Il diritto a un esame vero
È bastato che il ministro dell’istruzione Patrizio Bianchi annunciasse un parziale ritorno all’Esame di Stato dell’era pre-Covid perché si scatenasse il putiferio. Proteste e sollevazioni delle rappresentanze studentesche, critiche del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione e dell’Associazione Nazionale Presidi, richiesta degli studenti di ridiscutere tutta la questione e immediata convocazione dei loro rappresentanti in Viale Trastevere, con la proposta del ministro di concedere una seconda prova non unica a livello nazionale ma elaborata dalla commissione interna.
Punto primo: dove è scritto e in quale altro paese d’Europa avviene che gli studenti medi concordino la metodologia e la tipologia degli esami che devono sostenere con le istituzioni statali delegate all’istruzione pubblica? Il clima di emergenza pandemica in cui viviamo da due anni genera anomalie che rischiano di snaturare il senso dello stesso dettato costituzionale, secondo il quale spetta al governo e ai suoi organi, non alle associazioni di cittadini, regolamentare lo svolgimento di esami e concorsi dotati di validità pubblica.
Punto secondo: privato di una prova caratterizzante secondo i vari tipi di istituto e centrato solo sul pur fondamentale scritto di Italiano nonché su un mega-colloquio intorno a temi più o meno concordati, l’esame non è più veramente tale, non è più una attestazione di preparazione e di capacità specifiche ma rischia di divenire una pratica poco più che burocratica che in realtà non aiuta i giovani a riappropriarsi delle proprie capacità e del proprio ruolo. Perché questa irrazionale paura della prova scritta, sia essa una versione dal latino o dal greco oppure un compito di matematica? Perché questo terrore dell’impegno meditato e costruito, teso a dimostrare/valutare le competenze particolari del settore di studi prescelto?
È vero, gli studenti sono tra coloro che più hanno pagato il prezzo dell’emergenza: scuole chiuse, didattica a distanza con tutte le sue approssimazioni, isolamento e perdita di continuità, disabitudine a prove scritte e pratiche sostenute con sistematicità. E anche dal punto di vista psicologico e sociale per i giovani sono stati due anni molto difficili, che certo lasceranno conseguenze pesanti su un’intera generazione. Questi sono dati di fatto degni della massima considerazione e del più profondo rispetto.
Ma proprio perché è doveroso fare tutto il possibile per restituire quanto prima ai ragazzi il loro diritto a una crescita e a una maturazione normali, non è giusto sospendere ancora la ripresa di una situazione scolastica regolare e di una struttura formativa adeguata. Sono proprio convinti, gli studenti, di aiutare se stessi a crescere e a raggiungere una preparazione adeguata alle necessità della società di domani facilitandosi artificiosamente il cammino, sottovalutando le proprie possibilità e tarpandosi le ali da soli ?
È sacrosanto esigere una scuola migliore da tutti i punti di vista: dai locali alle attrezzature, dalla qualità/continuità didattica al collegamento col mondo del lavoro. Ma questi fondamentali obiettivi fanno tutt’uno con la base di una adeguata e non generica preparazione personale, che è dovere del sistema scolastico fornire e degli studenti cercare di raggiungere. Ecco perché essi hanno l’impegno di puntare al massimo perseguibile e il diritto di pretendere per se stessi una formazione specifica di buon livello, che solo un vero esame e non una semi-formalità può attestare.
Insomma, pur con tutta la comprensione dovuta a chi ha frequentato le scuole superiori durante la pandemia, i giovani hanno il diritto/dovere di non considerarsi dei minus habens, affrontando con serenità quelle traduzioni, quei problemi di matematica, quelle prove psico-pedagogiche figurative o musicali che anche nei lunghi mesi del Covid avranno certo continuato ad effettuare nell’ambito del loro indirizzo specifico. A chi e a cosa giova non ritenersi all’altezza?
David Sorani
(15 febbraio 2022)