Periscopio – Fuori dalla storia

lucrezi“In ogni caso – scrive Sergio Minerbi sulla newsletter di domenica scorsa – la conclusione più importante deve essere per Israele che quando arriverà il momento di agire rischierà di trovarsi solo come in passato davanti al nemico”. Nessuna novità, da questo punto di vista. Dunque, Siria e Iran si preparano a colpire Israele. Se vivessimo in un mondo normale, in tempi normali, e se parlassimo di una regione della Terra normale, sarebbe d’obbligo la domanda: “perché?”. Perché un Paese dovrebbe essere colpito per delle vicende con lo riguardano minimamente? Ma una tale domanda, parlando di Israele, sarebbe di un’ingenuità disarmante, anche i bambini capiscono che non avrebbe senso. Primo Levi racconta che, a un aguzzino che, senza alcun motivo, aveva dato un pugno in faccia a un prigioniero, questi chiese: “Warum?”, “perché?”. La risposta fu chiara e semplice: “Hier ist kein Warum”, “qui non c’è un perché”.
Nell’appena conclusa rassegna pugliese Lech Lechà, si è parlato, in occasione della presentazione di due bei libri (Diaspora, di Anna Foa, e Figure filosofiche della modernità ebraica, di Stefan Mosès, a cura di Ottavio Di Grazia), del dibattito sulla presunta vocazione ‘metastorica’ di Israele, ricordando come Franz Rosenzweig si opponesse all’assimilazione degli ebrei tra le genti d’Europa, in quanto il popolo ebraico avrebbe un destino peculiare, che lo pone al di là della storia. Un concetto riproposto, dopo la Shoah, da Emmanuel Levinas, ma avversato da altri pensatori, in nome dell’impossibilità di una collocazione fuori dalla storia, e anche dell’intrinseca pericolosità dell’idea. Non sono un filosofo, non so se si possa concepire qualcosa fuori dalla storia. Ma, come cultore di storia, ho cercato di ricordare se, in tutti i secoli e i millenni passati, in qualche angolo sperduto dei cinque continenti, sia mai esistito un Paese, una città, un villaggio, un piccolo agglomerato di persone, destinato ‘naturalmente’ a essere colpito dai vicini, qualsiasi cosa accada, e anche se non accade niente. Ciò nella quieta indifferenza del mondo, disposto a considerare tale fatto il più naturale, il più ovvio che ci possa essere. E, di fronte a un bambino inavveduto che osasse chiedere “Warum?”, pronto a rispondere, con una scrollata di spalle, “Darum”, “perché sì”.
Non l’ho ancora trovato, ma deve pure esistere, essere esistito, in qualche luogo, in qualche tempo. O, forse, bisogna cercare fuori dalla storia?

Francesco Lucrezi, storico

(4 settembre 2013)