Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui   15 Febbraio 2022 - 14 Adar 5782

LA STORICA VISITA DI BENNETT IN BAHREIN

'Iran minaccia comune, lavoriamo insieme per la pace'

Un tappeto rosso ad attendere Naftali Bennett, larghi sorrisi e poi le note dell’Hatikvah. 
Il primo storico viaggio di un Primo ministro d'Israele in Bahrein si è aperto nel segno di una calorosa e non scontata accoglienza, come sottolineano in queste ore i media israeliani. “Grazie, amici miei, per un benvenuto così caldo e generoso. Questa è la prima visita ufficiale di un Premier israeliano in Bahrein, ma non è solo simbolica. – le parole di Bennett all’arrivo a Manama – Il mio scopo è quello di rafforzare i contenuti degli Accordi di Abramo e le relazioni tra le nostre nazioni”. In agenda, incontri con bilaterali con diversi ministri del governo locale e in particolare con il re Hamad bin Isa Al Khalifa, e con il principe ereditario e primo ministro del paese Salman bin Hamad Al-Khalifa. Come ha ricordato Bennett, la sua missione è figlia degli accordi siglati nel 2020, che hanno portato alla normalizzazione dei rapporti tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein. Un’intesa diventata fondamento di una cooperazione economica in via di sviluppo sia per la costruzione di un’alleanza strategica in chiave anti-Iran.
Al riguardo, intervistato dal giornale locale Al-Ayyam, Bennett ha parlato della comune sfida per la sicurezza derivante dalla minaccia iraniana che mina la stabilità della regione. “Combatteremo l’Iran e i suoi seguaci nella regione notte e giorno. Aiuteremo i nostri amici a rafforzare la pace, la sicurezza e la stabilità, ogni volta che ci verrà chiesto di farlo”, la dichiarazione del Premier al giornale arabo. “L’Iran – ha proseguito Bennett – sostiene i gruppi terroristici attivi nella vostra e nella nostra regione per un obiettivo: cerca di distruggere gli stati moderati che si preoccupano del benessere del loro popolo e lavorano per la sicurezza e la pace”. Un termine, quello della pace, più volte utilizzato da Bennett per ribadire l’importanza dell’intesa con i paesi del Golfo.
Il Bahrein è governato dal 1783 dalla dinastia musulmana sunnita Khalifa, mentre la maggioranza della popolazione è sciita. Quest’ultima si è a lungo lamentata di subire discriminazioni. Come ha ricordato il New York Times, la famiglia al-Khalifa ha spesso accusato l’Iran di incoraggiare disordini. “Negli anni ’80, – scrive il quotidiano americano – il Bahrein ha detto di aver sventato due complotti golpisti a favore dell’Iran”. 
Per questo passato, il piccolo paese del Golfo condivide le preoccupazioni odierne d’Israele di fronte all’aggressività iraniana. Ed è altrettanto scettico rispetto all’intesa sul nucleare che le potenze occidentali stanno cercando di siglare con il regime di Teheran a Vienna. Un’intesa che Bennett ha definito “un errore strategico”. Le posizioni di Manama e Gerusalemme dunque convergono, ma l’obiettivo della missione è quello di sviluppare anche nuove collaborazioni commerciali in molti campi, dalla tecnologia all’agricoltura. Per il momento il volume degli affari è molto ridotto: è passato da zero a 300mila dollari nella prima metà del 2021. Cifre ben lontane dai milioni investiti nella cooperazione tra Israele ed Emirati. Del resto il peso del Bahrein è significativamente minore in questo ambito. Eppure il regno ha un ruolo strategico perché fortemente connesso all’Arabia Saudita. Se Riad, la grande potenza regionale in conflitto con l’Iran, non avesse voluto, Manama non avrebbe mai siglato gli Accordi di Abramo. E invece i sauditi, che hanno salvato la famigli al-Khalifa dalle proteste della primavera araba e dalla crisi petrolifera del 2018, hanno dato il loro assenso alla normalizzazione dei rapporti con Gerusalemme. Per arrivare in Bahrein poi il volo di Bennett ha ottenuto l’autorizzazione a sorvolare lo spazio aereo saudita, così come era accaduto per altri voli israeliani (tra cui quello del ministro della Difesa Benny Gantz, primo a visitare il Bahrein). Un segno di come i rapporti nell’intera regione siano cambiati.

