
Elia Richetti,
rabbino
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Dopo
la guerra contro Midyàn, il Kohèn Gadòl El’azàr (figlio di Aharòn) si
rivolge ai combattenti insegnando loro come casherizzare gli oggetti
presi in bottino. Ma la stranezza è che il testo, anziché dire che egli
si rivolse ai combattenti che “venivano dalla” guerra, dice “che
venivano in” guerra.
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Sergio
Della Pergola,
Università
Ebraica
di Gerusalemme
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Nel
tardo medioevo, espulsi dall’Inghilterra, dalla Francia, dalla Spagna e
dal Portogallo, da parti dell’Italia e della Germania, gli ebrei
trovavo spesso rifugio più a est, in Polonia, in Lituania, in quelle
che sarebbero poi divenute la Bielorussia e l’Ucraina. In quelle terre
meno sviluppate rispetto alle regioni dell’Europa occidentale, ma più
ospitali, sarebbe iniziato un percorso di diversi secoli di crescita
demografica e di consolidamento delle tradizioni dell’ebraismo
ashkenazita. Le popolazioni dell’Europa orientale non erano proprio
filosemite, ma per molte generazioni gli ebrei poterono per lo meno
sopravvivere e moltiplicarsi. Oggi il governo di Israele, maltrattato
se non dalla popolazione, per lo meno dalla politica e dai media in
Europa occidentale, cerca una parola di comprensione e di appoggio nei
paesi ex-filo-sovietici. Vediamo così il Primo ministro in cordiale
colloquio con il leader ungherese Orban oltre che con i capi dei
governi della Repubblica Ceca, della Slovacchia e della Polonia.
Succede così a volte che il dilemma è se scegliere fra quelli che sono
contro Israele e quelli che sono contro gli ebrei. Perversa circolarità
della storia ebraica.
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"Meis, una priorità"
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In
visita a Ferrara, il Presidente del Consiglio Gentiloni ha sottolineato
il ruolo centrale del Museo dell’Ebraismo Italiano e della Shoah (Meis)
tra i progetti portati avanti dal governo italiano, come raccontano i
quotidiani locali (Resto del Carlino e Nuova Ferrara). “Il nuovo
progetto di riqualificazione del quartiere della Darsena di Ferrara, in
cui è centrale il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah,
è tra le priorità del governo e rappresenta il perno del nostro piano
di rammendo urbano delle periferie italiane”, ha dichiarato Gentiloni.
“L’abbiamo invitato all’inaugurazione ufficiale della mostra che, a
dicembre, segnerà una tappa rilevantissima nella realizzazione del
Museo”, ha spiegato al Resto del Carlino Dario Disegni, presidente
della Fondazione Meis, che si è trattenuto col premier, assieme alla
direttrice Simonetta Della Seta, davanti al plastico dell’edificio,
così come verrà completato nel 2020. L’invito è per il 13 dicembre
prossimo, quando ci sarà l’apertura della mostra sui primi mille anni
di presenza ebraica in Italia. La presenza di Gentiloni a Ferrara ha
segnato uno dei momenti di lavoro della redazione dell’Unione delle
Comunità Ebraiche Italiane, presente a Ferrara con il laboratorio
giornalistico Redazione Aperta, che, nella città estense, è stato
organizzato in collaborazione proprio con il Meis.
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qui ferrara - redazione aperta Gentiloni in visita alla Darsena:
"Meis, una priorità del governo"
“Il
nuovo progetto di riqualificazione del quartiere della Darsena di
Ferrara, in cui è centrale il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e
della Shoah – MEIS, è tra le priorità del governo e rappresenta il
perno del nostro piano di ‘rammendo urbano’ delle periferie italiane”.
In visita ieri al capoluogo estense, il Presidente del Consiglio Paolo
Gentiloni ha chiaramente indicato nel MEIS il pezzo forte del programma
che, in qualche modo ideato a suo tempo dall’archistar Renzo Piano,
impegna ora il Comitato Interministeriale per la Programmazione
Economica a finanziare per 18 milioni di euro – “in arrivo in
settembre”, ha assicurato – il Comune di Ferrara.
Risorse che, tra lavori di urbanizzazione e infrastrutturazione (piste
ciclabili e parcheggi, reti fognarie e del gas, impianti di
illuminazione), serviranno a “ricucire” tra loro molti elementi
dell’area cittadina affacciata su un ramo del Po, con la “Porta del
MEIS” a collegare, attraverso le Mura, il fiume, il nascente Museo e il
centro storico.
