Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui               29 Aprile 2021 - 17 Iyar 5781
MONA KHOURY KASSBARI A PAGINE EBRAICHE

"Io, araba, vicepresidente dell'Università ebraica: 
la mia nomina un segnale alla società"


Storica nomina all’Università ebraica di Gerusalemme, la più antica e gloriosa istituzione accademica d’Israele, che ha scelto come sua vicepresidente la professoressa Mona Khoury-Kassbari. È la prima volta, comunica l’ateneo, che un incarico di vertice viene affidato a un rappresentante della comunità araba. “Sono molto orgogliosa di questa nomina. Una donna araba alla vicepresidenza di una delle università migliori del mondo. È un fatto raro. Sicuramente è la prima volta per l'Università ebraica ed è un messaggio importante a tutta la società”, racconta Khoury-Kassbari a Pagine Ebraiche. Raggiunta a poche ore dall'ufficializzazione della sua nomina, la professoressa esprime la propria soddisfazione per il nuovo incarico. “È importante anche perché è la prima volta che un'università israeliana nomina una vicepresidente che si occupi di rafforzare la diversità e l'inclusione”.
Questo infatti sarà il compito principale del suo mandato: portare all’interno dell’università personale e studenti provenienti da comunità sottorappresentate nel mondo accademico. E quindi si parla dalle realtà arabe, del settore haredi, fino dalla minoranza etiope. “Per una maggiore integrazione - spiega Khoury-Kassbari, già preside della Scuola Paul Baerwald per la formazione di assistenti sociali - in primo luogo serve investire nel sistema educativo”. E porta se stessa, per quanto riguarda la minoranza araba, come esempio: cresciuta a Haifa, in un quartiere che definisce disagiato, ha iniziato il suo percorso nella scuola pubblica. “Poi ho avuto la fortuna di passare a una scuola privata. Senza questo salto non avrei mai pensato di avere delle possibilità di entrare nel mondo accademico. La mia famiglia non aveva i soldi per mantenermi e quindi ho dovuto lavorare all'interno della scuola per potercela fare. E in ogni caso sono pochi gli studenti che possono permetterselo”. Per questo, aggiunge, servono maggiori investimenti nel “sistema educativo arabo che si trova in una situazione molto problematica. Servono insegnanti, serve formazione. Serve tutto ciò che è utile a superare le diseguaglianze”. Aggiunge che su questi binari l'università potrà poi “aumentare i numeri di studenti arabi e permettere loro di completare con successo la carriera accademica”. 
Dopo essersi laureata presso la Scuola Paul Baerwald, aver studiato a Chicago e Toronto, Khoury-Kassbari è tornata all'Università ebraica con l'incarico di consulente per aumentare l'accesso degli arabi all'istruzione superiore. Per questo ha ben chiare quali siano le difficoltà di questa importante minoranza d'Israele (che costituisce il 20% della popolazione totale). Ma alle spalle ha anche un proficuo dialogo con il mondo haredi. “Posso dire con orgoglio che la nostra scuola per assistenti sociali ha il numero più alto di studenti haredi rispetto alle altre scuole. Abbiamo fatto molti sforzi per portarli da noi, abbiamo aperto un canale di confronto diretto, chiesto di cosa hanno bisogno e cercato di venire incontro alle loro specifiche esigenze”. 

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L'ATENEO SIMBOLO DI UN PAESE

