L'INTERVISTA A RAV ZSOLT BALLA

"Rabbino militare, al servizio della Germania"

Una svolta epocale, affrontata con la grinta e la determinazione di chi sa da dove viene e dove vuole arrivare. Rav Zsolt Balla ha 42 anni, è nato in Ungheria e dal 2002 vive in Germania. Da qualche anno è il giovane rabbino capo di Lipsia e della Sassonia. Uno dei Länder guardato con più attenzione (e anche qualche timore) a livello europeo. Si tratta infatti dell’area del Paese dove più forti sono i rigurgiti di estrema destra. Nella forma “istituzionalizzata” di Alternative für Deutschland e in quella di gruppi più o meno organizzati che hanno alzato la testa.
Da qualche settimana rav Balla ha un nuovo incarico da svolgere: per la prima volta dopo oltre un secolo la Germania è tornata ad avere un rabbino militare, e quel rabbino è lui.
L’evento, importante anche dal punto di vista simbolico, è stato festeggiato in sinagoga con la presenza e partecipazione di alti rappresentanti del governo, della città, dell’esercito, naturalmente della comunità ebraica. 

Rav, la sua nomina rappresenta qualcosa di davvero speciale. Cosa prova nell’intraprendere questa missione?
Una grande emozione e un grande senso di responsabilità. Credo si tratti davvero di un’opportunità storica, come già qualcuno ha detto e scritto. Il mio compito sarà quello di fare il rabbino, quindi di esserci per ogni possibile esigenza rituale e spirituale, ma anche di aiutare a ‘normalizzare’ un processo già in atto. Far sì che ogni cittadino ebreo di Germania si senta a suo agio in un contesto militare. La ferita della persecuzione e della Shoah è ancora fresca. Ma per fortuna il mondo, Germania compresa, sta cambiando. Dobbiamo essere pronti a cogliere ogni opportunità.
Il tema non è nuovo. È da qualche anno che se ne parla. Perché la svolta proprio adesso? 
Evidentemente le condizioni erano mature. È un dibattito che va avanti da lungo, direi da una ventina d’anni all'incirca. La decisione è stata presa in modo graduale. Credo sia stato il modo migliore per affrontare un tema che metteva in gioco così tanti elementi, così tante sfumature.
Come è stato scelto?
La decisione è stata presa dal Consiglio centrale degli ebrei tedeschi ed è stata poi approvata dalle autorità competenti.
Recentemente l’esercito ha fatto parlare per alcuni episodi di neonazismo. È preoccupato per il contesto in cui andrà ad operare? 
Parto dalla premessa che si tratta di un tema ormai globale, purtroppo. Sono comunque consapevole del fatto che esistano sacche di resistenza alla civiltà del confronto. Di odio, intolleranza, antisemitismo. Non tutti hanno ben chiaro dove quegli slogan ci abbiano portato. È un deficit anche di natura culturale. Uno dei compiti che mi è stato assegnato avrà proprio valenza educativo-formativa: lavorerò molto in questo ambito, con progetti dedicati e rivolti a soldati non ebrei. Il taglio sarà sia teorico che pratico. Passare all’azione è sempre la cosa più importante.




Continuerà ad essere rabbino di Lipsia e Sassonia?
Sì, svolgerò le due mansioni in parallelo. Tengo molto a quanto costruito sul territorio in questi anni di lavoro. È una comunità particolare la nostra, composta per la gran parte da ebrei originari dei Paesi dell’ex Unione Sovietica. Persone che in vari casi si sono lasciate alle spalle grandi difficoltà per intraprendere un nuovo inizio. Siamo una comunità viva e vivace. Con le sue ferite ancora fresche, ma anche la voglia di costruire futuro.
Anche lei viene dall’Est, dall’Ungheria. Ci racconta qualcosa del suo percorso?
Come molti miei connazionali, anche io ho scoperto di essere ebreo abbastanza tardi. Ad avvicinarmi a questa storia ed eredità è stata la frequentazione della scuola ebraica sotto l’egida della Lauder Foundation. Erano gli Anni Novanta, finalmente l’ebraismo non era più un tabù.
Come è finito in Germania? Come è diventato rabbino?
Al tempo degli studi universitari ho avuto l’opportunità di recarmi in visita a Berlino e nell’occasione di varcare la soglia di una yeshivah, una scuola di studi religiosi ebraici. È stata come una rivelazione. In quel momento ho capito quale sarebbe dovuta essere la mia strada. Ho studiato per due anni in Germania e poi mi sono perfezionato, nella mia formazione, a Gerusalemme. Quindi ho fatto ritorno. Nel 2009 ho conseguitò la semikhah, l’ordinazione rabbinica. Sono stato uno dei primi in assoluto dai tempi della Shoah. Un fatto anch’esso piuttosto responsabilizzante.
La Germania è uno dei pochi paesi, in Europa, dove la presenza ebraica invece di decrescere aumenta. Però è anche tra quelli maggiormente segnati dal terrorismo, non solo di matrice islamica ma anche neonazista. Come nel caso del tentato attacco, di Yom Kippur, alla sinagoga di Halle...
È evidente che viviamo in un’epoca attraversata da odio e pulsioni violente. Sono problemi enormi, una minaccia concreta all’unico progetto possibile che dobbiamo perseguire e che è quello del dialogo e della convivenza. Non è un problema dei soli ebrei l’odio che divampa, l’antisemitismo sia verbale che fisico in ascesa. Ad essere in pericolo sono i nostri valori, la nostra società: per fortuna mi sembra che sempre più persone lo stiano capendo. È uno snodo importante, direi decisivo. Per affrontare le criticità bisogna infatti qualificarle, dar loro un perimetro e contesto. Solo così possiamo sperare di uscirne.
Cosa significa, per lei, essere un rabbino? È un mestiere, una vocazione?
Fare il rabbino, per come la vedo io, significa soprattutto una cosa: esser pronti a dare una mano, mettere le proprie energie e competenze al servizio degli altri. Non c’è compito più bello.

