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LE PAROLE DEL MINISTRO DELLA DIFESA ISRAELIANO 

"Se necessario pronti a colpire l'Iran"

Alla domanda se Israele è pronta a colpire l’Iran, il ministro della Difesa israeliano Benny Gantz ha risposto senza giri di parole. “Sì, siamo pronti”. Anche se la speranza è “di non essere trascinati in quella direzione”. Intervistato in queste ore dai giornalisti del sito di informazione ynet, Gantz ha aggiunto che l’impegno primario di Israele è diretto a mobilitare la comunità internazionale per tenere a freno Teheran. “Non possiamo etichettare l’Iran come una questione esclusivamente israeliana e assolvere il resto del mondo da questo problema”, le sue parole. “Il mondo deve occuparsi dell’Iran”.
A maggior ragione quando il regime di Teheran continua a minacciare l’area, compiendo aggressioni nel Golfo dell’Oman – come i recenti attacchi contro due navi mercantili – e proseguendo nella sua corsa al nucleare. Secondo le fonti del ministro, Teheran sarebbe a sole 10 settimane dall’acquisire abbastanza uranio arricchito per costruire una bomba nucleare. “Questo non è un problema solo d’Israele. E il mondo ha avuto una dimostrazione (della pericolosità iraniana) questa settimana. È stata aggredita una nave e sono rimasti uccisi un capitano rumeno e una guardia di sicurezza inglese”. Il riferimento è all’attacco compiuto con un drone suicida contro la Mercer Street, nave di proprietà britannica gestita da una società con a capo un israeliano.

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L'INTERVENTO DI UCEI E COMUNITÀ DI TORINO

"Alessandria eviti l'oltraggio di una via per Almirante"

Intitolare una strada pubblica a Giorgio Almirante significherebbe celebrare non solo la sua persona, ma anche il fascismo. E questo “non può né deve accadere”.
È quanto evidenziano UCEI e Comunità ebraica di Torino in una lettera inviata al sindaco e ad alcune tra le principali cariche istituzionali (tra cui prefetto e questore) di Alessandria. L’intervento congiunto, a firma dei presidenti Noemi Di Segni e Dario Disegni, arriva dopo il via libera della Commissione toponomastica alla proposta del presidente del Consiglio comunale Emanuele Locci.
Secondo Locci, eletto in una lista civica ma segnalato in forte sintonia con Fratelli d’Italia, l’operato di Almirante rappresenterebbe un faro “a cui ispirarsi continuamente” e il suo sostegno alla causa antisemita una banale esperienza giovanile “da contestualizzare in una vicenda storica”. La parola sulla proposta passerà ora a sindaco e Giunta del Comune piemontese, guidato da una coalizione di centrodestra.
L’intervento dei presidenti di UCEI e Comunità ebraica di Torino è volto a scongiurare un esito lesivo della storia, memoria e dignità d’Italia. “Riteniamo preciso dovere civile – scrivono – sollevare la nostra voce per impedire quell’intitolazione perché la Città di Alessandria, insignita della Medaglia d’Oro al valore militare per i meriti avuti nella Resistenza al nazifascismo, non merita che una delle sue strade porti il nome di un uomo di cui s’intende celebrare la memoria, ma di cui non si ha memoria”.
“Non possiamo dimenticare – si legge nel messaggio – che Almirante, già redattore capo di Il Tevere, quotidiano fascista diretto da Telesio Interlandi, e di Difesa della razza, capo Gabinetto del Ministero della Cultura popolare della Repubblica di Salò, nel 1947 venne deferito alla Commissione Provinciale della Questura di Roma per l’acceso fanatismo dimostrato sotto il passato regime e per le iniziative di esaltazione del ventennio e di propaganda di principi sovvertitori delle istituzioni democratiche.
“Non possiamo dimenticare che nel 1947 Almirante fu condannato per collaborazionismo con le truppe naziste, tanto che nei suoi confronti fu emesso provvedimento di confino di polizia, che nel 1958 fu denunciato dalla Questura di Trieste per ‘Vilipendio degli Organi Costituzionali dello Stato’, che nel 1971 il Procuratore della Repubblica di Spoleto chiese alla Camera l’autorizzazione a procedere nei suoi confronti per i reati di ‘Pubblica Istigazione ad Attentato contro la Costituzione’ e ‘Insurrezione Armata contro i Poteri dello Stato’ e nel 1972 il Procuratore di Milano, Bianchi D’Espinosa, chiese l’autorizzazione a procedere per tentata ricostituzione del Partito fascista.
“Non possiamo dimenticare il Manifesto lanciato il 17 maggio 1944 agli sbandati e agli appartenenti alle bande che ‘dovranno presentarsi a tutti i posti militari e di Polizia Italiani e Germanici entro le ore 24 del 25 maggio. Tutti coloro che non si saranno presentati saranno considerati fuori legge e passati per le armi mediante fucilazione nella schiena’”’
“Non possiamo infine dimenticare quanto scritto da Almirante su La Difesa della Razza il 5 maggio 1942: ‘Il razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti, se veramente vogliamo che in Italia ci sia, e sia viva in tutti, la coscienza della razza. Il razzismo nostro deve essere quello del sangue, che scorre nelle mie vene, che io sento rifluire in me, e posso vedere, analizzare e confrontare col sangue degli altri. […]. Altrimenti finiremo per fare il gioco dei meticci e degli ebrei […]. Non c’è che un attestato col quale si possa imporre l’altolà al meticciato e all’ebraismo: l’attestato del sangue'”.
Vita, scelte, valori e azioni di Almirante – si ricorda ancora – “non sono stati né durante il fascismo, né durante la Repubblica, testimonianza di sviluppo e progresso civile, necessari per una società degna di questo nome”. Un eventuale oltraggio che la città di Alessandria, “per l’eroica lotta ingaggiata dalla sua popolazione contro il nazifascismo durante gli anni bui della guerra e per il tributo pagato dagli ebrei alessandrini, venticinque dei quali, su una popolazione di 245 ebrei presenti in città, arrestati dai nazifascisti, finirono nei campi di sterminio e non tornarono più alla vita”, non merita.

