Lipsia e la sfida dell’ebraismo vivo

“Un importante messaggio per i nostri soldati ebrei”. E la dimostrazione “che l’ebraismo è un’identità viva”.
È duplice la soddisfazione di Annegret Kramp-Karrenbauer, ministro della Difesa di Germania, per l’insediamento del rav Zsolt Balla. Anche lei, come altre autorità dello Stato, era presente alla cerimonia in sinagoga a Lipsia.
Una giornata indelebile e ancor più significativa se pensiamo alla storia della città sotto il nazismo. Prima del secondo conflitto mondiale vivevano a Lipsia circa 14mila ebrei: la sesta comunità del Paese e la prima di Sassonia. Alla fine della guerra, se ne conteranno appena 15. Si sarebbero poi aggiunti i reduci dai campi di sterminio, per un totale di circa 200 persone. Una faticosissima risalita dalle macerie.
Per gli ebrei di Lipsia la prima voragine si era aperta nel 1938 con la Kristallnacht, la Notte dei Cristalli. Oltre alle persone, con omicidi, raid e centinaia di arresti, a farne le spese fu la sinagoga in stile moresco inaugurata a metà Ottocento in un’epoca di grandi speranze e aspettative. Interamente distrutta e mai ricostruita, ma ancora viva nel ricordo. Toccante il Memoriale istituito dove un tempo sorgeva il Beth haKnesset, con 140 sedie vuote in ricordo di tutte le vite spente nella Shoah. Ogni sedia simboleggia 100 unità, per un totale di 14mila anime.
Di sinagoghe ne è sopravvissuta solo una, la Brody, risalente anch’essa al diciannovesimo secolo, che è oggi il perno di una delle comunità ebraiche più attive del Paese. Ne fanno parte all’incirca 1300 persone, provenienti perlopiù da Paesi un tempo nell’orbita dell’Unione Sovietica.
Non è un caso, spiega rav Balla, che molti di loro parlino russo. E che il russo sia molto più di una seconda lingua per questo piccolo ma crescente nucleo enormemente rivitalizzato dalla loro presenza.
Un dato utile per capire: nel 1989, alla vigilia del crollo del Muro di Berlino, gli ebrei a Lipsia erano appena poche decine.

(13 luglio 2021)