“Aron Cohen, il mio ricordo”

Chavàl al deavdin velo mishtakehìn – peccato per coloro che sono scomparsi e che non si trovano più – perché è difficile trovare oggi persone dell’entusiasmo e della dedizione di Aron Cohen.
Parlare di Aron non è facile per chi ha condiviso con lui quasi tutto: gli anni della shelichut in Italia per il Benè Akivà, il periodo in cui scherzosamente si dichiarava RE d’Italia, cioè rabbino estivo e collaborava con le attività del DAC e delle piccole Comunità, gli anni della Mishmereth hazeirò, gli anni trascorsi a Gerusalemme, quando ci si incontrava spesso o a casa sua o al Beth hamidràash italiano in rehov Betzalel, oppure al Centro per la diffusione della lingua e della cultura Judeo spagnola – la madre era di origine della ex jugoslavia – di cui è stato per anni direttore e grande animatore.
Al di là delle sue doti di educatore e organizzatore, Aron era veramente un amico pronto a criticare, ma anche a dare i suoi preziosi consigli che sarebbero ancora utili a molti rabbini per la sua grande esperienza nei rapporti umani.
Ma Aron aveva anche un grande senso umoristico e spesso scherzava. Di se stesso (che non era mai riuscito a essere eletto alla Keneseth, anche se per un pelo) diceva che “in tutto il mondo sono conosciuto come il fratello di Gheùlla, ma in Italia è Gheùlla che è conosciuta come sorella di Aron”. Dei rabbini italiani diceva che avevano un modo proprio di interpretare il senso della frase che si dice nella Birkàt hamazon (benedizione dopo il pasto): “Il Signore ci alimenti con kavòd” che in quel contesto significa “con dignità” ma che egli, applicandola ai rabbini italiani in cerca di onori, traduceva “con onore”.
Ci sono molti modi per ricordare Aron, intanto lo faremo martedì pomeriggio 18 gennaio alle 18.30 a Milano alla Fondazione Maimonide (via Dezza), dedicando a lui lo studio del testo talmudico (“I tre giuramenti”), il brano alla base della discussione – e poi della divisione – nel mondo ebraico dell’Europa orientale tra i religiosi che accettarono il Sionismo e quelli che lo rifiutarono.
La sua opera in Italia, sia come shaliach che come RE, meriterebbe di essere ricordata e rivisitata: penso che oggi avremmo ancora molto da imparare dal suo modo di operare.
Lehì zikhrò barùkh.

rav Scialom Bahbout