Benedetto
Carucci Viterbi,
rabbino
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Chi
comincia una azione meritoria deve portarla a termine; se non la
conclude il suo livello spirituale ne esce intaccato. Lo si impara da
Yehudà, figlio di Giacobbe, che interviene per evitare la morte di suo
fratello Giuseppe ma non lo riporta al padre. Per questo “Yehudà scese
dai suoi fratelli”: i fratelli lo fecero scendere, spiega Rashi, dalla
sua grandezza.
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David
Bidussa,
storico sociale
delle idee
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Stasera
a Milano al Teatro Franco Parenti verrà presentato in anteprima il film
“L’uomo per bene” della regista Vanessa Lapa che racconta la vita
pubblica di Heinrich Himmler, l’architetto del genocidio di milioni di
ebrei, Rom, comunisti, appartenenti a confessioni religiose
minoritarie, omosessuali e dissidenti, attraverso le sue lettere
private, alla moglie, ai figli, all’amante, le fotografie di famiglia,
i diari, i disegni. Perché molti continuano a stupirsi del fatto che il
male non sia prodotto da indivuidui luciferirini, ma da ‘uomini
comuni’, e si ostinano a non voler capire che i carnefici, sono spesso,
se non sempre, gli inquilini della porta accanto?
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L'Occidente unito
contro la Jihad
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l“Un’operazione
fulminea, coordinata dai servizi belgi, dal Mossad e dall’Fbi” quella
compiuta per catturare ad Atene Abdelhamid Abaaoud, il ventisettenne di
origine marocchina a capo della cellula jihadista che voleva seminare
il panico in Belgio. Sul Fatto Quotidiano Leonardo Coen riporta la
notizia: “Il suo nome di battaglia è Abu Omar Soussi (…) un truce
esibizionista: nel marzo del 2014 aveva ‘postato’ su internet un
macabro video in cui si mostrava tracotante al volante di un pick up
che trascinava quattro cadaveri martirizzati, vittime della mattanza
Is. Il mese prima, l’8 febbraio, aveva invece registrato un video su
YouTube: ‘Per tutta la mia vita ho visto colare il sangue dei musulmani
– diceva pescando nel repertorio ampiamente sfruttato della retorica
jihadista – prego che Allah spacchi la schiena di coloro che gli si
oppongono, dei loro soldati e dei loro ammiratori, e che li stermini…’,
propositi che intendeva mettere in atto in questi giorni”.
Memoria. Sulla Domenica del Sole 24 Ore il colloquio con il compositore
e pianista Francesco Lotoro che ha dato vita a “Tutto ciò che mi
resta”, un concerto “con parole, musica e immagini le testimonianze
della musica pensata e suonata nei Campi, e in alcuni casi, per i
campi”. Lo spettacolo andrà in scena lunedì 26 gennaio all’Auditorium
Parco della Musica di Roma, promosso dall’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane e l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica.
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le scuole italiane in polonia
In viaggio per la Memoria
Le
sorelle Andra e Tatiana Bucci e Sami Modiano. Saranno loro le voci che
accompagneranno, con la propria dolorosa quanto fondamentale
testimonianza, i duecento ragazzi delle scuole italiane che in queste
ore prenderanno parte al viaggio della Memoria organizzato dal
ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca con il
supporto dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Il ghetto di
Cracovia, il quartiere ebraico di Kazimierz e il campo di sterminio di
Auschwitz-Birkenau i luoghi al centro del viaggio, a cui
parteciperanno, assieme al ministro dell'Istruzione Stefania Giannini,
il presidente dell'UCEI Renzo Gattegna, il presidente dell’Assemblea
rabbinica italiana e rabbino capo di Genova Giuseppe Momigliano, il
professor Giovanni Maria Flick, presidente onorario del Museo della
Shoah di Roma. Con loro, il Consigliere UCEI e assessore al Bilancio
Noemi Di Segni e il presidente della Comunità ebraica di Firenze Sara
Cividalli.
