“Ucraina, vite e cultura sotto attacco
Il mondo si mobiliti per difenderle” 

Bucha, Irpin, Borodyanka. Questi luoghi sono diventati tragicamente famosi in queste ore perché teatro della più efferata violenza russa contro il popolo ucraino. “In molte città delle zone intorno a Kiev, Chernihiv e Sumy, gli occupanti hanno fatto cose che la gente del posto non aveva visto nemmeno durante l’occupazione nazista ottant’anni anni fa. Gli occupanti si assumeranno sicuramente la responsabilità di tutto ciò”, ha dichiarato il presidente ucraino Volodomyr Zelensky in riferimento ai massacri commessi dai russi. In questo quarantunesimo giorno dall’inizio dell’invasione, parlando all’emittente nazionale, Zelensky ha chiesto giustizia. “Verrà il momento in cui ogni russo saprà tutta la verità su chi dei suoi concittadini ha ucciso. Chi è stato quello che ha dato l’ordine di uccidere. Chi ha chiuso gli occhi di fronte all’omicidio. Lo faremo sapere a tutto il mondo. Siamo nel 2022 e abbiamo molti più strumenti di quelli che avevano a disposizione quelli che hanno inchiodato alle loro responsabilità i nazisti dalla seconda guerra mondiale”. Inchiodare dunque Mosca per i suoi crimini commessi contro civili inermi così come per il tentativo di distruggere un intero paese, la sua umanità come la sua storia. “Stiamo affrontando non solo un attacco all’Ucraina, ma un attacco alla nostra cultura” ricordava all’inizio dell’invasione la direttrice del museo dell’Arsenale Mystetskyi Olesia Ostrovska-Liuta. Anche i luoghi della cultura sono infatti stati presi di mira dagli attacchi dei soldati di Vladimir Putin.
A Mariupol da metà marzo teatri, musei, edifici storici sono stati sbriciolati, insieme all’umanità che vi cercava rifugio. A fine mese ad essere colpita è stata la Memoria della strage di Drobytsky Yar, nei pressi di Kharkiv, dove la grande menorah che la ricorda è stata danneggiata. Stessa sorte negli stessi giorni per la sinagoga corale di Kharkiv, i cui vetri sono stati distrutti da una granata. I membri della comunità hanno cercato di proteggere l’edificio per quanto possibile e posizionato attorno sacchi di sabbia. “La Sinagoga Corale è riuscita in qualche modo a sopravvivere alle macchinazioni di uno stato ateo antisemita (come quello sovietico), ma ora affronta una nuova minaccia esistenziale: il bombardamento indiscriminato dei ‘liberatori’ russi” scrive il critico d’arte Konstantin Akisha, che a Pagine Ebraiche lancia un accorato appello: “salviamo il patrimonio culturale ucraino, è un patrimonio che appartiene all’umanità intera”. Lo dice con voce strozzata, mentre pensa ai suoi concittadini e rievoca la sua infanzia a Kiev. Ricorda il quartiere Podil, “dove è nata Golda Meir”, dove sorge una delle principali sinagoghe della capitale. Con dolore e frustrazione, da Budapest dove lavora, afferma che “di fronte a questo orrore a noi lontani non resta che gridare” per chiedere aiuto per l’Ucraina. E mantenere alta l’attenzione sui tanti distruttivi effetti di un’invasione che sta cancellando migliaia di vite umane e allo stesso tempo i loro luoghi e le loro radici. Tra cui quelle ebraiche, profondamente legate alla storia ucraina, come si racconta nel dossier di Pagine Ebraiche di aprile, attualmente in distribuzione, dedicato all’Ucraina ebraica.
Nel bene, con la vitalità espressa da una comunità che ha saputo produrre dal Baal Shem Tov a Isaac Babel, da Nachman di Breslav a Sholem Aleichem. E nel male, con i pogrom, la collaborazione con i nazisti, l’oppressione antisemita del regime sovietico. Una violenza che il mondo ebraico non ha dimenticato. Anzi ha trovato modi diversi per esorcizzarla, come testimoniano i versi richiamati da Joann Sfar in una sua recente illustrazione. Il fumettista francese, ucraino per parte materna, disegnando una donna con i colori dell’Ucraina, le fa cantare la canzone yiddish In Odes af a shteyn (A Odessa su una pietra). Una canzone sul terribile pogrom del 1905. “A Odessa, su una roccia, siede una ragazza sola. / Siede e piange. Siede e piange, / il suo cuore è diventato di pietra / Chiede l’elemosina a tutti”. Parole che allora erano la voce di una minoranza oppressa, oggi risuonano come la voce di una nazione che chiede di non essere lasciata sola. A difendere la propria vita e la propria cultura.

Daniel Reichel

(nell’immagine in alto un disegno dell’illustratore francese Joann Sfar)