
Alberto Moshe
Somekh,
rabbino
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“Non
detestare l’Egiziano, perché ospite sei stato nella sua terra” (Devarim
23,8). Sono trascorsi 80 anni? Non dobbiamo dimenticare. Ma
domandiamoci se noi più giovani esercitiamo la Memoria per sacro
rispetto dei martiri del nostro popolo o se invece lo facciamo pensando
alla nostra visibilità. In tal caso sarebbe più onesto voltare pagina.
Il nostro futuro poggia su altre basi. Con il declino dei superstiti
occorre rinforzare l’immunità? Ricordiamoci che l’antisemitismo è come
il virus dell’influenza: ti vaccini contro un ceppo e l’altro ti
aggredisce!
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Giorgio Berruto
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“Come
tanti suoi pari negli ex Paesi della Corona austroungarica, era
semplicemente uno dei più nobili e più puri tipi di austriaco, e cioè
un cosmopolita e, dunque, un nobile autentico. Se per esempio gli
avessero chiesto – ma a chi sarebbe venuta in mente una domanda tanto
insensata? – a quale ‘nazione’ o a quale popolo si sentisse di
appartenere, il conte sarebbe rimasto alquanto confuso, addirittura
stupefatto, davanti all’interrogante, e probabilmente anche infastidito
e un poco indignato.
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“L’Europa a un bivio”
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“L’Ue
è di fronte a uno dei bivi della storia dell’integrazione europea: deve
ritrovare lo spirito collaborativo e solidale, rivedere parti della sua
architettura complessiva. Va ricomposta l’unità dell’arcipelago. Ad
esempio, è grave che manchi una vera politica comune sulle migrazioni:
l’Europa dovrebbe fare molto di più sebbene a piccoli passi ci siano
progressi”. È quanto afferma il ministro degli Esteri Enzo Moavero
Milanesi in una intervista con il Corriere. Sempre il Corriere ospita
una intervista al Commissario europeo Pierre Moscovici, che afferma:
“Quando ho parlato di ‘piccoli Mussolini’ mi stavo riferendo a una
procedura lanciata dall’Europarlamento su un altro Paese. Ma
stranamente in Italia c’è chi ha creduto di riconoscersi, non so
perché. Invece nella mia funzione di commissario rispetto il ruolo
istituzionale di Salvini e Di Maio e sono amichevole verso l’Italia,
sostenitore della flessibilità, nemico delle sanzioni e fra i più
moderati”.
Repubblica torna su un argomento già trattato nelle scorse settimane –
le surreali vicende di vittime della persecuzione antiebraica,
costrette dallo Stato a dover provare l’accanimento subito per mano
fascista per ottenere un assegno di benemerenza – con una nuova storia.
Dice al quotidiano il signor Memo M.: “Non sapevamo nemmeno di aver
diritto, insieme ai perseguitati politici di quegli anni, a questo
assegno. Ne facemmo richiesta solo quattro anni fa. Per noi non era e
non è una questione di soldi. Ma di riconoscimento di una chiara
responsabilità e di una verità storica”.
La Stampa segnala una intensificazione dei rapporti tra Italia e
Israele, soprattutto sul piano degli scambi militari. Sul tavolo, tra
le varie iniziative, mentre si annuncia la prossima visita del ministro
Salvini nello Stato ebraico, “la volontà di accelerare su un progetto
rimasto arenato a lungo, che riguarda la costruzione in Italia di un
simulatore aereo, dotato di tecnologia proveniente da Gerusalemme, che
verrà messo a disposizione dell’aeronautica israeliana”.
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l'evento a gerusalemme di Tsad Kadima
Una serata per la solidarietà
Tsad
Kadima, l'associazione israeliana che si occupa di organizzare e
aiutare il percorso formativo dei bambini e ragazzi che soffrono di
lesione cerebrale, ha recentemente organizzato la sua tradizionale
serata di Gala al Teatro di Gerusalemme. Al centro della serata
l'avvincente racconto musicale dei fratelli Soarez, di origine libica,
che ha toccato tutti gli aspetti della tradizione sefardita, proponendo
una serie di pyutim e cantilene in ladino affiancati ai racconti
famigliari. A presentare la serata, Jonathan Cohen, cerebroleso dalla
nascita, e uno dei giovani che hanno preso parte al progetto Tsad
Kadima. Jonathan è stato il primo cerebroleso a ricevere i gradi di
ufficiale dell'esercito e, dopo un lungo periodo di servizio, si
appresta ora ad iniziare la carriera diplomatica nel quadro della
scuola speciale del ministero degli Esteri israeliano.
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jciak
Un amore a Tel Aviv
Lui
si è diplomato al conservatorio di Amsterdam e cerca una band in cui
suonare la tuba. Intanto, entra ed esce dall’ospedale psichiatrico
perché soffre di psicosi. Lei nasconde il corpo prosciugato
dall’anoressia in abiti troppo larghi e sogna di fuggire dalla clinica
per disturbi alimentari dove l’ha ricoverata la famiglia per diventare
una modella.