A
dare un quadro storico dei tragici eventi che misero in moto la
macchina dell'orrore nazista sarà Marcello Pezzetti, direttore
scientifico della Fondazione Museo della Shoah.
Ma sarà la voce dei testimoni Andra, Tatiana e Sami a far comprendere ai giovani la disumanità di Auschwitz.
“A
Sami Modiano e alle sorelle Bucci rivolgo un forte ringraziamento per
l’importante opera di testimonianza che svolgono ogni anno, riportando
le vicende di cui sono stati protagonisti ai nostri ragazzi - ha
dichiarato il ministro Giannini - Il Miur e la scuola italiana sono
fortemente impegnati nei percorsi di educazione alla Shoah per
consentire agli studenti di raccogliere il testimone della memoria. È
un nostro dovere nei confronti del passato e un diritto nei confronti
del futuro”. Il viaggio, che oggi si snoderà nei vicoli della Cracovia
ebraica per poi continuare domani con la visita al campo di Auschwitz,
vedrà tra i suoi momenti salienti la firma del rinnovo del Protocollo
d’intesa e della Circolare per la celebrazione del Giorno della
Memoria.
(Nell'immagine il presidente UCEI Gattegna e il ministro Giannini in partenza questa mattina per la Polonia).
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qui Roma - la mostra al vittoriano-
La fine dell'orrore
“Normalmente
la gente pensa che la liberazione dei campi di sterminio si compia in
un lasso di tempo breve, mentre invece occupa un intero anno, da quando
si aprono i cancelli di Majdanek a quando questo avviene a Mauthausen e
Stuthoff. Ed è tutto fuorché un lieto fine, visto che dei 700mila
prigionieri liberati nel gennaio del ’45 circa 300mila moriranno di lì
a poco”. Correggere le letture distorte, vincere i clichè, cambiare la
percezione dell’opinione pubblica su un tema di straordinaria attualità
come ricorda, questo 27 gennaio, il 70esimo anniversario dalla chiusura
della macchina della morte per antonomasia: Auschwitz-Birkenau.
È la sfida della mostra “La fine dell’orrore. La liberazione dei campi
nazisti” (27 gennaio-15 marzo 2015) con cui la Fondazione Museo della
Shoah di Roma torna a proporsi al pubblico in questa nuova stagione di
Memoria. Ospitata nelle sale del Vittoriano, la mostra è l’ultimo
anello di una catena narrativa che ha visto approfondire, in questi
anni, diversi momenti storici della Shoah e del processo di
annientamento perpetrato a danni delle diverse identità che furono
oggetto di persecuzione. Dall’emanazione delle leggi razziste che già
nel ’38 privarono gli ebrei italiani dei diritti più elementari al
lager di Auschwitz-Birkenau, dall’istituzione dei ghetti nazisti alla
razzia del 16 ottobre al Portico d’Ottavia.
(Nell’immagine, simbolo della mostra, un sopravvissuto russo liberato
dalle truppe americane a Buchenwald identifica una guardia violenta)
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israele
"Hitler, ti ho sconfitto"
Michael
e Marion Mittwochs, oltre ad essere una coppia allitterante e vagamente
adatta a muoversi con grazia in un romanzo per signore, sono la nuova
favola bella della vita vera. I Mittwochs, nati entrambi in Germania
rispettivamente 92 e 90 anni fa, sono scappati in Inghilterra durante
la persecuzione nazista e hanno fatto l’aliyah nella nascente Israele.