“È un pezzo di città che torna a vivere” – ha affermato il premier a
Palazzo Savonuzzi, mentre il sindaco Tiziano Tagliani e l’architetto
Davide Tumiati, dirigente della Pianificazione territoriale, gli
illustravano il dettaglio del maxipiano, su cui l’Amministrazione punta
molto per elevare la qualità urbanistica, estendere la rete dei
collegamenti viari e contrastare la conflittualità e l’insicurezza
dell’area. Le attese sono appuntate soprattutto sul MEIS, ma a
contribuire al risultato finale saranno anche un deciso impulso al
verde pubblico, la riqualificazione dell’area camper dell’ex MOF
(mercato ortofrutticolo), dove dovrebbe trovare spazio pure la nuova
caserma della Polizia Municipale, e la sede del Cus canottaggio.
Se
Gentiloni ha manifestato un generale apprezzamento per questo disegno,
si è detto particolarmente colpito dal fatto che il primo lotto del
MEIS sia ormai giunto a compimento, come ha sottolineato il presidente
del Museo Dario Disegni, presente al blitz del premier insieme alla
direttrice, Simonetta Della Seta: “Abbiamo invitato Gentiloni – ha
spiegato Disegni davanti al plastico che mostra come il MEIS diventerà
nella sua veste definitiva, nel 2020 – all’inaugurazione ufficiale
della mostra sui primi mille anni di presenza ebraica in Italia che, il
13 dicembre, segnerà una tappa fondamentale nella realizzazione del
Museo”.
E con la collaborazione del MEIS, non a caso proprio dalla Darsena di
San Paolo la redazione UCEI è salpata l’altro giorno nell’ambito
dell’agenda di “Redazione Aperta”, il laboratorio giornalistico giunto
quest’anno alla nona edizione. Attraverso un insolito itinerario
fluviale, i giornalisti di “Pagine ebraiche” hanno potuto scoprire il
territorio ferrarese giungendo fino alla delizia estense di Villa
Mensa. La prima di una serie di iniziative che il Museo intende
rivolgere al pubblico, ponendosi come punto di accesso privilegiato – e
sempre più sicuro e qualificato – alla città e ai suoi tesori.
Daniela Modonesi
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gadi piperno ottiene il titolo Un nuovo rav per l'Italia ebraica
Una
settimana intensa questa al Collegio rabbinico italiano. Dapprima gli
esami annuali dei diversi corsi, quello medio (Maskil e Bagrut) e il
corso superiore, in cui numerosi allievi e allieve hanno sostenuto con
successo e in alcuni casi molto brillantemente le prove scritte e
orali; poi il titolo di Bagrut assegnato a Grazia Gualano e infine,
ieri, il titolo di Chakham (Rabbino Maggiore) a Gadi Piperno, dopo un
lungo esame orale durato tutta la giornata a coronamento di un percorso
impegnativo di diversi anni. Alla presenza della commissione composta
dal direttore rav Riccardo Di Segni, da rav Alberto Piattelli,
rappresentante della Presidente dell’Ucei, da rav Alfonso Arbib, membro
della consulta rabbinica, e dai docenti di Talmud e Halakhà i rabbanim
Gad Eldad, Beniamino Goldstein e Ron Klopstock, Gadi ha esposto i libri
biblici di Ezrà e Nechemià, da lui scelti per l’esame finale,
evidenziando fra l’altro alcune analogie fra il ritorno a Sion dopo
l’esilio babilonese e il movimento sionista del Novecento, per passare
poi alla discussione di un brano del Talmud del trattato di Ketubbot
riguardo ai diritti della moglie. A seguire l’esposizione di risposte
su quesiti halakhici posti al candidato una settimana prima sulle
regole dello Shabbat, sul diritto matrimoniale e su alcune complessità
poco note del divieto di prestare a interesse. Dopo la pausa pranzo ci
si è avviati alla conclusione dell’esame, alla presenza di numerosi
ospiti nel frattempo sopraggiunti, parenti, amici e autorità, fra cui
la presidente dell’Ucei Noemi Di Segni, la presidente della Comunità
ebraica di Roma Ruth Dureghello, il direttore del Progetto Talmud
Clelia Piperno, il decano dei rabbini italiani rav Vittorio Chaim Della
Rocca e suo figlio rav Roberto Della Rocca, direttore del Dec, in cui
Gadi svolge un ruolo fondamentale soprattutto per l’ebraismo del
sud-Italia, e Riccardo Pacifici, attualmente presidente del Bet
Michael, il bet hakeneset che Gadi ha guidato per diversi anni. La
sessione pomeridiana è iniziata con la discussione della Tesi, dedicata
a rav David Pardo, una delle glorie rabbiniche dell’ebraismo italiano
dei secoli scorsi; Gadi ha poi esposto alla commissione cosa si
proporrebbe di fare per individuare e risolvere le criticità
dell’ebraismo italiano e infine si è cimentato in una prova di derashà,
discorso pubblico, sul divieto della maldicenza, rilevando quanto sia
importante parlarne oggi, in un momento in cui i social network
alimentano a dismisura questo problema.