Un secolo (e oltre) di storia e di successi


“La nostra università, improntata alla cultura ebraica e alla energia ebraica, si plasmerà come parte integrale del nostro edificio nazionale che è in processo di costruzione. Avrà una forza centripeta, che attrarrà tutto ciò che v’è di più nobile nell’ebraismo e attraverso il mondo; sarà un centro d’unità per i nostri elementi dispersi. Essa emanerà ispirazione e vigore, che ravviveranno le forze ora latenti delle nostre Comunità disperse. Qua l’anima errante d’Israele raggiungerà il suo porto”.
Sono le parole pronunciate il 24 luglio 1918 da Chaim Weizmann, futuro primo presidente d’Israele, in occasione della posa delle prime pietre dell’Università ebraica sul Monte Scopus di Gerusalemme.
Nel discorso di Weizmann – riportato da Pagine Ebraiche nel dossier dedicato ai cento anni dell’ateneo – tutto il coraggioso ottimismo, l’utopia poi diventata realtà di costruire a Gerusalemme il nucleo culturale del futuro Stato ebraico. Al suo fianco personaggi della caratura di rav Avraham Kook, Albert Einstein, Sigmund Freud, Martin Buber e Chaim Nachman Bialik. Su quelle solide spalle nacque dunque l’Università ebraica, oggi eccellenza a livello internazionale – come dimostrano i nove premi Nobel e la stabile posizione tra le cento migliori università del mondo – con tanti obiettivi raggiunti e su cui puntare per il futuro, in particolare per mettere al centro i propri studenti. “Normalmente la qualità di un ateneo si valuta in base ai suoi risultati nella ricerca e da questo punto di vista siamo leader in moltissimi ambiti – spiegava a Pagine Ebraiche il rettore Barak Medina – ma quando sono stato nominato mi è stato immediatamente chiaro come fosse necessario investire nel rapporto con gli studenti. Da una parte siamo una università che segue il modello americano, dall’altra talvolta trattiamo i ragazzi come quelle europee, classi affollate, professori che non conoscono davvero gli studenti, né se ne interessano. Pur essendo la migliore università israeliana a volte facciamo fatica ad attrarre i migliori perché molti non vogliono trasferirsi a Gerusalemme e c’è la nomea che studiare da noi sia più difficile. Così stiamo spingendo per cambiare”. Tra le priorità anche una maggiore presenza, sia tra il personale sia tra gli studenti, dei settori della società meno rappresentanti all’interno del mondo accademico. Proprio per raggiungere questo traguardo è stata ora scelta Mona Khoury-Kassbari.


(Nell'immagine: l'inaugurazione dell'Università Ebraica di Gerusalemme, avvenuta nel 1925)

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LO SPECIALE DI PAGINE EBRAICHE  

Philip Roth tra libri, amori e scandali


Nelle scorse ore W.W. Norton, l'editore della monumentale biografia di Philip Roth scritta da Blake Bailey, ha annunciato di aver messo fuori stampa il volume, pubblicato appena poche settimane fa e diventato subito un best seller, per le accuse di violenza sessuale che gravano sul conto del suo autore. La decisione segue di qualche giorno l'iniziale misura della sospensione. 
All'opera di Bailey ma anche a un altro volume molto atteso in uscita a maggio, Philip Roth A Counterlife (Oxford University Press) di Ira Nadel, è dedicato un ampio speciale sul prossimo numero del giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche in distribuzione. 


Parlare di Philip Roth senza parlare di donne è impossibile e il polverone mediatico sollevato dalla nuova monumentale biografia firmata da Blake Bailey non è che l’ennesima conferma. Se non si è a caccia di scandali o facili condanne, il discorso deve però inoltrarsi lungo il confine tra realtà e letteratura che mai come in questo caso è sfuggente. La vita di Roth è costellata di donne spesso bellissime, famose e molto più giovani. Mogli, amanti, amiche ed ex. Relazioni complicate e tempestose che fanno la gioia dei tabloid e in modo quasi inevitabile si rinfrangono nei suoi libri.
Non solo lo scrittore saccheggia, spesso senza pietà, la sua vita amorosa per per creare i personaggi femminili ma l’erotismo e il rapporto con l’altro sesso – nelle sue infinite modulazioni di amore-odio, attrazione-repulsione, senso di colpa-piacere – è uno dei cardini del suo universo letterario. In questa chiave, inseguire il filo delle sue donne significa rintracciare le ragioni di un’ispirazione, come rivelano, con una scrittura trascinante, le 900 pagine del lavoro di Bailey che, a meno di un mese dall’uscita, l’editore W.W. Norton ha sospeso (e poi deciso di mandare al macero) per le accuse di molestie sessuali all’autore.
Se il primo matrimonio di Roth, a 26 anni, sembra uscito da uno dei suoi libri più grotteschi è perché a parecchi libri ha dato spunto. Quando s’incontrano, Margaret Martinson, una graziosa bionda più vecchia di lui, fa la cameriera. Ha due figli e un passato turbolento segnato da alcol e abusi – un “caos goy”, come lo definisce lo stesso Roth che in principio ne è affascinato. “Era come sfogliare le pagine di un romanzo di Dreiser e quando l’orrore gli dava respiro, Roth ricordava a se stesso che questo, dopo tutto, era ciò che Flaubert aveva inteso con le vrai (la vita vera)”, scrive Bailey.
Maggie, che ispirerà molti personaggi femminili di Roth, si fa sposare con un trucco. 

