Davar acher – Mai più

Una volta dicevamo “mai più” e ancora forse osiamo ripeterlo per la Giornata della Memoria o Yom HaShoah. Mai più stragi, mai più discriminazioni, mai più ebrei nel mirino dei carnefici. Ma di fatto ci ritroviamo con una terribile continuità a piangere persone uccise in quanto ebree. Questa settimana c’è stata la strage in Bulgaria, prima Tolosa, prima ancora Eilat, i Fogel, Mumbai… La memoria si satura, gli anniversari si sovrappongono: chiediamo invano che nella cerimonia olimpica si ricordi la strage di Monaco di quarant’anni fa; l’attentato di Burgas è accaduto lo stesso giorno di quello che devastò il centro sociale ebraico di Buenos Aires, fra un po’ saranno i trent’anni di quello di Roma, i palestinesi hanno appena onorato come eroi i resti di un centinaio di terroristi di cui Israele ha riconsegnato loro i resti…
E si moltiplicano anche i tentativi di strage contro gli ebrei: negli ultimi mesi Istanbul e la Thailandia, l’India e l’Azerbaijan e Cipro, tutti con una chiara matrice iraniana o di Hezbollah, spesso con arresti e confessioni dei responsabili; a una recente audizione alla Knesset un responsabile militare ha parlato di dieci tentativi analoghi a quello di Eilat negli scorsi mesi provenienti dal Sinai, sventati dall’esercito israeliano. E naturalmente ci sono i razzi da Gaza ora anche provenienti dalla Libia, altri razzi dal Sinai, le armi chimiche della Siria che rischiano di finire ad alimentare l’arsenale ricchissimo di Hizbullah, puntato contro il nord; sullo sfondo la bomba atomica e i missili a lunga gittata che l’Iran continua a costruire nonostante tutti gli embrago: tutta una rete che si stringe intorno a Israele e agli ebrei.
E per favore, nessuno mi venga a dire che Israele e gli ebrei sono cose diverse, problemi diversi, che i poveri palestinesi o iraniani fanno solo la guerra a Israele e noi non c’entriamo: basta andare davanti a una sinagoga, a una scuola o una casa di riposo e vedere le camionette militari e le altre misure di sicurezza, i nostri dirigenti che devono muoversi con la scorta, e così in mezzo mondo; basta vedere un po’ di sermoni islamici su Youtube per capire che c’è un solo problema, un solo terrorismo. Non erano israeliani ma ebrei i morti di Tolosa, quelli di Buenos Aires, il piccolo Gay Taché a Roma. E anche se l’attacco fosse a uno stato, che guerra è ammazzare turisti che vanno in spiaggia all’estero, sgozzare bambini, cercare di fare esplodere diplomatici in paesi terzi, mettere bombe in pullman e ristoranti?
Questo problema, il nostro problema, è infatti del tutto eccezionale nel panorama internazionale. Quale altra religione, quale altra minoranza, quale altra nazione è braccata in questo modo? Che altri turisti devono temere per la loro vita non recandosi in luoghi tumultuosi come lo Yemen o il Mali dove forse è ragionevole attendersi dei guai, ma in una tranquilla spiaggia del Mar Nero o anche a casa propria, di notte, nel sonno? Che altro paese viene continuamente minacciato di essere “cancellato dalla carta geografica”, boicottato culturalmente ed economicamente, indagato dalle organizzazioni internazionali se si difende don una barriera di sicurezza o reagisce ai bombardamenti dei suoi vicini? Chi deve difendere confini e aeroporti da minacciate invasioni di vicini e “militanti”? Quale stato riceve a anni e anni una media di cento razzi o colpi di mortaio al mese su case civili, scuole, fabbriche?
Noi ci siamo tutti ormai un po’ assuefatti a questa situazione. Quando un consiglio dei diritti umani dell’Onu, che è stato presieduto fino all’anno scorso dalla Libia di Gheddafi e forse ha ancora al suo interno Siria e Iran e analoghi modelli di democrazia, emette la quinta o la tredicesima o la ventesima condanna di Israele, ci viene quasi da ridere. Ci dimentichiamo quasi che è un altro tassello di un piano aggressivo condotto instancabilmente. Quando un altro organismo dell’Onu, che si dice culturale e mai si sognerebbe di ammettere l’Eta proclamando al contempo la cattedrale di San Juan de Compostela patrimonio culturale dell’inesistente paese basco, ammette invece l’Anp come Stato e decide che la basilica della Natività o la Tomba di Rachele sono patrimonio culturale palestinese, scrolliamo le spalle. Quando il Comitato Olimpico si rifiuta di commemorare gli atleti israeliani ammazzati durante le Olimpiadi di Monaco, protestiamo educatamente, raccogliamo firme, e naturalmente il comitato olimpico ha più paura del boicottaggio dei ricchi arabi e del loro terrorismo che delle nostre firme e abbozza.
Noi ci difendiamo, ma restiamo educati e civili. Chi ha mai sentito dire il più estremista politico israeliano che tutti gli arabi andrebbero sterminati? Chi ha paura di attentati ebraici alle scuole arabe o ai diplomatici, ai turisti, agli atleti arabi nel mondo? Quando in Israele qualche estremista sfregia una moschea con una scritta, o fa un atto di terrorismo vero, com’è accaduto una sola volta vent’anni fa, i colpevoli non sono certo esaltati, ma condannati dall’opinione pubblica, indagati e processati. Anzi, siamo tentati di essere i primi della classe in tolleranza e apertura, di fingere che esista un “processo di pace” dove c’è un piano a tappe ripetutamente proclamato da Fatah e Hamas per espellere tutti gli ebrei dalla “Palestina storica”.
Forse facciamo bene, perché credere nelle favole fa dormire meglio e non prendersela per le provocazioni previene il mal di fegato. Ma forse dovremmo anche renderci conto che una grande macchina dello sterminio di nuovo scalda i motori, misura la sua forza, si prepara ad agire e certamente non si farà fermare da qualche vecchia stretta di mano a Washington e da un pezzo di carta firmato a Oslo. Forse dovremmo impostare il tema della prossima Giornata della Memoria – credo si decida in questi mesi – sul perché la Shoà non è mai finita davvero, perché ancora sdiamo chiusi nel ghetto e fatti oggetto di pogrom. Perché ebreo, israeliano, sionista sono insulti. Perché i Protocolli dei Savi di Sion e Mein Kampf sono best seller in mezzo mondo, uguagliati solo dai sermoni islamisti. E’ una proposta che difficilmente verrà accolta, lo so bene. Ma in cambio abbiamo tutti avuto di recente il piacere di conoscere il tema della prossima giornata internazionale della cultura ebraica di quest’anno, che è sull’umorismo. Come dice Freud, se non sbaglio, l’umorismo ebraico nasce dal tentativo inconscio di far proprio e anticipare l’antisemitismo, per ammortizzarne gli effetti psichici. Appunto.

Ugo Volli twitter @UgoVolli