Gadi ha ricevuto il massimo dei voti, 110/110 con una speciale menzione
per la Tesi. Chazaq weematz! “Che tu possa studiare e insegnare,
osservare e mettere in pratica e rendere grande la Torah”.
Gianfranco Di Segni,
coordinatore del Collegio rabbinico italiano
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i lavori della commissione jo cox Boldrini, appello contro l'odio:
"Agiamo prima che ci travolga"
“C’e
in Italia, come in Europa, una piramide dell’odio che si fonda su uno
strato di stereotipi negativi, rappresentazioni false dei fenomeni
sociali e si diffonde a macchia d’olio grazie ad un linguaggio ostile
sempre più normalizzato e banalizzato: contro tutto questo dobbiamo
reagire prima che l’onda di piena dei portatori di odio ci travolga”.
Così la Presidente della Camera Laura Boldrini nell’intervento tenuto
in occasione della presentazione dei lavori conclusivi della
Commissione sull’intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni
di odio che porta il nome della deputata inglese Jo Cox, uccisa poco
più di un anno fa.
Intervenendo ieri a Latina, all’intitolazione del parco cittadino alla
memoria dei giudici Falcone a Borsellino, la Presidente Boldrini aveva
sottolineato: “Educare alla legalità significa il rispetto degli altri,
del bene comune, amare il proprio Paese, difendere la Patria,
trasmettere i valori della nostra Costituzione che è il frutto più alto
della resistenza al fascismo. Voglio ricordare qui a Latina che
l’apologia del fascismo è un reato”. Leggi
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BARTALI IL GIUSTO, CONFUSIONE SUL WEB
Le ragioni della ricerca storica
e la smania di visibilità
“Il
grande ciclista italiano Gino Bartali salvò davvero degli ebrei durante
la Shoah”? Se lo chiede l’ex direttore della Fondazione Cdec Michele
Sarfatti, in un testo apparso in inglese sulla testata web The Tablet.
Un intervento destinato a far discutere e che sembra voler gettare
un’ombra sui lavori della commissione dei Giusti dello Yad Vashem, che
ha riconosciuto il ciclista come tale nel 2013 e che ha tra i suoi più
autorevoli componenti il demografo Sergio Della Pergola.
Il testo lancia l’attacco a Bartali e alla Commissione del prestigioso
istituto israeliano prendendo praticamente come unico riferimento un
libretto del 1978, opera del giornalista Alexander Ramati, che racconta
la Assisi “underground”: e cioè la rete di assistenza clandestina che
fece del Comune umbro un luogo di salvezza per numerosi perseguitati,
in particolare ebrei, con il coinvolgimento tra gli altri proprio di
Bartali. Come noto a chi si è addentrato in questa vicenda in modo non
superficiale, la testimonianza più fragile e meno attendibile su quei
giorni. Dimentica però che da allora molte cose si siano mosse, diversi
cassetti si siano aperti, alcuni testimoni rimasti nell’ombra siano
usciti allo scoperto in modo inconfutabile. Ma di questo l’articolo non
fa menzione, limitandosi ad attaccare il facilmente attaccabile Ramati
e trascurando la significativa mole di materiale su Ginettaccio che è
stato possibile portare all’attenzione della più autorevole e credibile
istituzione al mondo ad occuparsi oggi di Shoah.
Manca ad esempio ogni riferimento alle numerose vicende inedite
ricostruite dal giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche negli
scorsi anni. Vicende che, da scoop giornalistici che hanno fatto
parlare i quotidiani di mezzo mondo, sono presto diventate
testimonianze concrete, pagine vive di Memoria consegnate ai funzionari
del Memoriale e poi approfondite dai diversi team di lavoro incaricati
di sgombrare scientificamente il campo da ogni possibile dubbio e
incongruenza.
Su tutti la vicenda di Giorgio Goldenberg, un ebreo fiumano che a
Pagine Ebraiche (dicembre 2010) ha raccontato di essere stato nascosto
dal campione di Ponte a Ema in un appartamento di sua proprietà a
Firenze in compagnia della sorellina, del cugino e dei genitori. “Se
sono vivo lo devo a Bartali” ci aveva raccontato Goldenberg, da poco
scomparso, che allo Yad Vashem si è presentato poche settimane dopo sia
con una deposizione scritta che con diverse prove documentali di questa
pagina di coraggio.