Adam Smulevich

Leggi

LA SINAGOGA DELLA RINASCITA

Lipsia e la sfida dell'ebraismo vivo

“Un importante messaggio per i nostri soldati ebrei”. E la dimostrazione “che l’ebraismo è un’identità viva”. È duplice la soddisfazione di Annegret Kramp-Karrenbauer, ministro della Difesa di Germania, per l’insediamento del rav Zsolt Balla. Anche lei, come altre autorità dello Stato, era presente alla cerimonia in sinagoga a Lipsia.
Una giornata indelebile e ancor più significativa se pensiamo alla storia della città sotto il nazismo. Prima del secondo conflitto mondiale vivevano a Lipsia circa 14mila ebrei: la sesta comunità del Paese e la prima di Sassonia. Alla fine della guerra se ne conteranno appena 15. Si sarebbero poi aggiunti i reduci dai campi di sterminio, per un totale di circa 200 persone. Una faticosissima risalita dalle macerie.
Per gli ebrei di Lipsia la prima voragine si era aperta nel 1938 con la Kristallnacht, la Notte dei Cristalli. Oltre alle persone, con omicidi, raid e centinaia di arresti, a farne le spese fu la sinagoga in stile moresco inaugurata a metà Ottocento in un’epoca di grandi speranze e aspettative. Interamente distrutta e mai ricostruita, ma ancora viva nel ricordo. Toccante il Memoriale istituito dove un tempo sorgeva il Beth haKnesset, con 140 sedie vuote in ricordo di tutte le vite spente nella Shoah. Ogni sedia simboleggia 100 unità, per un totale di 14mila anime.
Di sinagoghe ne è sopravvissuta solo una, la Brody, risalente anch’essa al diciannovesimo secolo, che è oggi il perno di una delle comunità ebraiche più attive del Paese. Ne fanno parte all’incirca 1300 persone, provenienti perlopiù da Paesi un tempo nell’orbita dell’Unione Sovietica.
Non è un caso, spiega rav Balla, che molti di loro parlino russo. E che il russo sia molto più di una seconda lingua per questo piccolo ma crescente nucleo enormemente rivitalizzato dalla loro presenza. Un dato utile per capire: nel 1989, alla vigilia del crollo del Muro di Berlino, gli ebrei a Lipsia erano appena poche decine.
 

Leggi

IL WOMEN20 IN SVOLGIMENTO A ROMA 

"Donne, energia da valorizzare"