S’incontrano per caso nella notte di Tel Aviv, si riconoscono nello
stesso solitario smarrimento e imboccano la via della fuga. A
raccontarci la loro storia, fra tenerezza, humor e disperazione, è
l’ultimo lavoro dell’israeliano Ram Nehari, Non dimenticarmi,
trionfatore un anno fa al Torino Film Festival, da una settimana nelle
sale.
Giocato in chiave di “commedia nera, distorta e romantica” – secondo la
definizione dello stesso regista – il film ci porta per una giornata
lungo le strade di una Tel Aviv anonima, sconosciuta ai turisti,
costeggiando i centri di recupero dove finisce chi non può, non vuole o
non sa, conformarsi alla regola sociale.
Nei personaggi dei due giovani protagonisti s’incarnano le fragilità
disperate di una generazione che ha perso la certezza identitaria di
quella precedente e stenta a fare i conti con una realtà economica e
sociale sempre più difficile.
Daniela Gross
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Setirot
- L’olio identitario |
Chanukkah
si avvicina. Festa di luce e in qualche modo di passaggio. La luce
simboleggia l’anima, e anche Dio stesso. Il miracolo – meglio sarebbe
dire il segno – ovvero la quantità di succo di oliva purissimo
necessario per ardere a malapena un giorno e durato invece otto giorni
affinché si potesse produrne scorte sufficienti per l’inaugurazione del
Tempio ricostruito, ci interroga sul libero arbitrio. Il Signore
infatti non regala luce eterna, soltanto quella necessaria. Può e
soprattutto vuole aiutarci se siamo materialmente impossibilitati a
mantenere fede ai nostri imperativi morali, non può e non vuole
sostituirsi a noi, alle nostre scelte.
Stefano Jesurum, giornalista
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In ascolto - Oceani |
Oceani. Di musica e di emozioni. Di applausi e di sguardi.
“Oceani”, sinfonia di Ezio Bosso per violoncello e orchestra, è andata
in scena sabato 17 sul palco del Teatro Regio di Torino. Inutile dire
che i biglietti sono andati a ruba subito, ma altre 1500 persone, tra
cui la sottoscritta, hanno avuto la splendida opportunità di assistere
alla prova aperta la mattina.
Ezio Bosso è arrivato sul palco con un gran sorriso e tanta voglia di
incontrare il pubblico: “Sono tornato!”, ha sussurrato al microfono.
Applausi scroscianti. Qualcuno asciuga le lacrime, altri si alzano in
piedi. È palpabile il desiderio di tutti di avvolgere quell’uomo così
forte e coraggioso, segnato da una terribile malattia eppure carico di
energia e di voglia di fare musica secondo certi principi. “Dovete
cercare la bellezza. Cercatela, se no esce solo una carineria”, dice ai
musicisti sul palco.
Maria Teresa Milano
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Amore e responsabilità |
Secondo
il targum aramaico di Shir HaShirim, dieci sono i canti intonati
dall'uomo al Signore sin dalla creazione, nono dei quali appunto il
Cantico dei Cantici, ‘ispirato da spirito profetico davanti al Signore
del Mondo, HaShem', intonato da re Salomone nel momento in cui collocò
l’Aron nel Kodesh HaKodashim del Bet HaMikdash, il luogo più sacro ed
intimo del Tempio. Il re, in ottemperanza a quanto indicato in Tehillim
149,1 (‘cantate all’Eterno un cantico nuovo’), agì dunque ispirato da
amore puro e profondo per il Signore. Primo delle cinque meghillot, il
Cantico dei Cantici è, insieme agli altri quattro testi, una meghillà
appunto, un rotolo, e non un sefer (libro), ad indicare che ha insieme
agli altri quattro delle caratteristiche specifiche comuni, come ha
sottolineato Amos Luzzatto (Una lettura ebraica del Cantico dei
Cantici, Giuntina 1997, p. 15).
Sara Valentina Di Palma
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L’Italia racconta Israele |
L’idea
di raccontare la storia di un Paese assumendo un punto di vista esterno
non è nuovissima ma è sicuramente efficace. Mario Toscano, che ha
curato il volume L’Italia racconta Israele 1948-2018, Viella editore,
ha adottato una soluzione originale ma che si è rivelata opportuna: ha
affidato a sette storici l’analisi di come Israele era stato “letto”
(ma forse sarebbe stato più giusto dire “giudicato”, perché di giudizi
quasi sempre si tratta, molto spesso malevoli e prevenuti) nell’anno
nel quale cadeva il decennale della fondazione dello Stato, riservando
a se stesso quella relativa all’anno di nascita e ad Alberto Cavaglion
il compito di riflettere su quali caratteristiche ha avuto quest’anno,
in occasione del 70° anniversario, la lettura pubblica di Israele.
Valentino Baldacci
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