Paolo Sciunnach, insegnante | Memoria
del Significato e Significato della Memoria: il ricordo va scolpito nel
cuore e nella mente, attraverso lo studio e la riflessione, non solo
attraverso l'impatto emotivo delle immagini, dei simboli e delle
cerimonie...
Possiamo circondarci di simboli, di monumenti e di cerimonie, ma questo
non necessariamente scolpirà il Significato di quello che vogliamo
ricordare nel nostro cuore e nella nostra mente. Non dobbiamo solo
ricordare, ma riflettere su cosa ricordiamo, dobbiamo ricordare il
Significato di ciò che commemoriamo. La Memoria è Memoria del
Significato, ma nello stesso tempo è Significato della Memoria.
Il Seder di Pesach ci insegna che la cosa principale non sono i
simboli, ma piuttosto il Significato dei simboli, lo studio della
Haggadah e le domande e le riflessioni delle generazioni future...
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Anna
Foa,
storica |
Ricordati che sei stato schiavo in Egitto.
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Canada, l'attacco
alla moschea
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Sei
persone sono state uccise e altre otto sono rimaste ferite in una
moschea di Quebec City quando alcuni uomini hanno aperto il fuoco su
decine di fedeli riuniti per la preghiera della sera. Un’azione che il
primo ministro canadese Justin Trudeau ha definito “un attacco
terroristico contro i musulmani”. La polizia, che indaga per
terrorismo, ha reso noto che due persone sono state arrestate e che
nulla porta a ritenere che ve ne siano altre in fuga (Repubblica).
L’ordine esecutivo firmato venerdì sera dal presidente Usa Donald
Trump, che ha sbarrato le porte ai rifugiati e ai cittadini di sette
grandi Paesi musulmani, è stato fortemente contestato e messo in dubbio
da ricorsi e sentenze di giudici locali. Il giudice federale di
Brooklyn Ann Donnelly, raccontano Repubblica e La Stampa, ha ordinato
alle autorità di non dare seguito al provvedimento presidenziale per i
cittadini con i documenti in regola provenienti dai Paesi mediorientali
e africani banditi. Sentenze simili sono stata emesse in tutta
l’America, mentre 15 procuratori di 16 Stati hanno definito il bando
“illegale e antiamericano” auspicandone il ritiro.
Su Repubblica alcuni racconti di chi ha subito gli effetti del
provvedimento Trump, da una donna originaria del Sudan, dottoranda in
antropologia a Standford, detenuta per diverse ore dalla polizia alla
famiglia siriana accolta da una comunità ebraica dell’Illinois. “Gli
uomini e le donne della sinagoga Al Shalom di Glencoe, – scrive
Repubblica – che con l’aiuto dell’agenzia RefugeeOne, ha fatto da
sponsor alla famiglia occupandosi di trovarle un posto dove vivere e
raccogliendo attraverso una colletta 60mila dollari per aiutarla nei
primi tempi. ‘Lo abbiamo fatto pensando ai nostri nonni, ai nostri
bisnonni, che sfuggiti all’Olocausto trovada Istanbul rono rifugio in
America’, ha raccontato il rabbino della comunità Steven Stark
Lowenstein al New York Times”.
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dopo il 27 gennaio - la quarta ricerca swg Memoria, numeri per riflettere
Una
Memoria protesa verso il futuro, una Memoria partecipata e condivisa,
una Memoria viva. Il richiamo è arrivato da più parti nei giorni che ci
siamo lasciati alle spalle. Dalle solenni cerimonie istituzionali
all'inaugurazione di mostre, dalle proiezioni di film agli incontri
letterari. Preoccupanti appaiono così i dati che emergono dalla quarta
ricerca sulla percezione degli italiani nei confronti della Memoria curato
dal prestigioso istituto di ricerche SWG con il contributo della
redazione giornalistica dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Dopo la prima
anticipazione del rapporto diffusa su questo notiziario negli scorsi
giorni, analizziamo ora più nei dettagli i risultati di questo lavoro
di ricerca di cui trovate ampia documentazione anche sul numero di
febbraio del giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche.