“Le donne sono la metà del mondo, non sono una minoranza a cui dare briciole e parità. Se non valorizziamo le donne il mondo non potrà crescere”.
Linda Laura Sabbadini, direttrice dell’Istat e pioniera degli studi di genere, guida in queste ore una tre giorni storica: il Women 20, gruppo del G20 interamente dedicato alla valorizzazione del ruolo e del contributo dell’universo femminile. L’Italia accoglie per la prima volta un appuntamento che vede confrontarsi figure di alto profilo del mondo delle istituzioni, dell’imprenditoria, della cultura. Tra le protagoniste della sessione inaugurale del vertice, in svolgimento presso il Tempio di Adriano a Roma, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.
“Come noto – raccontava Sabbadini in una recente intervista con Pagine Ebraiche – il G20 è spesso incentrato su questioni di esclusiva natura economica. La pandemia ha però stravolto un po’ lo scenario. Le risposte che si chiederanno ai potenti della terra non potranno infatti prescindere da valutazioni e interventi di tipo ambientale e sociale”. È qui, sottolineava, “che entriamo in gioco noi di Women20 per garantire un approccio di genere globale”.
L’epidemia, la sua valutazione, è andata a inserirsi in una situazione già difficile caratterizzata da un parziale e non esaustivo recupero rispetto alle disuguaglianze generate dalla precedente crisi economico-finanziaria. La povertà più che raddoppiata, triplicata per bambini e giovani. Nel mondo del lavoro, dove già significative erano le differenze tra il Nord e il Sud del Paese, questo divario si è ancor più accentuato. Per le donne in particolare, rifletteva Sabbadini, “la situazione è drammatica: sono loro a pagare per prime gli effetti della crisi”. E questo anche per via della maggior penalizzazione dei servizi, dalla ristorazione agli alberghi. Un settore “in cui le donne sono più presenti degli uomini e in una condizione di precarietà palese già ben prima del Covid”. Sullo sfondo un enorme problema irrisolto: “La verità è che il tema della parità di genere, in Italia, non è mai stato troppo di moda. Le conseguenze di questa mancanza, di questa incapacità di visione, le scontiamo tutte. E ora, con il Covid, anche di più”.
Nessuna forma di rassegnazione, comunque: “Il margine per lasciare un segno esiste. La lacuna da colmare è quella della consapevolezza. Le donne emergono con la loro creatività e forza in tutti i settori. Ce la faremo”.
Tra i suoi modelli la grande matematica Emma Castelnuovo (1913-2014): “Ho avuto il privilegio di averla come insegnante. È lei che mi ha fatto innamorare, con i suoi metodi innovativi e stimolanti, a questa materia. Ce la insegnava giocando, togliendoci quel blocco che in Italia causa purtroppo, da sempre, danni anche gravi. La matematica è logica, intuizione, creatività. Apprenderla con Emma è stata un dono”. Sabbadini si dice orgogliosa “di essere stata sua alunna, come lo è stata mia madre alla scuola ebraica dove lei insegnava dopo la promulgazione delle leggi razziste e mio fratello più piccolo”. Una figura, afferma, che resta “indimenticabile”.
.

Leggi

LOTTA AL COVID - L'ALLARME PER LA VARIANTE DELTA

La scelta di Israele: terza dose per gli immunodepressi

Con oltre 700 contagi nelle ultime 24 ore, Israele torna sui livelli registrati a marzo (anche se con molti meno casi gravi rispetto ad allora). Una situazione che suscita allarme anche alla luce dell'ottimo esito della campagna di vaccinazione, la più brillante a livello globale. Dei nuovi contagiati, ben il 53% erano vaccinati o già contagiati guariti in precedenza dal Covid. Nel 90% dei casi si tratterebbe di infezione da variante Delta, sempre più diffusa anche nel resto del mondo (Italia compresa).  
Per correre ai ripari il ministero della Salute ha autorizzato alla somministrazione di una terza dose del vaccino Pfizer agli immunodepressi. Tra le categorie interessate dal provvedimento chi ha subito trapianti di cuore, polmoni, fegato, midollo osseo o reni. 
Sul tavolo di un vertice dedicato al virus, in programma nelle prossime ore, anche l'ipotesi di un dimezzamento della quarantena per chi è stato esposto al Covid o è di ritorno dall'estero: si passerebbe da 14 a sette giorni. Secondo la stampa israeliana, una mossa concordata dal Primo ministro Naftali Bennett con il ministro Nitzan Horowitz. 
Negli scorsi giorni il ministero aveva reso noto gli esiti di una ricerca scientifica secondo la quale l'efficacia del siero contro la variante sarebbe al 64%. 

Leggi

I FUNERALI A TORINO

L'ultimo saluto a Emilio Ottolenghi:
"Protagonista anche in campo ebraico"

