Santo subito, dice la cinepresa al popolo della tv
Santo subito? È più che un Papa: è un genio rinascimentale, eclettico, liberaleggiante, pieno di un amore senza macchie. Quando non è in raccoglimento davanti al crocifisso, discute con competenza degli ultimi modelli d’automobile; fa funzionare con le sue mani proiettori cinematografici; democraticamente invita le guardie svizzere inginocchiate a rialzarsi. Pio XII è capace perfino di uscire dal Vaticano dopo il bombardamento di Roma, ricevendo l’omaggio emozionato della città. Se per i cattolici è “il sentire del popolo” a decretare in ultima istanza la santità di un uomo, quest’uomo è in una botte di ferro. La proclamazione a Venerabile, nel 2009, è stata tappa di un processo a cui oggi dà il suo aiutino la tv. Lo sceneggiato Lux Vide su papa Pacelli è di buon pregio cinematografico, per gli standard della fiction italiana, e fa con successo ciò che mille libri di storiografia cattolica non potrebbero. Da un personaggio di cui sei decenni di studi hanno evocato luci e ombre, ricava puro bagliore. Ogni elemento del film si combina in uno sforzo concertato e privo di intoppi. Dialoghi articolati, con qualche discreta battuta a effetto, una buona prova di tutti gli attori. È messa al bando quella recitazione declamata e retorica che affligge tv e cinema italiani. Le scelte di inquadratura e i movimenti di macchina lavorano molto sulla dimensione verticale, elevando volentieri lo sguardo o volgendolo dall’alto al basso, a sottolineare il canale privilegiato che lega il protagonista al Cielo. La scena di Pio XII tra le macerie della città ferita dai bombardieri è fondata storicamente. Lo sceneggiato amplifica quel gesto, immortalato al tempo solo dalle fotografie e dal tam tam popolare. Come in quelle foto, Pio XII appare in posa da santo, insieme benedicente e adorante. E telecamera dall’alto, certo.
Sotto il cielo di Roma ha una finalità semplice: convincerci che i silenzi del Papa sulla persecuzione degli ebrei non dipesero da antisemitismo, né da eccessi di indulgenza verso un regime anticomunista. Bensì dalla convinzione che tacere avrebbe salvato vite umane. Che fosse davvero quest’idea a guidare Pio XII non è stato provato né smentito in modo definitivo. Ciò che conta qui è: dubbi simili non sfioreranno mai molti spettatori dello sceneggiato. Da cui si esce con il ricordo, arduo da cancellare, di un uomo sofferente, lacerato da scelte tragiche, sempre umano e bonario; austero ma capace di sorriso. Assolto in pieno da ogni sospetto di antiebraismo.
Scelte accorte di montaggio, regia, recitazione possono plasmare il ricordo di un personaggio storico presso le generazioni seguenti. Anche quando gli sceneggiatori fanno un lavoro accurato, non mistificatorio, senza inventare dettagli indifendibili; e di questo lavoro sostanzialmente corretto va reso merito. Piuttosto, restano comodamente assenti i personaggi che avrebbero potuto creare problemi: Mussolini, nominato en passant; i fascisti, che in un solo episodio rompono il monopolio tedesco della cattiveria partecipando a un rastrellamento; le forze dell’ordine, che quando appaiono brevemente si mettono in luce solo per pietà umana. Ed è quasi del tutto cancellato il popolo di Roma. Si fosse fatto vedere di più, sarebbe diventato necessario indagarne gli atteggiamenti: portando alla luce il mix non esaltante di indifferenza, solidarietà, opportunismo, ignavia, coraggio, crudeltà che emerse nella realtà di un tempo e luogo in cui l’antisemitismo era valuta corrente più di oggi. Abbondano invece gli uomini e donne di Chiesa; che si distinguono nel peggiore dei casi per sola insufficienza di coraggio o di generosità. Come insinuare che per i fratelli giudei qualcuno fra loro potesse nutrire antipatie?
Giuliano Tedesco, critico della Comunicazione