“I
dati – spiegano i ricercatori di SWG – fanno riferimento alle
rilevazioni condotte nel quadriennio 2014-2017, su campioni
rappresentativi di propri communiter, attraverso rilevazioni cawi
effettuate nel periodo compreso tra il 12 e il 22 gennaio di ogni anno.
I campioni 2014, 2015, 2017 sono composti da 1000 soggetti; il campione
2016 è composto da 1200 soggetti rappresentativi della popolazione
italiana maggiorenne”.
“Le domande sono state inserite all’interno di indagini più ampie che
comprendevano anche altre tematiche di tipo sociale, politico e di
costume.
Obiettivo generale dell’iniziativa è produrre un monitoraggio annuale
della percezione che gli italiani hanno del fenomeno, verificandone la
conoscenza spontanea e sollecitata, la percezione di rilevanza e il
grado di coinvolgimento”.
“La lettura trasversale dei dati – questa l’analisi – evidenzia come,
al di là delle oscillazioni sul ricordo diretto del significato della
data del 27 gennaio, (a questo riguardo va ricordato che il dato 2017
potrebbe essere stato influenzato dalla risalto dato dalla stampa, nei
giorni della rilevazione delle attività promosse dall’UCEI in occasione
delle ricorrenza) il dato tendenziale confermi la progressiva erosione
del significato profondo attribuito a questa giornata”.
Per quanto minoritaria, la percentuale di chi attribuisce a questa
iniziativa un valore unicamente retorico è raddoppiata in quattro anni,
mentre si è sensibilmente ridotta la quota di chi lo definisce
necessario o dovuto.
“Il Giorno della Memoria sta lentamente scivolando verso una accezione
essenzialmente formativa e scolastica, correndo il rischio di essere
vissuto sempre meno come un qualcosa di coinvolgente e significativo.
Un evento ancorato al passato e non all’oggi, che va ricordato per la
sua valenza formativa, ma che rischia di perdere di vitalità rispetto
al presente”.
Il
raddoppio di coloro che pensano che non serva più a nulla è il dato più
inquietante e il vero misuratore della percezione della Memoria da
parte dell’opinione pubblica. Inquietante perché segna un progresso e
si consolida di anno in anno, attribuendo ai rilievi statistici,
operati per quattro anni a una distanza di 12 mesi uno dall’altro, una
credibilità di molto rafforzata. Inquietante perché segna una forte
progressione, raggiunge il raddoppio in 48 mesi e rappresenta ormai
circa un quarto della popolazione.
Da tenere presente anche la crescita dell’affermazione, gravissima,
secondo la quale il Giorno della Memoria servirebbe “solo agli ebrei”.
Dallo zoccolo di partenza del 15 per cento nel 2014 siamo ora al 17 per
cento nel 2017. Un’affermazione che disconosce la realtà dei fatti. La
Memoria, in effetti, serve alla società italiana, alla democrazia, alla
tutela dei valori e dei diritti che ci fanno tutti cittadini e tutti
esseri umani. Gli ebrei non hanno purtroppo bisogno di una legge dello
Stato per ricordare. Interessanti anche i rilievi più specifici che
cercano di identificare i motivi percepiti dell’utilità attribuibile al
Giorno della Memoria. Gli indicatori dimostrano tutti un lieve regresso
e l’affermazione “aiuta a mantenere viva l’attenzione” passa dal 90 per
cento di condivisione all’85 per cento. Ovviamente resta una
larghissima maggioranza di italiani che si sentono coinvolti. Ma si
tratta di un numero che di anno in anno va riducendosi.