Al cimitero ebraico di Torino, nella tomba di famiglia, l’ultimo saluto a Emilio Ottolenghi, grande imprenditore illuminato scomparso a Bologna dove aveva vissuto per la gran parte della sua vita. Insieme alla moglie Nicoletta e ai tre figli Guido, Alberto ed Emanuele e ai nipoti, si sono stretti tanti parenti e amici venuti da tutta Italia.
La cerimonia, guidata da rav Luciano Caro e da rav Alberto Somekh, ha avuto, insieme alle preghiere, l’importanza e il valore di ricordare un uomo dalle capacità straordinarie, non solo imprenditoriali e nel mondo bancario, ma soprattutto nel grande amore per la famiglia e per l’ebraismo e le sue istituzioni, cui da sempre ha collaborato.
Sin dagli anni della ricostruzione Ottolenghi ha partecipato attivamente alla vita dell’ebraismo italiano, e bolognese in particolare, ritenendolo un impegno prioritario, al pari di quello per il lavoro e per la famiglia
La sua presenza discreta, equilibrata, saggia e anche ironica è stata ricordata nelle parole dei rabbini e nel messaggio di Dario Disegni, presidente della Comunità ebraica di Torino, la sua città di origine. E nel saluto che, a nome di tutto l’ebraismo italiano e della Presidente UCEI, ha portato Giulio Disegni, vicepresidente dell’Unione, che ha tenuto a ricordare soprattutto l’impegno di Ottolenghi negli anni difficili della transizione dal vecchio sistema che guidava l’ebraismo italiano al nuovo sistema caratterizzato dall’Intesa tra l’Unione delle Comunità e lo Stato italiano. Erano presenti anche il vicepresidente UCEI Giorgio Mortara e l’assessore David Menasci
E poi il ricordo dei tre figli. Un ricordo commovente, appassionato e anche diversificato nelle memorie e negli affetti personali di ciascuno di loro. Alla fine il ringraziamento della moglie.
Sia il suo ricordo di benedizione.

.

Leggi

Antisemitismo cieco
Se avessi ritardato di un mese la pubblicazione del mio ultimo impegno, questo lo avrei inserito come esempio di antisemitismo inconsapevole, o cieco. Cieco perché chi me lo ha espresso non sapeva affatto che io fossi ebreo. E neppure ora lo sa. Ma andiamo con ordine.
Siamo in montagna, a casa nostra, qualche giorno fa, e stiamo finendo di pranzare in giardino. Due preti, ospiti di una vicina residenza estiva, stanno passeggiando di fuori, si fermano a guardare la casa. Uno dei due, il più ardito, chiede di essere autorizzato a fotografarla. Non c’è problema. Ci vuol mostrare la bella foto che ha fatto. Perché no? Si introduce nel giardino e impone cortesemente la sua presenza assieme all’amico. Ormai dentro e avviata una conversazione a senso unico, mia moglie li invita a sedersi per un caffè o un frutto. Il più loquace ci racconta, non richiesto, la sua vita.
 
Dario Calimani
Leggi
Leggi a confronto
Nel novembre 2016, il legislatore francese ebbe a modificare il codice penale, introducendo questa novellazione: Art.225 – 1 "Constitue une discrimination toute distinction opérée entre les personnes physiques sur le fondement de leur origine, de leur sexe, de leur situation de famille, de leur grossesse, de leur apparence physique, de la particulière vulnérabilité résultant de leur situation économique, apparente ou connue de son auteur, de leur patronyme, de leur lieu de résidence, de leur état de santé, de leur perte d’autonomie, de leur handicap, de leurs caractéristiques génétiques...".
Emanuele Calò
Tra odio e protezione
L’antisemitismo intorno a noi continua a crescere, per ragioni e in direzioni più volte analizzate. Osservatori, processi di analisi, tentativi di intervento in molteplici ambiti sono in piena attività, con l’obiettivo di comprendere a fondo il meccanismo che accende e sviluppa il fenomeno ai nostri giorni, di formare a una visione del mondo “altra” rispetto a quella intrisa di odio che lo alimenta, di reprimere in modo efficace le sue varie manifestazioni.
 
David Sorani
Pagine Ebraiche 24, l'Unione Informa e Bokertov sono pubblicazioni edite dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. L'UCEI sviluppa mezzi di comunicazione che incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Le testate giornalistiche non sono il luogo idoneo per la definizione della Legge ebraica, ma costituiscono uno strumento di conoscenza di diverse problematiche e di diverse sensibilità. L’Assemblea dei rabbini italiani e i suoi singoli componenti sono gli unici titolati a esprimere risoluzioni normative ufficialmente riconosciute. Gli utenti che fossero interessati a offrire un proprio contributo possono rivolgersi all'indirizzo comunicazione@ucei.it Avete ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo e-mail, scrivete a: comunicazione@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio "cancella" o "modifica". © UCEI - Tutti i diritti riservati - I testi possono essere riprodotti solo dopo aver ottenuto l'autorizzazione scritta della Direzione. l'Unione informa - notiziario quotidiano dell'ebraismo italiano - Reg. Tribunale di Roma 199/2009 - direttore responsabile: Guido Vitale.
Twitter
Facebook
Website