Daniela Gross

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LA CAMPAGNA ELETTORALE DESTABILIZZATA DAI PARTITI ESTREMISTI   

Madrid e l'onda populista sul voto,
le preoccupazioni del mondo ebraico


Chiunque avrà la meglio, le elezioni in programma il 4 maggio a Madrid saranno ricordate come le più inquietanti della storia recente di Spagna. Un laboratorio di populismi a confronto – nella retorica, nei simboli, nella visione di futuro – cui anche il resto d’Europa sembra guardare con crescente apprensione. La grande favorita è Isabel Díaz Ayuso, 42 anni, presidente uscente della comunità autonoma madrilena ed espressione del partito popolare. Principale sfidante il professore universitario Ángel Gabilondo, 72, leader dello schieramento di sinistra. A far parlare sono però anche altre forze, le più destabilizzanti sulla scena: gli estremisti di destra di Vox, senza i quali Ayuso potrebbe non essere in grado di governare. E a sinistra i populisti di Podemos, essenziali per Gabilondo, che vedono in Israele uno “Stato dell’apartheid”. Inevitabilmente il tutto si ripercuote anche sulla piccola ma vitale comunità ebraica locale. Ufficialmente quattromila iscritti. Ma in realtà un numero per difetto: contando i non iscritti e i tanti studenti israeliani che vivono nella capitale la cifra si attesterebbe sulle 10mila unità.
“C’è grande preoccupazione. I motivi non mancano, sia che si guardi a destra che a sinistra” conferma rav Pierpaolo Pinhas Punturello, coordinatore degli studi ebraici del Centro Ibn Gabirol Colegio Estrella Toledano. In un video recente l’organizzazione ACOM, che si occupa del rafforzamento delle relazioni tra Israele e Spagna e di cui fanno parte numerosi ebrei madrileni, si è chiaramente esposta: il suo sostegno andrà ad Ayuso. Una presa di posizione stigmatizzata dai vertici dell’ebraismo spagnolo che in questa complessa partita politica non vogliono essere tirati per la giacchetta, “né in un senso, né in un altro”. L’apoliticità ufficiale dell’ente non significa naturalmente che non vi siano simpatie per un preciso candidato. La sensazione, spiega il rav, è che “sia proprio Ayuso a godere di un maggiore consenso”.
Alcune iniziative avrebbero favorevolmente impressionato. Come l’istituzione dell’obbligatorietà, nei percorsi didattici regionali, dello studio della storia degli ebrei sefarditi. Una svolta epocale, considerando il lungo oblio spagnolo su questa vicenda.

(Nell’immagine Isabel Díaz Ayuso e Ángel Gabilondo, i due principali sfidanti) 

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UFFICIALIZZATI I NOMI DEI CICLISTI CHE SARANNO AL VIA DA TORINO  

Israele torna al Giro: due gli italiani in rosa


Il Giro d’Italia riabbraccerà anche quest’anno la Israel Start-Up Nation, la prima squadra professionistica israeliana di ciclismo diventata ormai una presenza fissa alla corsa rosa (nel 2018 e nel 2019 con una wild card; dal 2020 invece, in quanto membro del World Tour, di diritto). Alla partenza dell'eventosportivo, che prenderà il via da Torino tra una settimana, otto atleti in rappresentanza di sette diversi Paesi. Ben due italiani tra loro: Alessandro De Marchi, uno dei volti nuovi in casa Israel Start-Up Nation, e Davide Cimolai, ormai un veterano, essendo giunto alla terza stagione consecutiva con la stessa maglia. Torna al Giro anche il britannico Alex Dowsett, che lo scorso anno aveva regalato al team la prima vittoria in una grande corsa a tappe. Terzo Giro per l’israeliano Guy Niv, che aveva esordito nella storica partenza di Gerusalemme del 2018. 
Dal lettone Krists Neilands all’austriaco Matthias Brändle, fino al neozelandese Patrick Bevin: tutti al servizio del corridore più esperto, l’irlandese Dan Martin, quarto lo scorso anno alla Vuelta. L’obiettivo è di portarlo il più in alto possibile in graduatoria, ma anche di conquistare almeno un successo di tappa. Le prove generali per l’appuntamento più importante: l’assalto al Tour de France che verrà tentato in luglio con Chris Froome. 

