Qui Roma – Israele e l’energia. Incontro con il ministro Shalom

silvanshalom Le politiche e le opportunità energetiche sempre più essenziali nelle strategie dello Stato d’Israele. Saranno questi, tra gli altri, i temi al centro dell’incontro dei leader ebraici italiani con il ministro per Energia, Acqua, e Sviluppo di Negev e Galilea Silvan Shalom (nell’immagine), in programma nel tardo pomeriggio di oggi a Roma.
Le nuove prospettive aperte dallo sfruttamento degli ingenti giacimenti di gas naturale al largo delle coste israeliane sono state trattate nel corso del seminario Mercati e valori organizzato dalla redazione di Pagine Ebraiche a Firenze all’inizio dell’estate e sullo stesso giornale dell’ebraismo italiano.
Riproponiamo di seguito l’approfondimento.

Israele verso la rivoluzione energetica

gasEnergia. Un elemento indispensabile dell’esistenza umana. Un fattore chiave degli equilibri geopolitici. La messa a punto, negli ultimi cinque anni, di nuove tecnologie per lo sfruttamento di giacimenti di gas non convenzionali (il cosiddetto gas da argille, o shale gas in inglese) sta già silenziosamente modificando molti assetti nel panorama internazionale, con la produzione di gas naturale statunitense più che decuplicata, il prezzo sensibilmente calato, e la prospettiva di arrivare in futuro a una (almeno potenziale) indipendenza energetica, con tutte le conseguenze che ne derivano. Nel frattempo, già comincia a intravedersi l’impatto che potrà avere sugli equilibri mediorientali un’altra novità non da poco: la scoperta di importanti giacimenti di gas (convenzionali stavolta) a ovest delle coste di Israele. Un’opportunità immensa per lo Stato ebraico, che non ha mai potuto contare su fonti energetiche significative sul proprio territorio (se si esclude il massiccio uso di pannelli solari) e che è sempre stata costretta a rifornirsi all’estero, con gli effetti che questo può avere per un paese che rimane circondato in buona parte da stati ostili e in un momento di grandissima instabilità (come dimenticare per esempio, dopo la caduta di Mubarak, la decisione della nuova leadership egiziana di non onorare i propri contratti di fornitura a Israele, parte degli accordi di pace del 1979, con annessa condanna a 15 anni di prigione del ministro che li aveva negoziati Sameh Fahmy, “per aver danneggiato gli interessi dell’Egitto”). L’impatto dello sfruttamento di Tamar (circa ottanta chilometri a ovest di Haifa, con circa 240 miliardi di metri cubi di gas a 1700 metri di profondità) e di Leviatano (centotrenta chilometri a ovest di Haifa, con 540 miliardi di metri cubi di gas a 1500 metri di profondità) è potenzialmente immenso. Basti pensare che la Banca centrale di Israele ha previsto che il gas che è iniziato a fluire da Tamar lo scorso marzo, destinato solo ad uso interno, innalzerà il prodotto interno lordo del paese di quasi un punto percentuale già nel 2013. Gas che per il momento è destinato soltanto all’utilizzo del mercato interno, e che si prevede che nei prossimi dieci anni sarà in grado di coprire oltre il 50 per cento del fabbisogno del paese, con un risparmio di 13 miliardi di shekel all’anno (2 milioni 700 mila euro). Ma è il traguardo del 2016, quando il gas dovrebbe cominciare a essere pompato fuori da Leviatano, quello da guardare con maggiore attenzione: il momento in cui Israele potrebbe entrare nel novero dei paesi esportatori. Tuttavia, come ha realizzato suo malgrado negli ultimi mesi il governo di Benjamin Netanyahu, la partita da giocare è complessa. Perché da una parte vi sono i rapporti con le grandi compagnie energetiche israeliane e internazionali, che rivendicano il proprio ruolo nella scoperta dei giacimenti, tra cui Noble Energy, Delek Drilling, Avner Oil Exploration, e Isramco e la necessità di rifarsi degli investimenti effettuati, dall’altra un’opinione pubblica che vede l’esportazione del gas all’estero come fumo negli occhi, considerandolo l’ennesimo tentativo di calpestare le esigenze della popolazione e soprattutto delle classi medie che animano la protesta sociale, a vantaggio dei soliti magnati e gruppi di potere. Per questo nelle ultime settimane, quello che nell’estate 2011 fu definito dai giornali “il popolo delle tende”, è tornato a scendere in piazza per protestare contro la decisione del governo di destinare all’esportazione il 40 per cento della produzione di Leviatano. “Lo Stato d’Israele ha ricevuto in dono dalla natura ingenti quantità di gas naturale. Dopo una serie di lunghi confronti abbiamo deciso di aumentare significativamente l’ammontare di gas per uso domestico. Questo coprirà il nostro fabbisogno per i prossimi 25 anni, e rappresenta il giusto compromesso tra l’assicurare l’energia per i nostri cittadini e l’esigenza di esportare gas che genererà ricavi per gli stessi israeliani” ha sottolineato il premier nel darne l’annuncio. Una scelta che però ha scontentato tutti, il popolo, che chiedeva per sé una percentuale ancora maggiore, ma anche le multinazionali, che si aspettavano di avere a disposizione il 53 per cento che risultava dalle raccomandazioni della Commissione Tzemach, convocata da Netanyahu nel 2011 appositamente per studiare la miglior gestione delle riserve di gas. Un tentennamento che non è piaciuto: “Un governo che non segue le indicazioni di una commissione da esso stesso convocata, non dà una grande impressione di affidabilità” ha commentato un funzionario del colosso australiano Woodside Petroleum, che aveva annunciato la sua intenzione di comprare il 30 per cento del consorzio che detiene i diritti su Leviatano al Times of Israel. Ma oltre agli interessi economici, non va dimenticato il fronte che diventare un Paese esportatore di gas naturale potrà aprire sul livello politico, verso i paesi dell’area (Cipro e Turchia in primis, ma anche Giordania, Egitto, Libano, i Territori palestinesi) e verso l’Europa. A maggior ragione in un momento in cui tutta l’area del Medio Oriente è caratterizzata da una instabilità crescente, e gli Stati dell’Unione europea cercano di diversificare le proprie fonti, in particolare per diminuire la propria dipendenza dalla Russia. Per capire fino in fondo quali potenzialità si celano dietro la rivoluzione del gas bisognerà aspettare probabilmente ancora qualche anno. Ma chissà che l’energia non possa arrivare là dove tanti altri tentativi hanno fallito?

r.t., Pagine Ebraiche, luglio 2013

(8 settembre 2013)