(Nell'immagine: il palazzo comunale di Alessandria)

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LE RESPONSABILITÀ FASCISTE NELLA PERSECUZIONE E NELLO STERMINIO 

Gli ebrei d'Alessandria e la ferita della Shoah

In margine alla inaccettabile proposta di intitolare una strada di Alessandria al nome di Giorgio Almirante, è doveroso ricordare qui il pesante tributo pagato durante gli anni bui del fascismo dalla Comunità ebraica locale (dal 1989 divenuta Sezione della Comunità di Torino), in termini di vite umane e di grave sgretolamento della stessa Comunità, che da quella tragedia non si è più ripresa. “È un capitolo – come sottolineato da Cesare Manganelli e Bruno Mantelli nel volume Antifascisti, partigiani, ebrei. I deportati alessandrini nei campi di sterminio nazisti 1943-45, Franco Angeli, 1991 – spesso sottovalutato, della storia provinciale e nazionale. Di fronte alla dimensione di massa del genocidio, in particolare nell’Europa centrale ed orientale, la deportazione degli ebrei alessandrini può sembrare un evento di scarsa rilevanza quantitativa, così come il tentarne una sia pur sommaria ricostruzione può apparire un granello insignificante di fronte alla vastità ed alla profondità del dibattito sullo sterminio”.
Ma quello di cui parliamo è un capitolo significativo per comprendere come la terribile macchina persecutoria messa in piedi dal fascismo abbia operato scientificamente in tutte le realtà del Paese, dalle più grandi alle più piccole, con una precisione e un rigore che difficilmente non potevano non lasciare il segno ovunque avessero a che fare.


Già nel settembre 1938 da Roma veniva sollecitato il Prefetto di Alessandria perché provvedesse ad inviare gli elenchi dei membri delle Comunità che avevano sede nella provincia (oltre ad Alessandria, Casale Monferrato ed Acqui Terme). Le liste vennero preparate in un mese e spedite. Per quanto riguarda Alessandria – scrivono Manganelli e Mantelli – “troviamo censiti i gruppi familiari…L’analisi di questi scarsi elementi ci permette di avanzare alcune considerazioni generali: le 102 famiglie schedate sono, in grande maggioranza, originarie della provincia o addirittura della città, segno indubbio di un profondo radicamento della comunità nel tessuto sociale e civile urbano”. Nel 1938, secondo un documento redatto dalla Comunità ebraica alessandrina, gli ebrei presenti in città erano 245 (113 uomini e 132 donne), lo 0,28 per mille dell’intera popolazione (circa 84000 persone).
I rastrellamenti nella Provincia furono due, il primo nel febbraio 1944: gli arrestati furono sette, inviati al campo di Fossoli; il secondo nell’aprile dello stesso anno e gli arrestati furono sei, inviati alle Carceri Nuove di Torino e poi a Fossoli, da dove furono trasferiti nei campi di sterminio. Altri cinque deportati vennero catturati in tempi diversi; un solo casalese è ritornato.
Il Tempio di Alessandria fu danneggiato e spogliato degli arredi lampadari e ogni altro oggetto asportabile; fu svaligiata la cassaforte, che conteneva il patrimonio della Comunità, l’archivio interamente distrutto e le due biblioteche, ricche di libri e preziosi manoscritti, disperse. Anche le case degli ebrei alessandrini furono occupate, devastate e saccheggiate dai fascisti e dalle truppe tedesche che le avevano requisite.