Ricordare
è “un atto dovuto”? La percentuale di coloro che condividono questa
affermazione scende dal 45 al 37 per cento. Così come appare in forte
calo l’indicatore di coloro che pensano che si tratti di un atto
“necessario”. In maniera speculare raddoppia (dall’8 al 16 per cento)
chi ritiene che si tratti di un atto “retorico” e chi ritiene (dal 5 al
9 per cento) che si tratti di un atto “inutile”. In sensibile crescita,
ma solo apparentemente in controtendenza, chi ritiene che si tratti di
un atto “formativo”. Relegare al mondo della scuola un valore può
infatti costituire uno dei processi di dissociazione di determinate
categorie di cittadini che non sono più disposte a farsene carico in
prima persona, tendono a negare l’universalità e la quotidianità della
Memoria e preferiscono neutralizzare questo elemento circoscrivendolo
nel contesto delle istituzioni educative.
Secondo
lei gli italiani si sentono, verso la celebrazione del Giorno della
Memoria, molto, abbastanza, poco o per nulla coinvolti? (% al netto dei «non so»)
Chiedere al singolo di interpretare una tendenza presente nella società
in cui vive è una delle strategie disinibitorie più comunemente
utilizzate dai sondaggisti. Attribuire agli altri quello che noi stessi
vorremmo dire ma che siamo restii a dichiarare perché ci vergogniamo a
farlo è la strada più facile per dire quello che davvero abbiamo in
mente. Il campione sociologico interrogato attribuisce alla percezione
collettiva della società italiana un ridotto coinvolgimento nei
confronti delle iniziative istituzionali sulla Memoria. E questo
indicatore è in sensibile ascesa. Il calo della percezione del valore
riguarda tutte le sfumature della percezione (molto, abbastanza, per
niente). Il momento della verità è quando proiettiamo i nostri
sentimenti sulla collettività evitandoci l’imbarazzo di un’affermazione
diretta.
E lei personalmente, quanto si sente coinvolto?
(% al netto dei «non so»)
Ed ecco l’altra faccia della medaglia. Quando, dopo aver espresso in
maniera disinibita la propria opinione attribuendola all’insieme della
società, allo stesso quesito si deve rispondere in prima persona, le
cose cambiano radicalmente. Quando dobbiamo uscire allo scoperto siamo
tutti più civili, o almeno vogliamo cercare di sembrarlo. Ma per
l’analisi sociologica il problema resta. Anche in questo caso, e
nonostante tutto, infatti, la tendenza alla perdita della percezione
del valore della Memoria resta e l’erosione si conferma comunque. Chi
alla vigilia del Giorno della Memoria si sente di affermare apertamente
che percepisce poco o per nulla questa data sale così dal 35 al 42 per
cento in 48 mesi. Chi sostiene di percepirla “molto” cala dal 19 al 14
per cento.
Il
dato forse più difficile da interpretare riguarda la percezione
dell’antisemitismo. Qui il sondaggista che cerca di ottenere
indicazioni credibili non può ovviamente avventurarsi e mettere
l’interrogato di fronte a una domanda diretta. A nessuno viene quindi
chiesto direttamente se si sente antisemita, ma si cerca di far
proiettare al campione sociologico un’immagine da attribuire più
asetticamente all’opinione pubblica in generale. Il problema è molto
complesso e richiederebbe ovviamente indagini più approfondite, mentre
in questo caso viene evocato a margine di un ragionamento sulla
percezione della Memoria.
In ogni caso è possibile notare una tendenza alla crescita graduale di
coloro che tendono a negare sentimenti antisemiti nell’ambito della
società italiana. E tutto ciò di fronte a un’evoluzione che ha lasciato
intendere come in questi ultimi anni la società italiana non potesse
considerarsi completamente esente da tendenze globali molto presenti
soprattutto nell’area europea di una crescita dell’antisemitismo. Un
dato che forse sarebbe azzardato denunciare come negazione
irresponsabile o colpevole della realtà, ma che deve comunque essere
tenuto d’occhio.