Dopo
essersi finalmente incontrati nel kibbutz di Kvutzat Yavne vicino ad
Ashdod, si sono prodigati ad accogliere chi fuggiva dalla sfilacciata
Europa in tempesta e si sono trasferiti in Galilea. Il kibbutz Lavi, di
cui sono fondatori, ha visto il loro matrimonio come la prima di una
lunga serie di unioni e li continua ad ospitare. Insieme hanno avuto
cinque figli che ogni giorno si prodigano per il paese che ha strappato
i genitori dalla deportazione: il secondogenito è professore di
Astrofisica alla prestigiosa università Technion di Haifa mentre la
terzogenita lavora in una scuola di Gush Etzion e si occupa di bambini
che richiedono cure e necessità particolari.
Una
storia come tante che compongono il mosaico d’Israele se non fosse per
un particolare che non ha lasciato indenni da una lacrima sul viso:
martedì scorso a trovare i nonni quasi centenari è arrivato Gadi con
sua moglie Noa ed il loro neonato; il centesimo nipote di Michael e
Marion.
Il piccolo si chiama Dagan Raz e ha preso il nome dal dottor Dagan
Wertman della brigata Golani, compagno di una vita di Gadi, ucciso nel
2009 durante l’Operazione Piombo Fuso.
Il
bisnonno Michael ha accolto il piccolo Dagan con un gran sorriso ed ha
affermato a gran voce: “Questa è la nostra risposta ad Hitler. Ci ha
provato a spazzare via ed ecco che noi portiamo al popolo ebraico un
centesimo nipote”.
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qui livorno
Inciampare nel ricordo
Commozione,
orgoglio, rammarico e dolore. Questi sono i sentimenti che ho provato
davanti a quelle lapidi, piccole, ma di grande significato. Due nomi,
da sempre evocati, di nonna e zio, mai conosciuti ma sempre presenti,
ora sono là davanti alla casa dove abitarono, dove vissero la loro
quotidianità spezzata da una follia. Ho provato questo nel vedere
quelle lapidi. Piccola testimonianza di una tragedia immane, che spesso
viene dimenticata, ridimensionata o, peggio strumentalizzata.
Mario Bueno
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Dieudonné e i rosso-bruni |
Se
si vuole cogliere il senso, neanche troppo sofisticato, ad onore del
vero, delle incestuose contaminazioni tra quello che resta di una certa
sinistra radicale, in questo caso autodefinitasi «anti-imperialista», e
le vecchie e nuove ramificazioni di una destra fascistoide alla ricerca
di un uovo respiro populistico, che trovano nell’antisemitismo un loro
punto di coagulo, la traiettoria del ‘comico’ ed ‘umorista’ Dieudonné è
emblematica.
Poiché, proveniendo dal magmatico arcipelago dell’antirazzismo, spesso
contraddittorio, dal quale ha preso le mosse prima come autore e
attore, poi come politico sui generis, ha raccolto su di sé molti
aspetti della transizione dalla legittima lotta contro il rifiuto della
diversità, laddove quest’ultima è invece intesa come uno stigma
sociale, all’enfatica valorizzazione della ‘differenza’ come tratto sul
quale costruire una piattaforma ideologica di rigetto del
repubblicanesimo francese e, più in generale, europeo.
Altri sono gli aedi culturali di questo mutamento, di un tale
smottamento di pensieri dove alla critica dell’esistente si sostituisce
l’esaltazione di una presunta «identità» il cui fondamento è giocato
esclusivamente sul vittimismo e sulla ripetizione ossessiva del
paradigma del risarcimento: “Siamo stati defraudati, esistiamo perché
abbiamo il diritto ad esercitare la rivalsa” paiono dire all’unisono
costoro. Ma rimane il fatto che il triste figuro, il polemista che
calca le scene, e con successo, del mondo dello spettacolo francese,
abbia dalla sua un pubblico (pagante) che gli intellettuali rosso-bruni
spesso possono solo invidiargli.
Claudio Vercelli
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Charlie e noi |
Ad
una settimana dall’attentato di Parigi, quando tutti erano ‘Charlie’,
emergono ora i ‘non Charlie’, tutti quelli cioè che condannano
l’irriverente satira antireligiosa, tra i quali possiamo annoverare
anche alcune espressioni del Papa.
