Unità di popolo

Sara Valentina Di Palma“Le tribù di Ruben e di Gad, la loro eredità, / come la metà della tribù di Manasse, / sulla riva orientale del Giordano hanno avuto già”, riassume poeticamente in rima Massimo Foa z.l. nella parashà di Mas’è che leggiamo questo Shabbat (Torah in rima, Accademia Vis Vitalis Editore 2011, p. 271, ovvero BeMidbar 34, 14, dove si prosegue ripetendo di nuovo che “queste due tribù e metà tribù…”). Alla fine della parashà precedente, Mattot, che leggiamo anch’essa questo Shabbat – dopo aver raccontato dell’insolita richiesta dei figli di Ruben e Gad di non entrare nella Terra ma di restare ad abitare al di qua del Giordano in una zona più adatta alle loro greggi; dell’iniziale dispiacere di Moshè alle loro parole che gli rammentano il peccato degli esploratori e l’ira del Signore, nella consapevolezza che la separazione fisica arreca rottura spirituale e perdita di appartenenza; della rassicurazione dei figli di Gad e Ruben di lasciare bestiame, donne e bambini ad est del Giordano per aiutare a conquistare la terra, e solo dopo lasciare Eretz Israel e tornare al di là del fiume – è scritto però che “Moshè diede ai figli di Gad, ai figli di Ruben e a metà della tribù di Menashè figlio di Yosef il regno…” (BeMidbar 32, 33), menzionando per la prima volta in questa spartizione anche metà della tribù di Menashè.
Come mai compare metà della tribù di Menashè insieme ai figli di Ruben e Gad che restano fuori da Eretz Israel? Il testo non ha mai menzionato una parte della tribù di Menashè a negoziare con Moshè insieme alle tribù di Gad e Ruben. Altro non viene detto, e diverse sono le interpretazioni date dai nostri Maestri. Secondo il Talmud, non è stata metà della tribù di Menashè ad unirsi a quelle di Ruben e Gad nella richiesta di restare fuori da Eretz Israel, ma è stata una decisione di Moshè (Talmud Yerushalmi, Bikkurim 1, 8-12 sulla liceità di offrire bikkurim provenienti da entrambi i lati del Giordano, cosa che seguendo il Rambam è giusta perché anche la terra ad est del Giordano, in senso estensivo, è stata data da D-o e quindi non è da considerarsi Galut). Il tema è assai delicato e politicamente sensibile, perché apre alla liceità dell’allargamento dei confini (presupposti in era messianica), dato che la riva orientale del Giordano fa parte della terra di dieci nazioni promessa ad Avraham e destinata, ribadiamolo, ad essere conquistata in epoca messianica, mentre il mandato di Moshè è di conquistare la terra di sette nazioni ovvero ad ovest del Giordano. Il Talmud distingue in realtà qui tra quella che è stata una assegnazione conseguente una richiesta (da parte delle tribù di Ruben e Gad) e viceversa senza una richiesta (la terra data alla tribù di Menashè); solo i bikkurum offerti dalla tribù di Menashè sono validi perché i suoi membri possono dire “la terra che Ci hai dato” (Devarim 26, 10) mentre le tribù di Ruben e Gad possono solo parlare della terra che hanno preso e sono quindi esentati dalla mitzvà sui primi frutti. La parte della tribù di Menashè avrebbe quindi dei meriti che le tribù di Gad e Ruven non hanno.
Moshè avrebbe infatti deciso di assegnare la terra fuori Eretz Israel a metà tribù di Menashè, operando una distinzione tra l’assegnazione alle tribù di Ruben e Gad da un lato e metà della tribù di Menashè dall’altro, con una decisione fondamentale che la Torà sottolinea perché, mentre la decisione sulla terra per le tribù di Gad e Ruben dipende da una loro richiesta dettata da ragioni economiche e derivante dall’accordo di contribuire alla conquista di Eretz Israel, per metà della tribù di Menashè si tratta di un premio in virtù del suo amore per la Terra d’Israele (manifestato nella parashà ancora precedente di Pinchas in relazione alla richiesta delle figlie di Tzelafchad di ereditare la terra): la tribù di Menashè avrà dunque il ruolo fondamentale di costituire ponte e tramite tra chi entra nella terra e chi resta fuori, in modo che le tribù non siano spiritualmente divise fintanto che metà tribù di Menashè, legata profondamente alla terra, tiene con l’altra metà della tribù entrata in Eretz Israel un legame.
