1927, con Hanna ancora piccola, decisero di fare l'Aliyah. E così dal 1927 la famiglia si trasferì nell'allora Palestina mandataria, dando vita al celebre kibbutz Givat Brenner. Nel 1944, a diciotto anni, Hanna servirà come telegrafista nel Palmach, la forza di combattimento regolare del Yishuv. Nello stesso anno il padre Enzo si fa paracadutare nel Nord Italia per combattere i nazisti e cercare di aiutare gli ebrei perseguitati. Viene però catturato e deportato a Dachau, dove viene assassinato.
In quegli anni, Hanna e la madre Ada proseguono il loro impegno per portare in salvo gli ebrei in Eretz Israel. Hanna partecipa ad esempio alla spedizione della nave Yehiam che nel marzo 1948 riesce a far sbarcare nel porto di Haifa centinaia di profughi ebrei. Con la costituzione dello Stato d'Israele, diventa la prima telegrafista della base della Marina Militare israeliana a Tel Aviv.

(Foto dall'archivio del kibbutz Givat Brenner)

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L'Anpi e la deriva della coscienza
L'Anpi non crede alle immagini del massacro di Bucha e invoca una inchiesta indipendente. Il massacro, gli ucraini, se lo sarebbero auto-inferto.
La guerra in Ucraina sta mettendo a dura prova la nostra capacità di comprensione. A Putin, che non è certo comunista, stanno facendo da cordone di sicurezza antichi comunisti filo-sovietici, in nostalgico ricordo dei bei tempi andati, oltre ad amici di altri tempi e sovranisti vari. Un bel miscuglio di interessi, di distorsioni logiche e di disumanità. Che ci si mettesse però anche l'Anpi nostrana è segno di tempi tristi, di smemoratezza delle tragedie passate della nostra storia e drammatica deriva della coscienza. L'Anpi non è più degna della sua storia, e questo è un ulteriore scandalo dei nostri tempi amari.
Dario Calimani
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La ragione scompare
Nel film “La Signora Scompare”  (The Lady vanishes) completato prima dell’accordo di Monaco del 1938 (James Chapman, Hitchcock and the spy film, Tauris, London - N.Y., 2018, p. 118) quando un treno è assediato dall’esercito in uno Stato dell’Europa centrale, troviamo questo dialogo:
"Mr.Todhunter: non sarà una festa, non credo nel combattimento Caldicott: Pacifista, eh? I primi cristiani ci provarono e vennero buttati ai leoni".
Emanuele Calò
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Verso l'orizzonte di una guerra globale 
Effetto inevitabile della spietata guerra di Putin e della tenace Resistenza ucraina è una progressiva polarizzazione degli schieramenti politici internazionali e, con la crescita di una frattura che già oggi appare insanabile, l'assottigliarsi dei margini di una possibile (ma in realtà sempre più impossibile) intesa fra le parti. Con l'ulteriore conseguenza della trasformazione di molti analisti e commentatori in altrettante Cassandre, poiché è davvero difficile se non impossibile prevedere evoluzioni positive davanti a un orizzonte così cupo.
David Sorani
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