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SPORT E IDENTITÀ

Dalla Yeshivah al sogno olimpico:
Hailey Kops, la speranza d'Israele

“No War in Ukraine”. Il cartello esposto dallo skeletonista Vladyslav Heraskevyč ha suscitato un vivace dibattito tra ammiratori e detrattori di questa iniziativa. Non è piaciuta ad esempio al Comitato Olimpico Internazionale, che l’ha ritenuta in contrasto con lo spirito dei Giochi in svolgimento a Pechino in quanto, è stato reso noto, “abbiamo bisogno di rimanere politicamente neutrali”. È così arrivata un’ammonizione: un’altra presa di posizione non proprio memorabile da parte di un organismo già sotto accusa, anche da parte di autorevoli figure del mondo ebraico, per la sua passività di fronte al tema dei diritti umani negati (in particolare nei confronti degli uiguri). “Se penso a mio padre, il mio senso di vergogna per queste Olimpiadi non può che acuirsi”, scriveva appena pochi giorni fa il figlio di Elie Wiesel.
Un tema, quello del possibile conflitto tra Russia e Ucraina forse ora finalmente disinnescato, che resta comunque uno dei più discussi tra gli sportivi. Non indifferente a quanto sta accadendo è la piccola rappresentativa israeliana. Sei atleti, tutti nati all’estero e ben tre in Ucraina. Nativo di Kiev è il pattinatore Evgeni Krasnopolski, 33 anni, portabandiera d’Israele nella cerimonia inaugurale. Debutterà nei prossimi giorni, in coppia con la 19enne Hailey Kops. Originario di Leopoli il 32enne Vladislav Bykanov, sul quale Israele faceva affidamento per provare a ottenere una medaglia nello short track (che però non è arrivata). Di Kiev anche il collega Alexei Bychenko, 34 anni, eliminato nelle prime fasi del pattinaggio di figura maschile.
La curiosità verso la prova di Krasnopolski e Kops non è però legata ai venti di guerra al confine tra Russia e Ucraina e ad improbabili messaggi pubblici in tal senso ma al profilo, unico nel suo genere, della giovanissima pattinatrice in gara (che è nata e cresciuta nel New Jersey). Poco prima della chiamata della federazione studiava infatti a tempo pieno in una yeshivah Modern Orthodox “mista” di Gerusalemme.

(Nell’immagine: Krasnopolski e Kops durante un allenamento)

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L'INIZIATIVA DELL'AMBASCIATA D'ISRAELE CON MEIS E IED DI ROMA

“Ebraico, una lingua da disegnare"

“A livello simbolico, Nun è la ricerca profonda della verità nelle tenebre. In ebraico la troviamo come iniziare della parola Ner (candela). Ho associato queste due immagini per dare una rappresentazione della lettera allo stesso tempo letterale e spirituale, che trova sintesi appunto in una candela che riluce nel buio. In posizione iniziale, Nun esprime un potenziale, una forza nascosta che è dentro ogni cosa. In posizione finale, invece, si trasforma nel momento in cui questa forza si manifesta e si sviluppa pienamente”.
Così Ilaria Geronzi, studentessa dell’Istituto Europeo di Design (IED) di Roma, ha raccontato la sua scelta di rappresentare in modo originale la lettera ebraica Nun. Il suo è uno dei lavori parte del progetto “Disegnare l’ebraico” promosso dallo IED di Roma assiema all’ambasciata d’Israele in Italia e in collaborazione con il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara. L’iniziativa ha coinvolto gli studenti del secondo anno del corso di Illustrazione e Animazione che, al termine di un percorso formativo, hanno presentato una propria rappresentazione delle lettere ebraiche. Il progetto ha preso avvio a novembre, con lezioni tenute da Smadar Shapira e Maya Katzir, rispettivamente consigliere per gli affari pubblici e addetta culturale dell’Ambasciata, dal direttore del Meis e sofer Amedeo Spagnoletto e da Ely Rozenberg, designer israeliano e coordinatore dei corsi di Design alla Rome University of Fine Arts.

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Istituzioni e coerenza
Quando a governare c’è una coalizione eterogenea di partiti e di idee, può capitare che chi viene, con credibile sensibilità, a deporre una corona ai deportati della Shoah possa, negli stessi giorni, patrocinare un’iniziativa che commemora i giovani della Repubblica di Salò o qualche calamitoso gerarca fascista. Sono gli incidenti di percorso della politica o, se si vuole, gli infausti compromessi a cui certa politica è costretta a ricorrere. Ma, al di là della condanna e al di là del moto di stizza e ribellione che la cosa può suscitare in noi, il problema che non possiamo evitare di affrontare è la coerenza del nostro rapporto con dette istituzioni. Ci si può porre di fronte all’incidente con trasparente onestà, o si può fingere di non aver visto né udito, e tirare dritto. Quello che certamente non si può fare è fingere che il dilemma non esista.
Dario Calimani
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La casa degli ebrei
Il rapporto di Amnesty su Israele è molto pirandelliano. Per non faticare attingo dalla Treccani: impossibilità di distinguere tra realtà, apparenza e finzione, quindi, spesso, angosciosamente ambiguo, intellettualistico, sconcertante, paradossale. Lo Stato ebraico viene accusato di essere criminale e crudele perché praticherebbe l’apartheid.
 
Emanuele Calò
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Il diritto a un esame vero
È bastato che il ministro dell’istruzione Patrizio Bianchi annunciasse un parziale ritorno all’Esame di Stato dell’era pre-Covid perché si scatenasse il putiferio. Proteste e sollevazioni delle rappresentanze studentesche, critiche del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione e dell’Associazione Nazionale Presidi, richiesta degli studenti di ridiscutere tutta la questione e immediata convocazione dei loro rappresentanti in Viale Trastevere, con la proposta del ministro di concedere una seconda prova non unica a livello nazionale ma elaborata dalla commissione interna.
David Sorani
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Storie di Libia - Jasmine Mimun Hassan / 3
Terza puntata dell’intervista a Jasmine Mimun Hassan. Riprendiamo dagli animi della comunità araba esacerbati dalla propaganda fatta dal nuovo governo libero, che scatenò una Rivoluzione durante la quale fu deposto il precedente esecutivo, giudicato corrotto, per instaurarne uno provvisorio di tipo militare. Questa volta gli ebrei si illusero che gli arabi si rivoltassero solo contro gli ex governanti e i loro collaboratori e li lasciassero in pace. Ma purtroppo non fu così, l’odio non svanì mai.
David Gerbi
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