Machshevet Israel
Il bambino bicefalo

Nel 1985 il rabbino, storico e teologo Irving Yitzchaq Greenberg, allora presidente del newyorkese Jewish Center for Learning and Leadership, scrisse un accorato paper per una convention di leaders ebrei nordamericani sul tema: “Ci sarà ancora, nel 2000, un solo popolo ebraico?”. A fronte non solo del crecsente pluralismo ma anche da una netta tendenza alla frammentazione semi-anarchica dentro la galassia ebraica, almeno negli Stati Uniti (all’epoca il luogo con più ebrei al mondo), rav Greenberg poneva un problema oggettivo: come evitare la disgregazione e mantenere quel minino di unità identitaria senza la quale non ha senso parlare di ‘am Israel, di ‘popolo ebraico’. A distanza di tanti anni, la demografia attesta che la maggior parte degli ebrei vive oggi nello stato di Israele, e sebbene le tendenze assimilatrici in America non siano diminuite, tuttavia la diaspora, non più vissuta come ‘esilio’, non è affatto destinata a scomparire. La domanda su chi/cosa sia ‘am Israel, da sempre tema di pensiero ebraico, resta oggetto di rifessione, discussione e controversia.
Terra di Israele e diaspora (che sia Babilonia o Sfarad, Olanda o America) sono i due poli che, secondo il filosofo Achad Ha‘am, costituiscono i foci di un ellisse, e il giudaismo è meglio raffigurato come ellettico piuttosto che cerchiato o concentrico, ossia con un’unico centro. Ma Achad Ha‘am lo scriveva quand’era ad Odessa; poi da vero sionista si trasferì in eretz Israel. Due foci, allora? Perché non tre (infatti, oltre venti secoli fa, accanto a Bavel e eretz Israel c’era Alessandria)? O molti, tanti quanti sono i luoghi della creatività ebraica? Non ha scritto David Biale una ‘storia delle civiltà ebraiche’? Uno, nessuno, centomila? Battute a parte, la questione di cosa faccia degli ebrei che vivono da Cuba a Boston, da Londra a Gerusalemme, da Buenos Aires a Città del Capo… un solo popolo è assolutamente seria. Come serio resta il fatto che quest’unico popolo ha sempre almeno due poli, uno fisso e uno mobile, la terra di Israele e la diaspora. Non è un caso che esso sia stato paragonato al bambino bicefalo di cui leggiamo nel Talmud (Bavli, Menachot 37a). L’ipotesi, un vero case study, è presa seriamente dai maestri che si chiedono: sono due o è uno solo? Quanto va pagato al cohen per il pydion haben, il riscatto del primogenito: singolo o doppio? Come va assegnata l’eredità: va forse divisa in due? Su quale testa andranno messi, per primo, i tefillin? Metaforicamente, ma con grande realismo, rav Joseph Soloveitchik proietta il caso del figlio bicefalo sulla questione del popolo ebraico.
Come risposero gli antichi maestri d’Israele? “Che si versi dell’acqua bollente su una testa e vediamo la reazione dell’altra”. Chiaro: se sono due entità separate e incomunicanti, la seconda non reagirà all’acqua bollente; in caso contrario si saprà che non sono affatto due entità separate… Fuor di metafora, se quel che fa soffrire eretz Israel, nello stato di Israele, fa soffrire anche gli ebrei della diaspora, e viceversa, vuol dire che ancora esiste un solo popolo di Israele. Spiega rav Soloveitchik: “Va affermato dunque che, fintanto che vi è sofferenza comune e partecipata – nel senso che ‘Io sarà con lui nelle avversità’ (Salmo 91,15) – vi sarà unità… Se l’acqua bollente verrà versata sulla testa dell’ebraismo marocchino, anche i benpensanti ebrei londinesi e parigini dovranno urlare e, condividendo lo strazio, dimostrarsi fedeli alla nazione… Il popolo di Israele ha una responsabilità collettiva, sia halakhica sia morale, ognuno verso il proprio prossimo”. Se qualcuno, fuori da Israele, pensa che questo sia complottismo o un intrigo simil-massonico, lo pensi pure. Dal punto di vista halakhico e morale, dice il Rav, è pura empatia; anzi un dovere di ahavà e di achvà, di amore fraterno.
Curioso, a ben vedere, che nel racconto talmudico il caso del bambino bicefalo, sollevato in una discussione su come vadano indossati i tefillin, abbia suscitato grande sdegno da parte di Yehuda HaNassi, il presidente del sanhedrin, il quale avrebbe messo il saggio Peleimu, colui che aveva avanzato quell’ipotesi, dinanzi all’alternativa: o esci immediatamente e non ti fai più vedere, oppure accetti di essere scomunicato! Come a dire, simili ipotesi sono indegne di una discussione halakhica. Il Talmud però non si schiera con il presidente, perché riferisce che nel frattempo – mentre Yehuda HaNassi minacciava Peleimu – giunse uno che disse: è nato un bambino con due teste, come lo si deve riscattare? Si paga per uno o per due… Il bicefalismo genetico sarà rarissimo, ma in metafora è assai diffuso, come ha ben colto il Rav di Boston. E rimanda a domande sostanziali: cosa fa di ebrei tanto diversi, per lingue e minhaghim e culture e stili di vita, un popolo solo, ‘am Israel, di cui parla la Torà scritta e orale? Ė improprio pensarlo come un corpus mysticum? O come un’idea platonica? Come far giustizia, ad un tempo, alla sua concretezza e alla sua idealità, alla sua unicità e alla sua pluralità?

Massimo Giuliani, Università di Trento

(5 agosto 2021)