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la cerimonia Bologna, apre la nuova sinagoga
"Anche questa è Memoria viva"
“Un
luogo dalla grande vocazione identitaria. Un luogo in cui non solo la
Comunità ebraica, ma la cittadinanza intera ne potrà apprezzarne i suoi
aspetti storico-culturali e lo farà grazie ad un accordo che verrà
stipulato con le Soprintendenza”. Così il presidente della Comunità
ebraica di Bologna Daniele De Paz ha commentato l’inaugurazione del
nuovo Tempio piccolo della sinagoga della città felsinea. Inaugurazione
resa possibile grazie a un lavoro meticoloso svolto fianco a fianco con
due Soprintendenze, Archeologica ed Architettonica, e realizzato alle
maestranze che hanno permesso di raggiungere un risultato di alto
livello, particolarmente significativo in giorni dedicati alla Memoria
viva. Tema che è stato centrale sia negli interventi del presidente De
Paz che in quello del rabbino capo Alberto Sermoneta, che hanno
inaugurato lo spazio insieme ai rappresentanti delle istituzioni.
“Questo tipo di giornate – la riflessione del rav Sermoneta – non
debbono essere intese soltanto come giornate di lutto, bensì di
riflessione sul passato, ma ancor di più sul presente e sul
futuro.Nonostante tutti i popoli avessero voluto la nostra distruzione,
noi ancora esistiamo, manifestando le nostre tradizioni e le nostre
usanze”.
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qui roma - memoria Pitigliani, i giovani ricordano
Nonni, genitori, nipoti insieme. Una formula che funziona, in grado di coinvolgere le generazioni.
Per il sesto anno, Memorie di famiglia è tra i contributi più
significativi offerti dal Centro Ebraico Il Pitigliani per il Giorno
della Memoria.
Una intensa mattinata di letture, da parte di giovanissimi e
adolescenti, che hanno interpretato davanti a un folto pubblico le
testimonianze scritte da loro familiari che hanno vissuto gli anni
delle persecuzioni razziali e della guerra.
“Ogni anno un’esperienza che ci gratifica, che lascia una traccia
profonda in tutti i partecipanti” sottolinea Giordana Menasci, storica
ideatrice e organizzatrice dell’iniziativa assieme ad Anna Orvieto.
Iniziativa che segue il principio ebraico della trasmissione midor
ledor, di generazione in generazione:
Condotta da Nando Tagliacozzo, la giornata è stata arricchita dalla
partecipazione del coro dei bambini Pitigliani Vocal Project, diretto
dalla Maestra Evelina Meghnagi e accompagnato da Emanuele Levi Mortera.
Ad aprire l’iniziativa gli interventi del presidente del Pitigliani
Bruno Sed, della presidente UCEI Noemi Di Segni e del vicepresidente
della Comunità ebraica romana Ruben Della Rocca.
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informazione - international edition Memoria, una sfida nazionale
Come
si commemora il Giorno della Memoria in Italia? Nell’odierna uscita di
Pagine Ebraiche International Edition, i lettori di lingua inglese
possono trovare un senso di come il 27 gennaio viene vissuto nella
Penisola. Sono infatti migliaia gli eventi, da nord a sud, nelle città
più importanti come in centri minori. Sull’edizione internazionale,
spazio alla cerimonia ufficiale che ha avuto luogo a Roma, con il
presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la ministra
dell’Istruzione Valeria Fedeli, e la presidente dell’Unione delle
Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni. Nella Capitale si sono
svolti anche il concerto organizzato all’Auditorium Parco della Musica,
giunto al quarto appuntamento, e la corsa “Run for Mem”, che ha portato
i partecipanti attraverso un itinerario dei luoghi di Memoria della
città.
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Oltremare - Due minuti
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A
me il Giorno della memoria è sempre andato stretto. Troppo cerebrale,
strutturato, tematizzato, sottolineato, a volte perfino gridato.