(Nelle immagini: l'esterno e l'interno della sinagoga di Alessandria)

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LE NUOVE SFIDE DEI PROGETTI DIGITALI DEDICATI ALL'ITALIA EBRAICA

MyJewishItaly, l'incontro con il ministro
"Importanti prospettive di collaborazione"

Proficuo incontro tra una delegazione dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane guidata dalla presidente Noemi Di Segni e dall’assessore alla Casherut Jacqueline Fellus e il ministro del Turismo Massimo Garavaglia.
Al centro prospettive e opportunità del sito e della app MyJewish Italy (clicca qui per il sistema operativo iOSqui per il sistema Android) recentemente lanciata dall’UCEI con l’obiettivo di valorizzare l’Italia ebraica in tutte le sue sfumature. I luoghi di maggior interesse storico e culturale, mappati con l’aiuto della Fondazione Beni Culturali Ebraici in Italia. Ma anche le molte e diverse attività disseminate nella penisola: dai negozi ai ristoranti, dagli alberghi ai supermercati. Anche nel segno della lista prodotti alimentari casher opera dell’Assemblea Rabbinica Italiana in collaborazione con la Commissione Casherut UCEI. Una creazione di valore anche per tutto il sistema economico.
“Uno spirito perfettamente colto dal ministro Garavaglia” sottolinea Fellus a margine dell’incontro, cui ha anche preso parte il segretario generale dell'Unione Uriel Perugia. “La collaborazione sarà scandita da momenti di grande concretezza, come l’inserimento della nostra app all’interno di un progetto governativo su scala nazionale. Il ministro ha inoltre garantito la concessione del patrocinio, in aggiunta a quello già pervenutoci dal ministero per i Beni e le Attività Culturali, e un sostegno alla prossima Giornata Europea della Cultura Ebraica”.
Con l’aiuto del ministero l’idea, in un momento di maggiore serenità epidemiologica, è anche quella di “presentare MyJewishItaly nel resto d’Europa, attivando e/o intensificando le nostre relazioni”.
Una sfida, quella di fare rete, che riguarda anche l’ebraismo italiano. “Tutte le Comunità, dalle più grandi alle più piccole, possono ugualmente beneficiare di un servizio che rappresenta una grande opportunità di conoscenza verso l’esterno. Un obiettivo – spiega Fellus – in linea con quello del ministero”. Tra i propositi per il futuro quello di intensificare la formazione delle guide turistiche così da avere “almeno una guida in ogni Comunità”.

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IL DOSSIER PADOVA EBRAICA 

Un museo per incontrarsi e raccontarsi

“Il più grande patrimonio della Comunità ebraica di Padova non sono i suoi oggetti, pur bellissimi e di grande valore, ma le persone che vi hanno vissuto”. Questa l’idea alla base del Museo della Padova ebraica, inaugurato nel giugno del 2015, nelle riflessioni dell’allora presidente Davide Romanin Jacur. Un luogo di vita e racconto negli spazi dell’antica sinagoga tedesca, fondata tra 1522 e attiva fino al maggio del ‘43 quando fu data alle fiamme da una squadraccia fascista locale.
Tra i numerosi oggetti della collezione, il museo espone manufatti della tradizione ad uso familiare, come candelabri, porta spezie, piatti di Pesach, e oggetti legati alla ritualità sinagogale, tra cui spiccano un parochet di origine mamelucca del XV secolo, tessuti pregiati e Sefer Torah. Suggestiva anche l’esperienza multimediale possibile grazie a due supporti audiovisivi a disposizione dei visitatori.
Un breve e coinvolgente documentario offre una panoramica storica sulla Comunità padovana e i suoi luoghi: dalle sinagoghe agli antichi cimiteri. Al centro di una video-installazione (“Generazione va, generazione viene”) opera del regista Denis Brotto le donne e gli uomini che l’hanno resa un centro ebraico di grande vitalità. Nell’installazione alcune personalità illustri prendono vita per narrare la propria storia, rivolgendosi idealmente al pubblico. 