I ‘non Charlie’ sono in gran parte esponenti dei paesi musulmani, dove
i più estremisti si identificano con i fratelli Kouachi, ma ci sono
anche posizioni meno estreme da parte di giovani musulmani in Europa
che giustificano l’attentato contro i giornalisti in quanto ‘se la sono
cercata’. Tuttavia, ieri come oggi, spicca la debole presenza di coloro
che dicono ‘Je suis Juif,’ e soprattutto di coloro che pongono
interrogativi sull’eventuale colpa degli ebrei di Parigi che andavano a
fare la spesa nel negozio casher. Anche loro forse se la sono cercata?
Riemerge la vecchia storiella della persecuzione dei ciclisti e degli
ebrei in un paese immaginario, dove la popolazione incredula si
domanda: Ma perché i ciclisti?
Sappiamo bene come l’antisemitismo sia un fatto endemico, così
compenetrato nella storia d’Europa che quando viene allo scoperto non
lascia traumi nella collettività dei ben pensanti, in quanto non
riguarda loro, ma solo altri, gli ebrei per l’appunto. E questo è il
grandissimo errore di interpretazione collettiva in quanto bisogna
finalmente capire che chi è antisemita non odia solo gli ebrei ma
soprattutto ogni forma di libertà e di progresso.
Antonella CastelnuovoLeggi
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Nugae - Cuori |
Il
punto è che sono facili da disegnare, dev’essere questo che rende i
cuori così sempre sulla punta della penna. Certo in realtà non vengono
mai simmetrici, ma almeno hanno reso meno tristi quaderni di matematica
pieni di esercizi sbagliati, segnalano la presenza sventurata di un
foglio di carta al momento di una conversazione telefonica lunga, sono
favolosi elementi decorativi sulle pagine dei punti noiosi dei romanzi,
tipo le descrizioni puntigliose di posizioni geografiche o i momenti di
riflessione inopportuni quando si vorrebbe solo sapere se il
maggiordomo è l’assassino. O se anche lui la ama o no.
Ma oltre che ottimi scarabocchi i cuoricini ovviamente sono anche
versatili messaggi. Sono dichiarazioni in mancanza di ars poetica o a
seconda dell’esuberanza del mittente anche apprezzamenti nettamente più
blandi, sono ramoscelli d’ulivo o passe-partout per poter dire
qualunque cattiveria, sono l’apoteosi dell’espressione da femmine o
meri ornamenti di un biglietto d’auguri di compleanno come se così
sembrasse meno anonimo.
Francamente un po’ se ne abusa, rendendo melensa qualsiasi
comunicazione scritta, tanto che volte è pure difficile resistere nelle
proprie ostinate questioni di principio e non farsi travolgere dal
fiume di appiccicume.
Cuori di tutti i colori sono anche appesi, di carta, su cancelli e
porte delle sinagoghe e delle moschee francesi, per iniziativa di
Coexister, un’associazione di cui sono partner praticamente qualsiasi
ministero e istituzione religiosa del paese e che si definisce un
movimento interreligioso dei giovani ebrei, cristiani, musulmani, atei
o agnostici per il vivere insieme puntando tutto su attività di
formazione e sensibilizzazione.
Durante queste settimane tristi della Francia e di tutti, per
manifestare sostegno alla comunità ebraica e a quella islamica e con
l’idea di rispondere “creando ponti anziché erigendo muri”, gli
attivisti dei gruppi locali hanno disegnato, tagliuzzato, formato
ghirlande e appeso con un filetto bianco cuori variopinti. Su cui hanno
anche scritto frasette tenere, niente di troppo filosofico, forse
addirittura eccessivamente zuccherose. Ma in questi giorni alla fine
una notizia dolce è proprio quello che ci vuole.
Francesca Matalon, studentessa di lettere antiche
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