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QUI ROMA

Via Balbo, l'emozione di un nuovo Sefer Torah

Inaugurato nel settembre del 1914, l'Oratorio di Castro è stata la seconda sinagoga romana a vedere la luce dopo il crollo del regime pontificio e la fine del ghetto; la prima a sorgere fuori dall'area che, per secoli, era stata il confine e l'orizzonte degli ebrei della Capitale.
"Il Tempio di via Balbo è sempre stato qualcosa di diverso da quello Maggiore. In qualche modo tutto ciò che non poteva essere fatto nell’uno si faceva nell’altro. Due sinagoghe in dialogo tra loro, che si armonizzano" ricordava rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, in occasione del centenario. 
Un luogo vivo di incontro e tradizione al quale Marco Pavoncello ha fatto in queste ore il dono più bello: un nuovo Sefer Torah, inaugurato nel giorno del suo compleanno e fatto realizzare in onore della moglie Claudia Anticoli. 

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LUTTO NELL'EBRAISMO VERCELLESE

Paolo Bonato (1966-2021)

È mancato a Trino Vercellese Paolo Bonato, molto noto nella sua città e nella Comunità ebraica di Vercelli (di cui Trino è un’antica sezione): aveva 55 anni e da tempo affrontava una terribile malattia. La Comunità ebraica, nel dare la notizia della sua scomparsa, “ricorda commossa la sua felicità pochi mesi or sono quando il figlio David celebrò il suo Bar-Mitzwa nel Tempio di Vercelli, in una funzione ricca di canti tradizionali, magistralmente condotta da rav Elia Richetti z.l”. 
Bonato, discendente per parte materna dalla famiglia veneta degli Zalman, era uomo di cultura, con alle spalle esperienze imprenditoriali di successo, e aveva un profondo attaccamento all’ebraismo e alle tradizioni. Da sempre attivo nella piccola sezione di Trino, accompagnava sovente visitatori e studiosi all’antico cimitero ebraico e ai locali dove aveva sede la sinagoga. Anni fa, insieme alla presidente della Comunità ebraica vercellese Rossella Bottini Treves, era stato a Tel Aviv per l’inaugurazione dei restauri di un Aron ha Kodesh settecentesco, proveniente dalla sinagoga di Trino e da tempo in Israele.

(Nell'immagine in alto un momento della missione a Tel Aviv)

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Setirot - L'Anp e il rinvio del voto
Dopo la fiammata d’interesse mediatico per gli “accordi di Abramo”, in merito ai quali ci si è per lo più limitati a giudizi ideologici e davvero poco approfonditi, l’ormai consueta cappa di silenzio e di disinteresse è nuovamente calata sulle vicende mediorientali. Eppure Israele arranca alla ricerca di un quadro politico minimamente stabile. Eppure il 22 maggio – domani insomma – si dovrebbero svolgere le elezioni parlamentari palestinesi mentre le presidenziali sono previste per il 31 luglio. 
Stefano Jesurum
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Non tutti fummo brava gente
“Nell’onorare la memoria di chi lottò per la libertà dobbiamo anche ricordare che non tutti fummo, noi italiani, brava gente, dobbiamo ricordare che non scegliere è immorale, per usare le parole di Artom, significa far morire un’altra volta chi mostrò coraggio, chi sacrificò se stesso per consentirci di vivere in un paese democratico”. E ancora: “Il linguaggio d’odio che sfocia spesso nel razzismo e nell’antisemitismo contiene spesso i germi di potenziali azioni violente. Non va tollerato”.
Valentino Baldacci
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Spuntino - Da che pulpito
Perché nel primo versetto (Lev. 21:1) della parashà di Emor D-o si rivolge a Mosè usando due volte lo stesso verbo ‘dire’ (“emor” = dì … “veamartà” = dirai)? Rashì risponde riprendendo la Ghemarà (TB Yevamot 114a): “lehazhir gdolìm ‘al ktanim” ( = per mettere in guardia grandi su piccoli). I bambini tendono ad emulare gli adulti quindi per predicare bene bisogna razzolare altrettanto bene. In proposito il Rav Shmuel Eliyahu racconta un episodio occorso a suo padre (Rav Mordekhai Eliyahu Z.TZ.K.L.) quando era giudice presso il tribunale rabbinico.
Raphael Barki
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Machshevet Israel - La poesia di Yehuda Amichai
Confesso di non comprare quasi mai libri di poesia (quando invece andrebbero comprati, ché i poeti vanno incoraggiati e tale mercato sostenuto).
Ma davanti alla riedizione dell’antologia di Yehuda Amichai – Poesie, edizioni Crocetti/Feltrinelli, a cura di Ariel Rathaus, apparsa la prima volta ventotto anni fa – non ho resistito, non ho fatto cioè resistenza al mio bisogno di poesia, di poesia vera, di poesia ebraica e non solo di “poesia in ebraico”.
Massimo Giuliani
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