Era stato proprio il giornale dell’ebraismo italiano, nella primavera
del 2010, a lanciare una campagna di sensibilizzazione e nuova
documentazione sul Bartali meno conosciuto. Mancavano allora prove
certe, inoppugnabili, qualcosa che mettesse d’accordo tutti i membri
della Commissioni.
Il lavoro giornalistico della redazione, supportato tra gli altri
dall’attività di Sara Funaro, psicologa e oggi assessore al Comune di
Firenze, ha poi lasciato il testimone a quello portato avanti dagli
storici e dai membri della Commissione.
E così, grazie anche a questo impegno, qualche lacuna è stata colmata.
Checché ne dicano oggi gli accademici ansiosi di ottenere visibilità
anche al costo di ricorrere alla faciloneria e alla facile emotività
propagata dal sistema dell’informazione e dei social network.
as Leggi
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Setirot
- Che cosa chiediamo
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Triste
constatazione: da anni, ormai decisamente troppi, chiediamo alla
galassia musulmana di affrontare in prima persona, di petto, con forza
il proprio “scandalo”, ovvero l’orrore assassino con cui una
(fortunatamente) piccola porzione di quel mondo va insanguinando il
presente della Storia. Qualcosa, certo, si è mosso, ma non abbastanza.
E così, se da un lato noi continuiamo a chiedere all’Islam una maggiore
incisività nella lotta al proprio interno contro i terroristi, i
fanatici, i predicatori di morte, dall’altro lato guardiamo con enorme
preoccupazione e – perché no? – un angosciante senso di déjà vu
l’aumentare del clima razzista anti straniero/migrante/diverso
fomentato gaglioffamente da chi cerca consenso e voti soffiando sulla
esasperazione.
Non bastano, giustamente, le voci di intellettuali e capi spirituali
che gridano nel deserto la loro condanna. Non bastano i casi di
famiglie e compagni di moschea che denunciano figli e amici in odore di
radicalizzazione. Chiediamo di più, com’è sacrosanto che sia. E però
nel medesimo tempo, invece di “esaltare” queste figure giuste e
coraggiose, invece di dar loro una mano nel renderle note e
propagandarle, c’è chi le sminuisce o, peggio, le dileggia.
Stefano Jesurum, giornalista
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In ascolto - Despacito israeliano |
L’estate
è la stagione per eccellenza dei tormentoni musicali; dalla poltrona
del dentista fino al bar sulla spiaggia, quest’anno “entriamo senza
pagare come i calciatori di serie A” con J Ax e Fedez, mentre
l’improbabile coppia Rovazzi – Morandi “ci fa volare-e ci fa volare-e”
e Gabbani ci mette in guardia sulle spiagge arroventate: “lasciate ogni
speranza voi che entrate”.
Accanto agli immancabili Ed Sheeran, Ofenbach e Katy Perry, anche
quest’anno, dopo due estati dominate da Alvaro Soler, la radio
trasmette un grande successo in spagnolo: “Despacito”, una canzone del
portoricano Luis Fonsi, che è uscita a gennaio (in Italia è arrivata a
febbraio) e la settimana scorsa ha raggiunto oltre 2.5 miliardi di
visualizzazioni su You Tube, diventando il quinto video più visto in
assoluto.
Maria Teresa Milano
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Partire da Auschwitz
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Per
il secondo anno di fila l’Ugei organizza un Viaggio della Memoria per i
giovani ebrei italiani. Dal 29 ottobre al 1° novembre visiteremo Dachau
e Monaco, Salisburgo e Mauthausen (qui per ulteriori informazioni e per
procedere all’iscrizione). Ma prima di partire, forse, può essere utile
riflettere sul significato di questa esperienza.
Giorgio Berruto
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Unità di popolo
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“Le
tribù di Ruben e di Gad, la loro eredità, / come la metà della tribù di
Manasse, / sulla riva orientale del Giordano hanno avuto già”, riassume
poeticamente in rima Massimo Foa z.l. nella parashà di Mas’è che
leggiamo questo Shabbat (Torah in rima, Accademia Vis Vitalis Editore
2011, p. 271, ovvero BeMidbar 34, 14, dove si prosegue ripetendo di
nuovo che “queste due tribù e metà tribù…”).
Sara Valentina Di Palma
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Haviva Reik
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Il
Kibbutz Sasa è ancora comunitario, cioè è un kibbutz dove sono ancora
vivi i principi che hanno dato valore a questa forma speciale di vita.
Una comunità di oltre 80 famiglie condivide cultura, avvenimenti e
economia senza differenza di professione o salario.
Angelica Edna Calò Livne
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