D'accordo, forse sarebbe complesso, logisticamente parlando, far
risuonare in tutta l'Europa una sirena lunga due minuti alla stessa
ora, anche se i fusi orari non son poi tanti. La gente fermerebbe le
macchine, anche in autostrada, scenderebbe dagli autobus, ascolterebbe
a capo chino. Il ricordo del peggiore sterminio del terribile Novecento
europeo, anche per i tanti che non hanno nessuno di famiglia da
ricordare, nessun albero genealogico abbattuto dai nazisti o dai
fascisti, diventerebbe qualcosa di palpabile. Stare in piedi in un
luogo qualunque della strada quotidiana fra casa e lavoro, o con i
sacchetti della spesa che tagliano le mani, e fermarsi immobili con
intorno altri sconosciuti per quei due minuti, con la consapevolezza
che tutti, proprio tutti sono fermi in quello stesso momento in tutto
il continente, aiuterebbe forse anche gli europei meno coinvolti, meno
propensi alla memoria, a lasciarsi contagiare. La memoria è contagio, è
qualcosa di quasi telepatico, che se tocca i nervi giusti non ha quasi
bisogno di essere verbalizzata. E forse nella corsa all’ultimo
testimone, questa generazione sta perdendo la capacità di vivere la
memoria come un sentimento. Quando noi in Israele ci fermiano (fermiamo
un intero paese di otto milioni di persone) per ricordare, nessuno
interroga i propri compagni di silenzio su quante nozioni sa sulla
Shoah. Certo, noi siamo il paese del post-Shoah, ma non si creda che
ogni liceale sappia recitare i nomi dei campi di sterminio o le tappe
della democratica salita al potere di Mussolini o di Hitler. Se la
memoria della Shoah diventasse il perno sul quale far girare la
coscienza del continente europeo, non avrebbe bisogno di tanta pompa
magna. Sarebbe un memento chiaro e fermo al presente, e un freno ad
ogni deriva populista ed anti-democratica. Finchè resta solo una
giornata di interrogazione alla lavagna con gli intellettuali che danno
i voti alla fine della lezione, fa meno della metà del suo lavoro.
Daniela Fubini, Tel Aviv
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Analisi scorretta - L'uomo forte
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La
settimana scorsa su “La Repubblica” il sociologo Ilvo Diamanti ha
illustrato una ricerca condotta per il quotidiano romano alla metà del
mese di novembre 2016. Tre settimane prima del giorno in cui si è
svolta la consultazione popolare sulle proposte di modifica
costituzionale di Matteo Renzi.
Il risultato della ricerca è interessante ma anche inquietante, anzi direi doppiamente inquietante.
Ben il 79% del campione intervistato (con un margine di errore del
3,5%) afferma di essere moltissimo o molto d’accordo sulla necessità di
un “Uomo forte” alla guida dell’Italia
La prima inquietudine viene naturalmente dal risultato della ricerca.
L’esperienza degli uomini forti si sa bene come di solito va a finire,
anche se non mancano esempi di uomini forti democratici, come Churchill
o i due presidenti Roosevelt.
Diamanti spiega la richiesta dell “Uomo forte” con i “personalismi” non
solo in politica; con la fine dei partiti tradizionali;
l’identificazione dei cittadini con un leader e non ultimo il
fallimento della politica intesa come gestione del bene comune che ha
disilluso moltissimi elettori ormai pronti ad affidarsi ad un uomo solo.
La seconda inquietudine è determinata dal momento temporale in cui è
stata effettuata la rilevazione, proprio nel mezzo della campagna
referendaria. La proposta di modifica costituzionale è stata accusata
di essere antidemocratica e che avrebbe condotto ad un “uomo solo al
comando”; di essere centralista e distruttiva delle prerogative degli
Enti Locali e del Senato.
Anselmo Calò
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