Ma questo premio sembra un po’ una punizione: se Yosef, padre di Menashè, amava così tanto la terra da volervi essere seppellito, e le figlie di Tzelafchad della tribù di Menashè amano così tanto la terra da chiederne l’eredità, quale premio è mai dividere la tribù e lasciarne fuori una parte? Probabilmente, il premio della responsabilità di fungere da modello per le tribù di Ruben e Gad che si vogliono separare dalle altre e che agiscono secondo interessi economici e non spirituali.
Secondo il midrash, invece, ciò accade perché non c’era posto in Eretz Israel per tutte le dodici tribù, e come un re che ha dodici figli e solo dieci possedimenti, così ha fatto D-o con la spartizione della terra tra le tribù (Shemot Rabbah 20, 14) . Per il midrash, la divisione della tribù di Menashè sui due lati del Giordano sarebbe una punizione che risale allo strappo delle vesti di Yakov, padre di Yosef, in segno di lutto quando gli altri figli gli riportarono la tunica insanguinata dando Yosef per morto, e di nuovo lo strappo delle vesti dei fratelli di Yosef allorché, rovesciate le sorti, Biniamin fu accusato di aver rubato una coppa al viceré egiziano (ovvero Yosef stesso, il quale aveva causato dolore ai fratelli, mettendoli alla prova quando aveva fatto nascondere il proprio calice nel sacco di Biniamin per accusarlo di furto e verificare se i fratelli lo avrebbero difeso o se, come già avevano fatto con lui, lo avrebbero abbandonato al suo destino; il figlio Menashè ebbe un ruolo di primo piano nel partecipare al complotto paterno, come detto in Bereishit Rabba 91, 8), ed ognuno di queste lacerazioni corrisponde ad una ferita nei rapporti.
Menashè ebbe così in sorte la divisione della sua eredità, ricevendo metà terra oltre il Giordano e metà in Eretz Israel (Bereshit Rabbà 84, 20). Ciò colpisce ancora di più, se pensiamo che lui e l’altro figlio di Yosef, Efraim, sono i primi due fratelli che riescono ad andare d’accordo dalla creazione del mondo in avanti – ed è per questo che la benedizione impartita la sera di Shabbat augura ai figli maschi che HaShem li faccia essere come Efraim e Menashè. Menashè è dunque un buon esempio per il rapporto con il fratello, ma al contempo non ha avuto pietas verso gli zii e viene punito per aver aiutato il padre in un complotto destinato a perpetuare la catena di vesti lacerate e di dolore. Per questa complessità di atteggiamenti in parte negativi, la sua tribù sarà divisa ed una parte (non metà ma due famiglie su otto: Devarim 3, 13) non entrerà in Eretz Israel. Così come non entreranno le due tribù di Gad ed Efraim, più interessate ad avere un buon terreno per il pascolo e quindi a seguire gli interessi materiali, che all’unità di Am Israel nella terra assegnata dal Signore. Il loro non entrare è dunque netto e totale, diverso nel significato, dal restare tra una sponda e l’altra della tribù di Menashè.
Siamo ora nel periodo di Ben HaMetzarim, le tre settimane di lutto iniziate il 17 di Tamuz e che si chiuderanno il 9 di Av. I due digiuni che segnano questi giorni luttuosi ricordano l’inizio della conquista di Jerushalaim e la distruzione del Bet HaMikdash, e dovrebbero essere uno stimolo di riflessione sull’esilio e sugli errori che hanno portato ad esso da un lato, sulla redenzione dall’altro. L’unità familiare (e quindi di popolo), non per interessi economici e materiali ma per amore e fiducia, sembra essere una risposta.

Sara Valentina Di Palma

(20 luglio 2017)