Cinque anni senza Sarah Halimi
“Questa settimana la più dura,
ma la nostra battaglia continua”

A cinque anni dall’assassinio di Sarah Halimi, la donna ebrea parigina uccisa il 4 aprile del 2017 da un suo vicino di casa islamico al grido di “Allah akbar”, giustizia “ancora non è stata fatta”. E questo nonostante “perizie, contro-perizie, la mobilitazione senza sosta di tante associazioni”. È quanto evidenzia in queste ore il Crif, il Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche di Francia, sottolineando come la vicenda resti nel suo insieme, da qualunque punto la si guardi, una ferita aperta. Per l’atto barbaro in sé. Ma anche per l’incapacità del sistema di portare l’assassino dove deve stare – in prigione, per sempre – per via dell’impunibilità sancita dalla Corte di Cassazione con una sentenza in cui si afferma che la precedente assunzione di droghe avrebbe determinato, nell’omicida, una temporanea incapacità di intendere e volere. Una sentenza scandalosa per gli ebrei di Francia e per i tanti (Italia inclusa) che hanno protestato nel mondo.
“La battaglia non è finita: ci sono cose che si stanno muovendo, verità che stanno emergendo”, sottolinea il figlio Yonathan a Pagine Ebraiche. “È però ancora prematuro parlarne: tra pochi giorni ci saranno le elezioni, bisognerà vedere in che direzione andrà la Francia. Questa vicenda è infatti non soltanto un dramma familiare ma, oramai, anche un caso politico che coinvolge tutti: nessuno escluso”.
I giorni attorno all’anniversario, prosegue figlio, “sono sempre i più duri dell’anno; per superarli ci aggrappiamo a tutte le emozioni positive che mia madre ci ha lasciato in eredità: il suo amore per la vita, i giovani, i valori spirituali e morali che rendono più ricche le nostre esistenze”. Una sensibilità che ha cercato di trasferire anche in uno dei progetti che sta sviluppando nel suo nome: Ohel Sarah (Tenda di Sarah). Un centro di studi e aggregazione con sede a Haifa e rivolto a chi dalla Francia ha appena scelto di emigrare in Israele. “Sono una trentina le famiglie servite da Ohel Sarah, più varie decine di studenti. Diversi dei quali frequentano il Technion, con cui abbiamo un rapporto stretto di cooperazione. Il nostro scopo – spiega Yonathan – è quello non farli sentire soli, di assisterli nel loro percorso di integrazione in questa nuova realtà”.
Dalla Francia arrivano intanto nuove notizie drammatiche: la morte in febbraio di un giovane ebreo parigino travolto da un tram, Jeremy Cohen, avrebbe avuto origine dal suo tentativo di mettersi in salvo da un’aggressione. Di stampo antisemita, sostengono i suoi cari. Circola in tal senso un un video terribile, che la famiglia ha chiesto di rimuovere con urgenza dai media e dalla rete.
“I suoi familiari hanno preso contatto con noi, la famiglia di Sarah. Volevano suggerimenti su cosa fare, come agire, a chi rivolgersi. È tutto così straziante, angosciante”, commenta Yonathan.
Per Halimi la Francia ha ancora molta strada da fare per affrontare consapevolmente una minaccia troppo spesso sottovalutata come quella dell’antisemitismo. Ma non è chiudendo gli occhi, conclude, “che potrà risolvere questo problema”.

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