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LE REAZIONI ALLA SENTENZA

"Cassazione ci riconosce come onlus parziaria,
per la Comunità di Milano è una vittoria"

La Comunità ebraica di Milano è una onlus parziaria. È quanto sancito dalla Corte di Cassazione in una recente sentenza che chiude una vicenda giudiziaria durata dieci anni. Un risultato importante, sottolineano il presidente e il segretario della Comunità milanese Milo Hasbani e Alfonso Sassun. “Sapevamo di avere ragione ma che sarebbe stato un iter difficile. Abbiamo fatto bene a tenere duro in tutti questi anni e i risultati si sono visti”, afferma Hasbani.
La vicenda ha avuto inizio nel 2011, con l’Agenzia delle Entrate intervenuta su una questione legata alla vendita di un immobile comunitario. Spiega Sassun: “Era stato fatto un accertamento e l’Agenzia sosteneva che noi non fossimo una onlus. E quindi che non avessimo diritto alle esenzioni e tassazioni agevolate che ne derivano”. La Comunità allora aveva fatto ricorso, ottenendo un primo risultato dalla Commissione tributaria provinciale.

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EFFETTO VENEZIA AL VIA NEL SEGNO DELL'EBRAISMO

Livorno e Pisa, l'identità unica delle città senza ghetto

La Venezia, come si dice a Livorno, è un caratteristico quartiere labronico con ponti, canali e la Fortezza Nuova. Da decenni in estate ha luogo la kermesse denominata “Effetto Venezia”, densa di spettacoli, attrazioni, locali e proposte artistiche e culturali. Alla presenza dell’assessore comunale alla Cultura, Simone Lenzi, ad aprire la manifestazione è stato il talk incentrato sullo slogan, assai significativo, “Livorno Pisa No Ghetto”, ospitato presso “Palazzo Bagitto”, come è stato non a caso denominato l’antico magazzino a due piani concesso agli organizzatori dalla Comunità ebraica di Livorno. 

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LA CERIMONIA NEI LUOGHI DEL MASSACRO

Strage della famiglia Einstein,
il ricordo insieme agli ebrei fiorentini

Il 3 agosto del 1944 la famiglia di Robert Einstein, cugino del celeberrimo scienziato che viveva nella campagna toscana, fu annientata dai nazisti in ritirata. Restarono uccisi in quell’azione criminale, conosciuta come la strage del Focardo, Mazzetti detta Nina, che di Einstein era la moglie, e le loro figlie Luce e Annamaria. Il marito non c’era. Temendo per la cattura, ma ritenendo che le persone a lui più care non corressero questo rischio perché non di religione ebraica, si era dato alla macchia per poi unirsi ai partigiani. Al ritorno a casa non resse al dolore e si tolse la vita.
Ogni anno il ricordo di quanto avvenuto è l’occasione di una cerimonia: a rappresentare la Comunità ebraica fiorentina la vicepresidente Brett Lalonde. “Oggi – le sue parole – ricordare questo evento invita ad una riflessione su diversi livelli. Il primo è l’importanza di non dimenticare mai come un’ideologia può spingersi fino ad temere, odiare, estraniare, disumanizzare e perfino sterminare chi è ritenuto diverso. Il secondo è una riflessione sull’importanza di portare avanti la memoria, anche ricordando questi eventi dolorosi”.

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Il bisogno di sicurezza
Che cosa hanno in comune l’attacco cybernetico alla Regione Lazio, l’intensificarsi di fenomeni atmosferici anomali, la rinnovata minaccia del Covid-19? Niente, ovviamente, se si guarda al contenuto di questi episodi. Ma verificandosi in un tempo ristretto sul medesimo territorio producono un forte senso di insicurezza nei cittadini, al quale le forze politiche e le stesse istituzioni faticano a dare risposte convincenti.
 
Valentino Baldacci
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Machshevet Israel - Il bambino bicefalo
Nel 1985 il rabbino, storico e teologo Irving Yitzchaq Greenberg, allora presidente del newyorkese Jewish Center for Learning and Leadership, scrisse un accorato paper per una convention di leaders ebrei nordamericani sul tema: “Ci sarà ancora, nel 2000, un solo popolo ebraico?”. A fronte non solo del crecsente pluralismo ma anche da una netta tendenza alla frammentazione semi-anarchica dentro la galassia ebraica, almeno negli Stati Uniti (all’epoca il luogo con più ebrei al mondo), rav Greenberg poneva un problema oggettivo.
 
Massimo Giuliani
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